Mucci: “Se questo è il testo, non lo chiamiamo Foia”

Pubblicato il 03 Feb 2016

Mara Mucci

già vicepresidente della commissione d’inchiesta sullo stato della digitalizzazione della PA nella XVII leg, informatica, resp. PA di Azione

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In questi giorni sul tavolo del Consiglio dei Ministri è in discussione il decreto attuativo per il
FOIA – Freedom of Information Act.

Purtroppo la norma che doveva ricalcare quella americana del 1966 e garantire al cittadino l’accesso ai dati in possesso della Pubblica amministrazione (non in contrasto con alcuni principi quali privacy o sicurezza nazionale) sembra essere destinata ad un versione italiana piùannacquata.

Siamo ancora in tempo però! Il decreto attuativo deve ancora uscire, e quelle che commenterò saranno le versioni trapelate tra gli addetti ai lavori (quindi Ministra Madia, se mi legge, cortesemente corregga il tiro).

Nel FOIA delineato da Palazzo Chigi – atto entrato nel decreto del Governo anche grazie ad un mio emendamento – c’è la positiva intenzione di volerne estendere i contenuti dalla pubblica amministrazione ai soggetti da questa controllati: società partecipate ma anche associazioni e fondazioni che per la maggior parte si basano sul finanziamento pubblico.

Non si comprende però perché, anche nell’ottica dei principi di semplificazione, si voglia introdurre una tipologia di accesso agli atti nuova piuttosto che modificare la normativa vigente in merito (legge 241/1990).

Un pregio è senz’altro che per questa nuova possibilità di accesso agli atti non servirà un legittimo interesse dell’interrogante. Potrà quindi richiedere un dato in possesso dalla PA o da enti che rientrano nel novero degli interrogati, CHIUNQUE LO RICHIEDA, a patto che non ci siano vincoli ostativi quali privacy o sicurezza nazionale (ed altre caratteristiche indicate dal decreto).

I limiti che mi portano a dare un voto del tutto insufficiente alla norma sono diversi. Secondo la bozza di decreto che circola, la pubblica amministrazione avrà 30 giorni di tempo per rispondere al cittadino, passati questi, qualora non rispondesse, la domanda cadrebbe nel vuoto. Si chiama silenzio diniego. La PA non è obbligata (come per altro il Parlamento aveva delegato il Governo sul tema) a dichiarare i motivi per i quali nega l’accesso. Non sono quindi previste sanzioni per la PA che non ottempera alla richiesta, anche qualora la domanda fosse legittima e non fossero vincoli ostativi per non rispondere.

In un paese come l’Italia, ad alto rischio corruzione ed infiltrazioni malavitose, sarà facilissimo depotenziare questo strumento al servizio della trasparenza e non servirà nemmeno troppo ingegno.Basterà “dimenticarsi di rispondere”. Il funzionario di turno non dovrà fare niente di più che attendere che passino 30 giorni.

E questo lo chiamiamo FOIA? Tutto ciò sarebbe già sufficiente a far cadere le braccia. Ma mettiamoci anche che i costi dell’accesso agli atti non sono stati ancora definiti, e che non ci sono modi extra giudiziari per far valere i propri diritti di accesso agli atti. Il cittadino che si vedrà rifiutato l’accesso infatti, non potrà far altro che ricorrere al TAR. Che significa altri costi (per chi può sostenerli), ed altro tempo.

Ancora una volta mi chiedo, ce lo possiamo permettere?

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