Spid, tutti i nodi da affrontare per la prossima fase

L’identità digitale è realtà, ma con alcuni nodi cruciali ancora da affrontare e un approccio sostanzialmente tecnologico e non organizzativo. Ecco alcuni suggerimenti per i prossimi passi del programma

Pubblicato il 25 Mar 2016

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Il 15 marzo è stato quindi dato inizio al rilascio delle credenziali del Sistema Pubblico di Identità Digitale (Spid). Nei primi due giorni sono state rilasciate le prime cinquemila identità digitali, ma è naturalmente la corsa tipica alla novità, i primi numeri “veri” saranno da verificare in estate, quando saranno stati rilasciati i servizi da più amministrazioni centrali (dopo l’Inps, già partito, anche l’Inail e l’Agenzia delle Entrate) e da alcune regioni e comuni (si è partiti con la sola Toscana).

Un primo bilancio

L’essere arrivati a questo risultato solo con alcuni mesi di ritardo rispetto al piano iniziale è comunque da considerare positivamente, anche valutando il tempo abbastanza breve che ha portato Spid dall’ideazione alla messa in campo, oltre che alle poche risorse di cui dispone ancor oggi l’Agenzia per l’Italia Digitale (Agid).

Positivo è anche l’inquadramento di Spid come tassello fondamentale di un disegno più ampio, che vuole promuovere la cittadinanza digitale, che ha ormai l’etichetta di Italia Login e che definisce lo scenario in cui “la PA va dal cittadino”, e cioè la disponibilità dei servizi digitali pubblici nella casa digitale di ciascun cittadino.

Positiva è anche la convinzione, condivisa prima di tutto da Agid e dagli attori principali istituzionali, che Spid non abiliti soltanto lo sviluppo e la fruibilità dei servizi digitali pubblici, ma che sia una grande opportunità prima di tutto per il mercato, e per i servizi dei privati che grazie a Spid possono avere una spinta di diffusione notevole.

Se però valutiamo la presenza delle condizioni per la fase successiva di “execution”, che adesso si apre, e che è l’unica che rende concreta ed effettiva l’innovazione, risulta evidente che con urgenza debbano essere prese decisioni e messe in atto azioni in più ambiti, ristrutturando e riconfigurando il programma per come oggi lo vediamo definito.

E questa necessità è esplicitata da un’affermazione condivisa in maniera unanime anche all’incontro promosso il 10 marzo scorso da FPA, Inail e Poste, proprio sullo stato di Spid: Spid è un programma di carattere primariamente organizzativo e non tecnologico, ha a che fare con la trasformazione digitale delle PA, e non con il semplice cambiamento del sistema di autenticazione ai servizi digitali. Ma perché quindi possa svilupparsi come tale, è un programma da riconfigurare nell’ambito che gli è proprio, in termini di governance, di regole, di attori coinvolti. Ed è importante capire come si siano predisposte le condizioni per i tre elementi fondamentali per la diffusione di Spid:

  • le competenze dei cittadini;
  • la facilità, la chiarezza e il costo nell’accesso;
  • l’utilità di accesso, legata alla disponibilità e alla fruibilità dei servizi raggiungibili.

Competenze

Tra le ragioni per cui non ci si connette a Internet in Italia il fattore “mancanza di competenze” è tra i più alti in Europa e molto più elevato di Paesi come la Francia (46% contro 28%).

Chiaramente le basse competenze digitali (solo il 43% degli italiani ne possiede a livello base o superiore) fanno sì che almeno un terzo di coloro che pur navigano su Internet (percentuale tra le più basse in Europa: 63%) ha competenze digitali insufficienti. Partiamo, così, probabilmente con meno della metà della popolazione in grado di comprendere, oggi, cos’è l’identità digitale.

Una situazione di emergenza di cui non si può non tener conto.

A questa situazione si potrebbe sommare anche la mancanza di indicazioni precise sugli standard di sicurezza da seguire, se il livello di competenza fosse tale da comprendere i rischi che questo comporta. Certamente, si somma invece l’impatto negativo della bassa fruibilità dei servizi, che alza ancora di più la barriera all’ingresso

L’Italia è uno dei Paesi con più basso tasso di utilizzo dei servizi digitali anche tra gli utenti di Internet e in termini di utilizzo di servizi di e-government che richiedono la compilazione di moduli siamo al 17,9% (contro una media europea del 32,1%). Questo dato non ha a che fare con il numero di servizi disponibili (qui l’Italia è in linea), ma con la loro fruibilità.

