Negli ultimi cinque anni abbiamo assistito ad un massiccio intervento ministeriale di spinta all’innovazione didattica e alla digitalizzazione della scuola. Si sono succeduti due piani nazionali di formazione (PNSD – Piano Nazionale Scuola Digitale) seguiti da una formazione altrettanto consistente su finanziamenti europei (PON 2014-2020).
Si tratta forse dell’azione formativa più ampia e complessa attuata nel sistema scolastico italiano in quanto a mole di finanziamenti e a complessità operativa. Un’azione che risponde, tuttavia, alla complessità dell’attuale società digitale, in cui l’intento primario della scuola deve essere quello di educare l’allievo a vivere in un contesto dai caratteri molteplici, integrati e contraddittori (reale, virtuale, fantastico), acquisendo continuamente nuove competenze e ristrutturando quelle già possedute. Un obiettivo che, come vedremo, dovrebbe essere declinato in una didattica del digitale e col digitale quotidiana e sostenibile, praticabile in ogni scuola per la formazione dell’uomo e del cittadino e non tanto o non solo in grandi e complessi progetti speciali ad alto impiego di risorse.
Aspetti positivi e limiti della formazione
Non tenterò qui nessun bilancio, esprimerò solo qualche riflessione: la questione è troppo ampia e le analisi che sono state abbozzate sono state viziate anche dal disagio dovuto ad uno status del personale della scuola travagliato da problemi che affliggono il sistema scolastico da tempi lontani, unitamente a questioni di natura politica che sviano verso approcci ideologici e che portano persino su un terreno di simpatie e antipatie personali.
È palese che il compito era arduo e che la tempistica era troppo stretta, le differenze tra scuole ed anche all’interno delle stesse sono peraltro evidenti e quindi l’impatto delle azioni è stato diverso, a volte positivo, a volte meno, a volte scarso. Va rilevato comunque che se non si fosse partiti con tale decisione e con obiettivi ambiziosi, non si sarebbe potuto avviare un processo di innovazione: azioni timide non avrebbero permesso di far uscire competenze ed esperienze di un nucleo di docenti e formatori preparati e spinti da entusiasmo per una professione fortemente attaccata nel prestigio.
La formazione è l’azione che più presenta aspetti positivi e al contempo manifesta alcuni limiti. Sicuramente il gradimento per un sistema di interventi ampio, articolato per categorie di soggetti professionali ed aree disciplinari e distribuito nel territorio è stato alto. La formazione attraverso azioni di laboratorio con sperimentazioni dirette ha fatto sorgere interesse e voglia di provare. Anche i percorsi brevi di formazione che hanno caratterizzato il PNSD (una novità) si sono rivelati molto fruibili.
Si sono evidenziati però due problemi: uno in corso di realizzazione dell’azione formativa e uno a seguire la stessa.
Formazione vs. diffusione di pratiche didattiche
C’è da chiedersi se la formazione è stata una vera formazione o un’azione, pur meritoria ed utile, di diffusione di pratiche didattiche.
Sono convinto che questa azione sia assolutamente necessaria nella scuola: per anni gli insegnanti hanno vissuto isolati senza condividere le loro esperienze professionali. Progetti nazionali e regionali promossi da INDIRE – ANSAS, unitamente alle opportunità fornite dal web hanno cominciato a diffondere prassi di documentazione tendenti a proporsi come narrazioni di comunità. La dimensione social del web ha spinto i docenti più innovativi a proporsi come formatori e a creare situazioni di dibattito professionale prima mai visti.
Tutto ciò è stato estremamente positivo, ma non può essere il finale di partita. Le pratiche presentate non hanno in molti casi sopportato alcuna valutazione che ne certifichi la qualità: è importante discuterle e riprovarle, ma è necessario che esse vengano analizzate e che ne vengano valutati gli impatti sul miglioramento dei processi di insegnamento/apprendimento. Questo non potrà che incentivare la loro diffusione e il loro accoglimento anche da parte di soggetti che qualche scetticismo l’hanno manifestato.
