C’è una parte della comunicazione di rete che, in questi ultimi tempi più di altri, richiede l’attenzione di chi si occupa di digitale: è la propaganda. La viralità con cui i fenomeni ad essa connessi si diffondono tra persone non del tutto consapevoli di essere parte di un processo strategico, molto spesso manipolatorio, impone una riflessione sulla responsabilità di chi questi processi li utilizza, li cavalca o anche semplicemente li riconosce.
Contro la propaganda online, l’educazione ad una comunicazione positiva, già partendo dalla selezione di cosa comunicare e come, è possibile, ma deve essere pianificata, accettata e diffusa: in una parola deve diventare una prassi culturale.
Il valore sociale ed economico dei comportamenti digitali
Più in generale emerge ancora una volta una grande lacuna rispetto alle conoscenze utili per essere sui social network: dalle basilari norme di buona comunicazione digitale (in alcuni casi si potrebbe dire anche semplicemente di buona educazione) alla consapevolezza delle implicazioni delle proprie azioni in rete. Da un semplice Like ad un commento sotto ad un post, ogni gesto compiuto sui social network comporta l’adesione ad un gruppo sociale, una esposizione senza precedenti ed una misurabilità, che ci rende tutti, volente o nolente, parte attiva del processo di influenza.
Se c’è una cosa che la vicenda di Cambridge Analytica ci ha insegnato è che le persone sottovalutano le conseguenze della propria presenza in rete. Il valore economico, sociale e politico che ciascuno ha con i propri comportamenti digitali è immensamente sottovalutato dalla massa, che persiste nella propria illusione di libertà e controllo. Al contempo si legittimano linguaggi violenti ed esasperati, offese e disinformazione.
Costanti e variabili della comunicazione persuasiva
Cerchiamo di capire di cosa parliamo, esattamente.
Per farlo dobbiamo anzitutto individuare gli elementi chiave della comunicazione persuasiva utilizzata nella propaganda, che ha una pragmatica estremamente riconoscibile, basata su alcuni elementi costanti e ad altri variabili.
La costante è la modalità espressiva: il tono è sempre emozionale, esasperato, il linguaggio volutamente semplificato e la ripetizione quasi ossessiva dei concetti è un accurato meccanismo di familiarizzazione.
Gli elementi variabili, invece, sono tre:
- Le leve strategiche che guidano la comunicazione hanno sempre una giusta causa da difendere, utilizzando la paura/minaccia come spinta alla conformità ed il bisogno di risoluzione come chiave per accentrare nel leader il consenso.
- I contenuti per attirare la massa fanno leva su argomentazioni inattaccabili: sicurezza, famiglia, lavoro, futuro, impulsi et similia.
- La dinamica categoriale ovvero l’esasperazione delle differenze tra noi e loro si accompagna ad un’esaltazione di ciò che accomuna i membri dell’ingroup (conformità) e ciò che li distingue dall’outgroup (creazione del nemico). Ovviamente prevarrà l’uso di bias attribuzionali per cui il proprio gruppo sarà identificato con comportamenti positivi e “gli altri” con comportamenti negativi.
L’influenza di maggioranza
Essendo per definizione la propaganda orientata alla massa entra in gioco l’influenza di maggioranza, che si basa sulla mera acquiescenza.
É importante sottolinearlo perché, giusto per fare un esempio, non tutti quelli che hanno partecipato al fascismo erano fascisti, altri non si ponevano il problema di approfondire: se c’erano delle preoccupazioni, qualcuno aveva la soluzione e la massa era d’accordo, allora perché prendersi la briga di dissentire? Ancora peggio, di capire, di informarsi, di impegnarsi.
Facciamocene una ragione: l’essere umano non è un essere razionale.
Questo Herbert Simon ce lo ha detto già moltissimi anni fa. Le sue scelte quasi mai lo sono e la social cognition si basa sull’assunto che l’essere umano sia un “cognitive miser”.
Queste premesse non le possiamo dimenticare quando pensiamo a quello che accade nella rete.
A ciascuno il suo opinion leader
Perché il singolo, dietro la sua tastiera, nel suo appartamento, legge delle cose e tendenzialmente le etichetta come vere o false, giuste o sbagliate, in funzione del numero di persone che le ritengono tali e soprattutto osservando il comportamento dei propri “opinion leader”.
Chi sono? Io non posso saperlo. Qualcuno ha un politico, qualcuno un genitore, altri il vicino di casa esperto di politica. Ognuno sceglie il proprio personale modello e lo usa come ago della bilancia.
La persuasione di massa digitale – di cui ho già parlato – amplifica processi noti ed alla mercé della propaganda diventa un’arma pericolosa.
Influenzati e connessi, l’illusione della libertà sui social
Persuasione di massa digitale e ignoranza pluralistica
La premessa della Mass Interpersonal Persuasion è che le interazioni sui social si basano su una esperienza persuasiva, per definizione orientata a modificare gli atteggiamenti degli utenti. Il punto è che queste interazioni avvengono tra “amici”, il che aumenta la loro credibilità.
L’uso di una giusta causa
Pensiamo alle leve strategiche, abbiamo detto che la prima è l’uso di una giusta causa.
Si prende un tema sociale e si costruiscono fattoidi[1] che possano amplificare il rilievo di quel determinato argomento e si utilizza un tono comunicativo emotivamente esasperato, in modo da attirare l’attenzione dei molti. L’onda virale, emotiva e dirompente, che invade la rete è affidata alla condivisione spontanea che avviene per prossimità: condivido ciò che ha condiviso il mio contatto, non approfondendo la questione pur dandole rilievo.
La preoccupazione in tal senso è che l’esperienza persuasiva operata dai nostri “amici” si basi su presupposti falsi; di per sé la giusta causa non è poi così giusta o per lo meno non ha le dimensioni che ci vengono servite in rete (o costruite ad hoc).
