Il dottor Annthok Mabiis ha annullato tutte, o quasi, le memorie connesse della galassia per mezzo del Grande Ictus Mnemonico. “Per salvare uomini e umanidi dalla noia assoluta” perché le memorie connesse fanno conoscere, fin dalla nascita, la vita futura di ciascuno, in ogni particolare. La Memory Squad 11, protagonista di questa serie, con la base operativa, di copertura, su un ricostruito antico bus rosso a due piani, è incaricata di rintracciare le pochissime memorie connesse che riescono ancora a funzionare. Non è tuttora chiaro se poi devono distruggerle o, al contrario, utilizzarle per ricostruire tutte quelle che sono state annientate, se devono cioè completare il lavoro del dottor Mabiis o, al contrario, riportare la galassia a “come era prima”.
La duplicazione era perfetta. La brezza dalle colline simul-reali tesseva il mare. Le barche simul-reali pettegolavano. Sartiavano. Paterazzavano. La colonia astrale numero sessantasei consumava il dopo tramonto senza colori.
“Agenti questo trasferimento ci porta su una colonia dove è in atto una rappresentazione di musica classica… potremmo dire giurassica…” intratteneva Stefano Magli, l’agente di Memoria Antica della Memory Squad 11. Le labbra afasiavano.
“Il livello di ricostruzione dell’evento, un evento di più di tre secoli fa, è altissimo!…” perfezionava la comandante Khaspros “È più che evidente che questo livello si può raggiungere solo se sono attive e ben funzionanti qualche migliaia di memorie connesse…” le dita appartavano.
“Probabilmente nella colonia astrale sessantasei il reticolo memoriale era ed è non perfettamente integrato nel sistema che il dottor Mabiis ha bloccato cinque settimane fa…” polverizzava Sama Hargo, analista del linguaggio e delle memorie della squadra. Gli occhi appartenevano.
“Dunque agenti partiamo per trasferirci sulla colonia astrale fra cinque minuti… durata del trasferimento non più di trenta minuti” stimava Afro Allaa, l’agente navigatore esperto di mappe e di sopravvivenza della Memory Squad 11. Le gambe ancillavano.
“I cantanti, gli orchestrali, ma soprattutto i direttori d’orchestra probabilmente impiegano anche qualche centinaio di memorie connesse ciascuno… Se tutto andrà bene, sarà un bel bottino! Ecco i pass di una volta, sono validi per ogni settore… voi puntate al back stage!” tifava la comandante.
La tradizione non si trasgrediva. Erano tutti lì per quello. Non più di millenovecentonove posti. Per non trasgredire. Insieme.
“Agenti mentre si viaggia, vestirsi come all’epoca…” minuziosava Stefano Magli. “Passate qui da me che voglio controllarvi uno ad uno…” Scarpe lucide. “Cravatte lunghe non a fiocchetto… non esageriamo!” Trasparenze. “O gonne cortissime o gonne lunghe… niente via di mezzo, mi raccomando!” Scollature stentate. “Uomini, evitate i gessati! Piuttosto giacche colorate! E nastri arcobaleno!” si eccitava Magli. Vestire gli altri è ricomporre sé stessi. Per restare nudi.
Il bus rosso si faceva strada. La strada si faceva assiepata. Gli assiepati si facevano pavoni. Parcheggiò invadendo un marciapiede. Gli agenti scesero. Sgambarono. Si mischiarono. Assieparono. Avanzarono. Immisero. Si spinsero dietro le quinte.
La colonia astrale respirava la serata. Come ogni sabato sera. Viveva delle fiumane che arrivavano da ogni parte della galassia. Dicevano che il dottor Mabiis fosse di queste parti. Nei bar sbocconcellava la voce che “le nostre memorie connesse il nostro dottor Mabiis ce le ha lasciate intatte…”
Il palco vibrava con Domenico. La platea stordiva con Lucio. La galleria ondulava con Anna Maria. La rappresentazione abbuffava. Sedicenti miliardari in platea.
Gli agenti facevano incetta. Di camerino in camerino. “Sono migliaia di memorie, comandante! Migliaia… finalmente! Da troppo tempo eravamo all’asciutto!…” Le memorie scollegate. Rapite. Sottratte. “Gli artisti senza più la potenza simul-reale delle memorie si spengono. Si dissolvono…” rammaricava l’agente Sama Hargo. “Hanno speso i risparmi di una vita per essere qui oggi… Mi sento crudele… comandante…”
La comandante Akila Khaspros era dietro all’ultima fila della platea. In piedi. Appoggiata al muro. Aspettava il momento da vertigine. I pupazzi sarebbero scomparsi dal palcoscenico. Le luci avrebbero illuminato il vuoto. L’orchestra evaporata. La musica in silenzio sopra le teste acconciate. Il pubblico tramortito dalla scomparsa del nulla.
“Agenti che succede? Lo spettacolo continua come se niente fosse!… Abbiamo tolto tutte le memorie, vero?!… Tutte! Confermare!” Un rantolo esplode. Fa alzare le teste del teatro.
“… ha vinto la sessantaseiesima edizione del Festival di Sanremo!”
(109 – continua la serie. Episodio “chiuso”)