Nuovo CAD, se la riforma della PA rischia di essere incompresa

La sfida lanciata dalla legge delega di Riforma della PA era, anche rispetto all’ambito del Cad e alla sua profonda ristrutturazione, certamente difficile. Accanto a diversi elementi positivi e innovativi, sono presenti snellimenti, abrogazioni e semplificazioni che rischiano di produrre problemi in forte contrasto con i principi stessi della riforma. E il cambio di metodo, verso un’apertura del processo di partecipazione, diventa condizione fondamentale

Pubblicato il 26 Feb 2016

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La sfida lanciata dalla legge delega di Riforma della PA era, anche rispetto all’ambito del Codice dell’Amministrazione Digitale (Cad) e alla sua profonda ristrutturazione, certamente difficile.

Non si richiedeva soltanto un allineamento rispetto ad un contesto radicalmente cambiato (anche a livello europeo, grazie soprattutto al regolamento eIDAS) e ad un programma di trasformazione digitale della PA adesso delineato, anche se molto in corso di realizzazione: si indicava una nuova “mission” (essere un testo di principi, senza dettagli e regole tecniche, e quindi anche non legato alla specifica tecnologia) e si prospettava una vision che andava oltre la semplice digitalizzazione e che infatti configurava l’amministrazione da realizzare come “aperta e digitale”.

A che punto siamo? Il decreto approvato dal governo il 20 gennaio in esame preliminare riesce a dare una risposta esauriente agli indirizzi e alle richieste della legge delega?

Problema di metodo

A valle dell’audizione effettuata a Palazzo Vidoni, con diverse organizzazioni e diversi esperti presenti con contributi e osservazioni su vari temi affrontati (o non affrontati) nel decreto, l’impressione è che la strada da percorrere sia ancora lunga e che, nonostante diverse scelte innovative, il metodo fin qui seguito, con un percorso chiuso alla partecipazione e ai contributi dei vari stakeholder (con una perla finale: il testo del provvedimento pubblicato in formato immagine), abbia prodotto ritardi e danni che potevano essere evitati, rendendo più difficile un compito di per sé senz’altro arduo. Tra l’altro, quando ci si cimenta nella trasposizione normativa di principi che dovrebbero affermare il concetto dell’amministrazione aperta, il metodo è chiaramente sostanza, e prima dimostrazione di quanto si vuole affermare.

Anche l’audizione, certamente benvenuta anche se tardiva, ha lasciato a desiderare in quanto a trasparenza sui criteri di selezione dei partecipanti, e non ha chiarito se questo avvenimento avvia (o meno) una partecipazione non solo estemporanea, e quindi un cambiamento radicale nel metodo. Eppure l’amministrazione aveva già sperimentato modalità di consultazione strutturate, ottenendo buoni risultati: tra gli esempi, il percorso di definizione del “decreto Crescita 2.0” nel 2012, soprattutto sul tema Open Data e Open Government, e poi più recentemente il percorso che aveva portato al secondo piano nazionale di Open Government.

Il testo del decreto contiene diversi punti positivi, come evidenziato da diversi esperti, soprattutto in ambito di identità digitale, di rivisitazione del tema dei servizi fiduciari allineandosi alla regolamentazione eIDAS, di domicilio digitale, di obbligatorietà, per l’amministrazione, di effettuare un switch over verso la generazione e la trasmissione di documenti in formato elettronico e un passaggio fondamentale verso la concezione dei documenti conservati dalla PA come oggetti unici accessibili dai cittadini tramite un indirizzo, un link unico.

Accanto a queste, altre scelte (o non scelte) danno invece adito a molte perplessità, e la richiesta di molte organizzazioni ed esperti è che su queste scelte si operi una riflessione profonda, modificando approccio e decisioni. Vediamo rapidamente le principali.

Snellimenti e abrogazioni

Uno degli obiettivi era certamente quello di “mission”: un Cad di principi e non di dettagli e regole tecniche. Ma la scelta è stata di andare oltre, ed eliminare, in generale, tutto quanto non era stato realizzato o che poteva essere dato per “assunto”.