Sappiamo che gli heavy viewers (le persone più esposte ai media) percepiscono il mondo tendenzialmente come più pericoloso. Ad esempio, agitare tramite la rete fattoidi che alimentano la paura dell’estraneo darà un rilievo alla questione che inevitabilmente renderà reale tale minaccia, aumentando esponenzialmente il livello di xenofobia intragruppo (all’interno del proprio gruppo). Nel mio news feed non si parlerà d’altro che di questa “invasione” e non avendo gli strumenti per controllare i fatti, mi baserò su un noto processo cognitivo: l’ignoranza pluralistica. Se ne parlano tutti, sarà vero!
La distribuzione sociale del fattoide, ci fa sentire meno colpevoli (diffusione di responsabilità) di condividere una notizia non attendibile, pur di essere parte del processo in corso e non essere escluso dal gruppo.
L’uso della paura
Questo porta alla seconda leva: l’uso della paura che ha come obiettivo specifico quello di indurre atomizzazione.
Di per sé i social network riempiono, apparentemente, lo spazio della solitudine indotta dalla prima leva. Se qualcosa ci spaventa cercheremo in rete altri che come noi hanno paura. Un bias cognitivo (un errore della mente), il bias di conferma, ci porta a cercare e considerare credibili per lo più notizie ed informazioni che confortino la nostra visione del mondo.
Questo inganno cognitivo non risparmia nessuno ed è faticoso da smontare anche per i più colti, impossibile da smantellare per gli analfabeti funzionali, ed ostacola la valutazione pubblica di opinioni e argomenti, favorendo così la propaganda politica ed accompagnandosi ad un diffuso disprezzo per l’opinione degli esperti.
In questo modo verrà favorita la polarizzazione e la manipolazione delle opinioni, riuscendo ad aumentare il livello di conformismo sociale.
La nostra confortante bolla non solo ci confermerà quello di cui siamo convinti, ma ci aiuterà a fare branco, con più veemenza di quella che avremmo il coraggio di usare se ci sentissimo soli, contro chiunque sia dell’outgroup. Contro chiunque non la pensi come noi.
La comunicazione social esaspera le posizioni estreme, a causa del differimento delle conseguenze delle nostre parole e della riduzione del processo empatico, in assenza di reazioni dirette e visibili dell’interlocutore.
Diventa in tal senso ancor più preoccupante l’utilizzo di ulteriori strumenti da parte della propaganda, come fake news, troll e flaming, per attirare l’attenzione e disturbare l’interazione online, strutturalmente sensibile alla discomunicazione da parte delle masse.
Il bisogno di risoluzione
Il disagio generato dalla seconda leva porta alla terza: il bisogno di risoluzione.
La massa, spaventata ma unita contro il nemico di turno, conforme nelle opinioni e sprezzante del parere degli esperti, ha quindi bisogno di un leader che risolva la situazione.
Chi si propone con più forza comunicativa, semplicità espressiva e favoritismo sistematico ha maggiori probabilità di manipolare una moltitudine, ormai esasperata ed aizzata, che aspetta unicamente un’azione risolutiva contro il “nemico”.
Ricordare quali sono le armi della propaganda e come si adattano pericolosamente alla MIP diviene fondamentale per un uso corretto della comunicazione digitale.
Perché quando la massa comincerà a legittimare la messa in discussione dei diritti civili ed umani come diritti indissolubili, quando comincerà a trovare legittima ed innocua la violenza verbale e materiale, o peggio l’indifferenza verso la violenza, allora chi studia la comunicazione di massa, un po’ comincerà a tremare, memore non solo della storia, ma anche degli esperimenti sociali più noti alla psicologia (Zimbardo, Milgram per citarne un paio) che hanno provato quanto gli esseri umani siano facilmente manipolabili e pronti a compiere anche gesti atroci senza necessariamente avere valide ragioni.
Importante ricordare quello che affermano gli studiosi dell’evoluzione Boyd e Richerson[2]: con l’andare del tempo l’accumularsi delle decisioni individuali esercita una profonda influenza sulle istituzioni. L’influenza di maggioranza su cui fa leva la comunicazione di propaganda mette in discussione esattamente questo potere.
Riferimenti bibliografici:
- Dale T. Miller, Pluralistic ignorance: When similarity is interpreted as dissimilarity in Journal of Personality and Social Psychology, vol. 53, p.298, 1987
- Fiske, Susan T.; Taylor, Shelley E. (1991) [1984]. Social cognition (2nd ed.). New York: McGraw-Hill.
- Fogg BJ, Mass Interpersonal Persuasion: an early view of a new phenomenon, in Persuasive Technology, Third International Conference, Persuasive 2008, Proceedings, Spinger, Berlin
- Pratkanis A.R.,Aronson E. (2003), L ‘età della propaganda. Usi e abusi quotidiani della persuasione. Traduzione di Arganese G., Il Mulino, Bologna
- Simon H. A Behavioral Model of Rational Choice, The Quarterly Journal of Economics, Vol. 69, No. 1. (Feb., 1955), pp. 99-118.
- Smiraglia S. (2004) Psicologia delle comunicazioni sociali. Le armi della propaganda. Vol. 1, Liguori, Napoli
- Tversky, A., Kahneman, D. (1974). Judgment under uncertainty: heuristics and biases. Science. 185 (4157): 1124–1131.
- Fattoide: un’affermazione costruita a tavolino, presentata come se fosse un fatto, ma la cui attendibilità non può essere facilmente verificata, ma che sostanzialmente è falsa. ↑
- Ricard M. Liberare l’altruismo in Mind. Mente e Cervello, n. 162 anno XVI Giugno 2018 p. 24-31 ↑