Lo sforzo fatto con la definizione delle linee guida per il design va certamente in questa direzione, ma il design non basta. Bisogna pensare ad una ristrutturazione radicale della logica dei servizi attuali, partendo dalle esigenze e dalla logica di utilizzo degli utenti. Dal “perché” e dal “cosa”, e da qui derivarne le scelte tecniche.

Come sottolineato dal direttore IT di Inps Blandamura, i 18 milioni di pin distribuiti da Inps non hanno eliminato le code, perché i servizi non sono stati realizzati “pensando digitale”. E la digitalizzazione dell’esistente è la negazione assoluta della trasformazione digitale, oltre che un incentivo forte allo sviluppo dell’intermediazione (oggi prevalente, ad esempio, sui servizi Inps).

La semplice (per quanto impegnativa tecnicamente) migrazione dei vecchi servizi alla nuova piattaforma, non risolve il problema della fruibilità. Anche con Spid e con un nuovo design, le difficoltà di comprensione e di reperimento delle informazioni rimarranno, per i cittadini e le imprese, intatti.

Le parole chiave sono qui riorganizzazione dei processi, sviluppo delle competenze dei dipendenti, dei manager e dei fornitori. Cruciali per “vendere” il vantaggio del digitale. Ma non si vedono ancora strategie e azioni organiche su questo fronte a livello nazionale. Alcune amministrazioni lo stanno facendo, le Regioni stanno avviando l’iniziativa dei centri di competenza per agevolare il cammino. Peccato che stiamo parlando, in termini di project management, di un “cammino critico”, che determina il successo e i tempi dell’intero programma.

Accesso

Poiché il cittadino deve essere “convinto” ad acquisire le credenziali Spid, in qualche modo facendo sì che si inneschi anche una sorta di “pressione dal basso” verso l’allineamento dei servizi pubblici e privati su Spid, è importante rimuovere gli ostacoli principali che alimentano diffidenza. Soprattutto in una popolazione che per un terzo non ha mai navigato su Internet e che finora ha disertato la possibilità dell’accesso ai servizi online: ben il 42% degli utenti Inps, secondo i dati diffusi dal presidente Boeri, ad esempio, ha, infatti, scelto di non richiedere il pin e continuato a preferire la modalità tradizionale di accesso, in presenza e negli uffici.

Ma nella definizione e nell’attuazione del modello di accesso, c’è qualcosa che forse non torna, sulle modalità e sui costi, in gran parte per la scelta di aprire ai privati (oggi “solo” ai privati) la gestione del servizio di fornitura dell’identitità digitale.

Cosa non torna?

Le modalità di richiesta sono già diverse tra i tre primi operatori, e lo saranno ancor di più con l’ingresso dei nuovi. E le difficoltà spesso si evidenziano “dopo” la prova di richiesta. Inoltre, alcune delle regole che praticamente tutti gli italiani hanno imparato, come utenti di cellulari, è che i costi devono essere trasparenti anche in prospettiva e che cambiare operatore è sempre possibile e non costa nulla. Spid, invece, è dichiaratamente gratuito solo per i primi due anni e la portabilità, assicurata per legge, sarà quasi sicuramente a pagamento. Ma, anche questo, non è certo. Sembra invece certo che il sistema di terzo livello (quello che garantisce massima sicurezza anche con l’uso di smart card) e ancora non certificato, sarà a pagamento.

Tra l’altro, questo degli Identity Provider è un mercato oggi con bassa concorrenza e pochi operatori, anche a causa della soglia elevata di capitale sociale (10 milioni di euro) che, riproposta nel nuovo Cad oggi in discussione, sbarra l’accesso alla gran parte delle imprese italiane. Il dubbio che, alla fine, tutto avrà un costo (e non si sa quale) è più che lecito.

Se si pensa che sia necessario creare un contesto di “fiducia” per il cittadino, non ci siamo.

