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Palmieri (FI): “Dov’è il digitale nel nuovo Governo? Sei consigli per farlo davvero”

Suscita più di qualche perplessità l’assenza pressoché totale della parola digitale dal contratto di Governo. Ecco perché, soprattutto in assenza di un ministero dedicato all’innovazione, per fare dell’Italia un paese compiutamente digitale, sarebbe importante istituire una Commissione bicamerale permanente

Pubblicato il 28 Giu 2018

Antonio Palmieri

deputato, Forza Italia

parlamento-italiano1

La parola “digitale” è pressoché assente dal contratto di programma che ha portato alla nascita del governo Salvini-Di Maio-Conte.

In tempo di mondiali di calcio, parafrasando Francesco De Gregori verrebbe da dire che non è da questi particolari che si giudica un governo, ma nell’era digitale non parlare di digitale fa sorgere spontanea qualche (e forse molto più di qualche) perplessità.

Se a questa premessa si uniscono gli interventi dei ministri Di Maio e Buongiorno all’Internet Day che Riccardo Luna con l’AGI ha organizzato alla Camera martedì 26 giugno per presentare il quarto rapporto Censis sullo stato della rete nel nostro Paese, le perplessità aumentano. I trenta minuti di internet gratis indicati da Di Maio come obiettivo di governo e i punti di metodo proposti dalla responsabile della pubblica amministrazione hanno demoralizzato molti dei presenti nella Sala della Regina della Camera.

Al via l’Intergruppo Innovazione

Attenzione. Chi mi conosce sa che non amo usare i temi del digitale per esercitare il solito sterile teatrino della contrapposizione minoranza/maggioranza. Non l’ho mai fatto nei miei oramai diciassette anni di vita parlamentare e proprio per questo sono forse riuscito a “portare a casa” provvedimenti all’unanimità come la legge sulla accessibilità dei siti internet della pubblica amministrazione nel 2004 oppure la modifica alla Costituzione sulla centralizzazione delle piattaforme informatiche nel 2015. 

Voglio quindi ricordare che è ripartito l’Intergruppo Innovazione, che nella passata legislatura è stato un luogo di lavoro tra parlamentari di forze politiche diverse, dove abbiamo lavorato insieme focalizzando le politiche e mettendo da parte la politica, intesa come contrapposizione tra i partiti a prescindere dal merito delle questioni.

Come è noto, un intergruppo parlamentare non è una associazione di tifosi dell’Inter, (quale io sono) ma una libera aggregazione di parlamentari di tutte le forze politiche, uniti dall’interesse a un tema specifico, nel nostro caso l’innovazione. Questa è la sua forza ma anche il suo limite, perché un intergruppo non è un soggetto istituzionale riconosciuto. Per superare questo stato di cose, ripresenteremo a breve la proposta di una quindicesima commissione parlamentare permanente dedicata all’innovazione, proposta che abbiamo proposto senza esito quattro anni fa.

Una commissione bicamerale permanente

Come alternativa, ho riesumato e depositato una mia proposta di legge del 2005 (!) che prevede l’istituzione di una commissione bicamerale permanente, sul modello di quelle già esistenti: infanzia, antimafia, vigilanza Rai. Forse nel 2005 questa proposta era prematura ma nel 2018 il Parlamento non può non avere un luogo strutturato espressamente dedicato a riflettere, elaborare e corroborare l’azione del governo in tema digitale. Soprattutto in assenza di un ministero dedicato all’innovazione.

Digitale, consigli (non richiesti) al nuovo Governo

Fedele a questa mia impostazione, per andare oltre le perplessità indicate, offro al neonato governo alcuni consigli non richiesti ma sinceri. Li indico per punti schematici.

  • Non reinventiamo la ruota digitale. Ci sono molti cantieri aperti per la pubblica amministrazione digitale, dal funzionamento della piattaforma PagoPA alla effettiva implementazione di ANPR (l’anagrafe nazionale della popolazione residente), passo essenziale per avere un database a livello nazionale, che permetta a cittadini e amministrazioni di dialogare in maniera efficiente, avendo una fonte unica e certa per i dati dei singoli. Il consiglio è di fare una due diligence e di rendere pubblico il reale stato dell’arte di ciascuno di questi progetti e di proseguire poi con forza nel loro completamento. Portarli tutti a compimento in un arco ragionevole di tempo questo sì che sarebbe un “cambiamento”.
  • Facciamo davvero rete. A livello nazionale esistono due gruppi di lavoro, il team digitale presso la Presidenza del Consiglio guidato dal commissario Diego Piacentini e l’Agid, guidata da Antonio Samaritani. Due professionisti di valore, entrambi a fine mandato. Valuti il governo cosa fare nei loro confronti e, soprattutto, ponga fine a un dualismo che non ha ragione d’essere. Serve sinergia tra la due realtà, c’è da fare in abbondanza per tutti.
  • Completiamo la rete. Le infrastrutture restano un punto centrale per ogni progetto digitale. In attesa del varo del 5G, il governo intervenga eliminando le strozzature che impediscono la completa realizzazione del piano per la banda ultralarga. Anche in questo caso serve completare, non reinventare.
  • Perché non possiamo non dirci “impresari 4.0”. Gli incentivi fiscali previsti dal piano industria 4.0, finalmente denominato “impresa 4.0”, devono essere stabilizzati. Questo strumento di democrazia fiscale che premia chi investe nel digitale ha molti pregi, uno fra tutti: elimina il bando e con esso burocrazia, lentezze, opacità e, da ultimo, corruzione.  Questi incentivi vanno stabilizzati almeno per un congruo numero di anni. Parallelamente occorre dare piena e rapida attuazione alla parte del piano che riguarda la formazione del capitale umano, requisito fondamentale della società digitale.
  • Non leggi ma execution. Non servono nuove leggi ma dare attuazione a norme che per ora sono rimaste sulla carta, a partire dal codice della amministrazione digitale. Semmai serve correggere anche le parti del codice degli appalti che hanno complicato la vita delle imprese invece che risolvere e fludificare. Altro non serve.

Ci sarebbe molto altro da dire, ma mi fermo qui, avendo già indicato un “vasto programma”, come avrebbe detto De Gaulle.

Da qui, a mio avviso, occorre ripartire per fare dell’Italia un paese compiutamente digitale, come richiesto dall’epoca che ci è toccato in sorte di vivere.

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