L’eliminazione del “non realizzato”, poiché la non realizzazione può avere cause diverse (ad esempio poteva essere non più ritenuto valido il principio, o poteva essere stata sbagliata la norma, o ancora poteva essere stata sbagliata la fase di attuazione, per incapacità o mancanza di volontà), in assenza di indirizzi politici chiari può facilmente sfociare nell’arbitrarietà o portare ad errori.

Due casi emblematici su tutti: l’abrogazione dell’obbligo sulla continuità operativa e la cancellazione, di fatto, delle politiche sulle comunità intelligenti. Poiché nessuno (e, mi è sembrato, neanche i rappresentanti governativi presenti all’audizione) può mettere in dubbio l’importanza di assicurare la continuità operativa dei servizi delle amministrazioni e di avere una strategia organica per lo sviluppo delle politiche sulle comunità intelligenti, ecco che il fallimento della “non realizzazione” doveva (e deve) portare ad una rivisitazione profonda delle politiche e delle modalità di attuazione. Non a una cancellazione, chiaramente ingiustificata.

Altro punto correlato è quello degli snellimenti motivati con la valutazione del “non necessario perché dato per assunto”. Vittime illustri, il tema dell’open source, che viene in parte depotenziato al contrario di quanto previsto dalla legge delega, e dell’interoperabilità e della cooperazione applicativa, la cui presenza dava invece forza alle scelte presenti nel Modello Strategico per i sistemi informativi delle PA, base per il piano triennale che è in corso di elaborazione da parte di AgID.

Allineamenti

Molti allineamenti sono positivi, come rilevato in precedenza, altri sono da rivedere e raffinare, soprattutto per trarre il massimo profitto della presenza di eIDAS, altri ancora sono poco chiari.

Uno per tutti, il cambiamento che ha innalzato a dismisura il requisito minimo del capitale sociale per chi si candida a gestire servizi fiduciari, arrivando fino ai 5 milioni di euro e, per la maggior parte dei soggetti privati, fino a 10 milioni. Con il risultato di eliminare, di fatto, la possibilità di sviluppo di un mercato su questo fronte, non giustificato da motivazioni di prudenza, per cui sono da utilizzare strumenti di protezione diversi, come quello delle polizze fidejussorie.

Organizzazione e governance

Sul fronte dell’organizzazione, è rimasta involuta la definizione del difensore civico, associata all’ufficio dirigenziale per la transizione al digitale, certamente non “terzo” tra amministrazione e cittadino, mentre su quello della governance, accanto ai positivi interventi per il maggior peso attribuito ad Agid, la volontà di semplificazione (rispetto ad un’architettura precedente contorta e comunque attivata parzialmente e neppure ben funzionante) ha portato all’ideazione di una “conferenza permanente” che è in realtà una struttura di missione (probabilmente ancora da cambiare per accogliere il ruolo disegnato per Piacentini), mentre rimane l’assenza di un coordinamento strategico (l’ex Cabina di Regia) e di una Consulta multistakeholder.

Temi assenti

Non tutte le indicazioni della legge delega 124 di riforma della PA sono state rispettate. Ad esempio, non c’è nulla sulle performance (l’indicazione era di “definire i criteri di digitalizzazione del processo di misurazione e valutazione della performance per permettere un coordinamento a livello nazionale”), quasi nulla sull’alfabetizzazione digitale, sulla collaborazione tra le amministrazioni, sulla partecipazione dei cittadini ai processi decisionali. Rispetto al tema delle performance, è chiaro che si tratta di un tema di governo dei processi dell’amministrazione, di controllo di gestione, e non di semplice definizione di obiettivi. Se la non inclusione, come sembra, è dovuta alla scelta di trattarlo nell’ambito del decreto sulla dirigenza, il messaggio che si passa è chiaramente depotenziato e, con molta probabilità, anche il risultato è di conseguenza a forte rischio.

Il tempo di cambiare c’è ancora, e l’apertura all’ascolto e alla riflessione che inizia a mostrare il governo fa ben sperare. Cambiare il metodo, avviando con decisione e chiarezza un processo partecipativo non è solo un auspicio. È sempre più, adesso, una condizione ineludibile.

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