Come si fa a scegliere un operatore senza aver chiare le differenze di costo appena tra due anni e quali saranno i costi (e altre eventuali difficoltà, come la possibile ri-autenticazione) per cambiare? E poi, se le credenziali Spid diventano necessarie per l’accesso ai servizi digitali pubblici, è giustificabile che siano gestite secondo leggi di mercato (perché per gli operatori, alla fine, dovrà essere un servizio conveniente)?

Utilità

Un altro fattore chiave per il successo dell’iniziativa Spid è l’utilità, associata naturalmente alla disponibilità dei principali servizi digitali pubblici.

Uno dei principali benefici che si possono “toccare” (e quindi tra le maggiori leve per la richiesta delle credenziali Spid) è, infatti, quello del “pin unico” (come presentato all’opinione pubblica dal governo), ma finché rimane la necessità di gestire più credenziali (anche per servizi diversi erogati dallo stesso ente), ecco che il beneficio non appare visibile e concreto. L’utilità appare limitata e se, come sembra, chi ha già percorso la lunga procedura di acquisizione delle credenziali presso alcuni enti (Agenzia Entrate, Inps) sarà costretto a ripercorrerla, il contesto non sembra favorevole per la corsa dei cittadini alle credenziali Spid.

E la situazione, oggi, è molto frammentata.

Si parte con 300 servizi disponibili, da Inps e dalla Toscana. Ma non tutte le amministrazioni sono pronte. Alcune sono in cammino e prima dell’estate renderanno disponibili i servizi con Spid, ma molte (gran parte dei comuni medio-piccoli e piccoli, la maggioranza dei comuni) sono ancora ai blocchi di partenza.

Come affermato ad esempio dal coordinatore Anci per l’Agenda Digitale Alessandro Delli Noci, forse non sono più di 200 i comuni oggi in grado di percorrere la strada della riconfigurazione dei servizi in ottica Spid. Il percorso, per gli altri, è tutto da costruire, in termini di competenze digitali oggi mancanti e di organizzazione (ad esempio associando tra loro i comuni). E in assenza di una visione digitale, il rischio che si facciano condurre dai vendor di tecnologie è altissimo.

Forse il piano triennale IT di Agid conterrà anche delle linee di accompagnamento per la trasformazione digitale delle PA, forse il nuovo impulso dato da Anci e dalla nuova organizzazione delle Regioni porterà a definire la visione, la roadmap e gli strumenti e le azioni di accompagnamento. Ma ancora non ci sono. E se ne avverte la mancanza.

Insomma, oggi lo scenario è di una diffusione legata principalmente all’obbligo e ai switch-off dei principali servizi, poco alla richiesta volontaria. Se non si affrontano, però, i tre nodi brevemente descritti, il risultato sarà soltanto un aumento dell’intermediazione. E non è, certamente, quello che vogliamo.

Una roadmap possibile

E’ chiaro che l’attuale caratterizzazione tecnologica di Spid è il principale ostacolo da superare, da più punti di vista, del linguaggio e dalla comprensione nei confronti di una popolazione in gran parte “analfabeta digitale” e intermediata, nonostante abbia in tasca dispositivi tecnologicamente avanzati, ma anche dell’organicità di approccio verso tutti gli ambiti del modello strategico Agid.

E per la nuova fase di Spid, si può pensare di partire costruendo nuove e più ampie basi:

  1. un tavolo multistakeholder (richiesto già oggi dai diversi attori privati e pubblici, ma allargato anche ai cittadini) che consenta di affrontare i punti più critici e monitorarne l’evoluzione;
  2. un piano triennale delle competenze digitali, un’iniziativa strategica per lo sviluppo delle competenze digitali (delle PA, dei cittadini, delle imprese) che utilizzi al meglio le tante risorse dei fondi europei, e che nel quadro della Coalizione per le competenze digitali consenta di costruire un percorso misurabile;
  3. una roadmap, una guida per accompagnare le amministrazioni verso la trasformazione digitale (in termini anche di strumenti), che non può che coinvolgere attori esterni alle direzioni IT.

Occorre rapidamente uscire dalle discussioni dei soli “addetti ai lavori” ed essere consapevoli del salto culturale e organizzativo necessario. Rapidamente, presto. Perché tecnicamente siamo partiti bene, ma non basta.

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