Elementi di complessità e rischio del digitale a scuola e come superarli
A fronte di un forse inaspettato entusiasmo, va rilevato anche l’emergere di un atteggiamento di contrarietà che in certi casi raggiunge anche la tecnofobia (il rifiuto di utilizzare il digitale sulla base di affermazioni che si configurano come preconcetti e non come argomentazioni). Alcuni elementi pericolosi in effetti vanno evidenziati: l’aggressività delle aziende del settore che intravvedono grosse possibilità di guadagno, il sorgere di mode, l’attenzione eccessiva posta sui dispositivi invece che sulle metodologie e sulle tecniche didattiche, un’approssimazione nell’affrontare questioni pedagogiche, usi semplicistici di procedure, contenuti e strumenti il cui utilizzo viene presentato come disponibile a tutti senza necessità di studio approfondito.
A tutto ciò va ad aggiungersi il carico di responsabilità che grava sul personale scolastico per ciò che attiene la gestione delle relazioni nel web e la loro degenerazione in violazione della privacy, del diritto d’autore e in fenomeni di cyberbullismo.
Questi elementi di complessità e di rischio non devono indurre ad evitale l’utilizzo di tecnologie e degli ambienti digitali di apprendimento; essi costituiscono, invece, una sfida professionale da affrontare con scientificità e senso di comunità.
Tale comunità dovrebbe concretizzarsi in reti e poli professionali di scuole e stakeholder in cui si effettui il riesame delle esperienze e si conduca ricerca sul campo coinvolgendo soggetti autorevoli sul piano scientifico che al momento rimangono molto sullo sfondo degli interventi.
L’organizzazione di soggetti territoriali in cui le esperienze si incontrino e incontrino il mondo della ricerca scientifica, le aziende, le categorie degli imprenditori e le associazioni può permettere, oltre alla correlazione stretta ai bisogni e alle vocazioni dei territori, anche la prosecuzione della formazione nei modi richiesti dall’utenza stessa.
Formazione e contestualizzazione degli apprendimenti
Il secondo problema che emerge è infatti l’eccitazione di una domanda di ulteriore formazione. Questa volta però la richiesta è quella non di una introduzione alle tematiche del digitale, ma di una contestualizzazione degli apprendimenti conseguiti nella formazione nelle realtà di insegnamento.
La richiesta è infatti di supporto, tutoraggio e counseling a scuola, direttamente nelle sperimentazioni poste in essere. Tale bisogno esprime certamente una normale insicurezza dei neofiti, ma prefigura anche una azione molto corretta e cioè la valutazione sul campo dell’impatto degli ambienti di apprendimento digitali nella predisposizione di Unità di Apprendimento, provvedendo ad una documentazione puntuale dei processi, al confronto, al dibattito professionale e ad una analisi scientifica che verifichi i risultati conseguiti rispetto a quelli attesi con il coinvolgimento di soggetti qualificati.
E’ evidente che questa operazione deve trovare dei soggetti attuatori che non possono che essere delle reti di scuole che organizzino le risorse locali e si colleghino tra di loro rispetto ad esigenze ed interessi professionali, di ricerca e di sviluppo di specifici pacchetti di offerta formativa, e non secondo configurazioni meramente locali o amministrative.
Progettazione e argomentazione
Nel vasto panorama operativo individuato dalle azioni del Piano Nazionale Scuola Digitale si possono individuare due priorità, due problematiche su cui tutte le scuole dovrebbero agire ed interagire: la progettazione e l’argomentazione.
Il pensiero computazionale
Per quanto riguarda la prima bisognerà riportare il dibattito su un livello più ampio rispetto a quello in cui viene attualmente confinata: il pensiero computazionale.
Una riflessione sulle forme del pensiero è senz’altro utile ed interessante, ma il tema è anche contraddittorio: qualcuno nega anche la stessa esistenza di un pensiero computazionale.
Senza addentrarci in un dibattito complesso ed impossibile da sintetizzare in poche righe, va detto che la tematica forte è appunto quella della progettazione e non tanto il pensiero computazionale. E’ questo il grande processo in cui il pensiero computazionale rientra. E’ necessaria una visione olistica in proposito per non rischiare di perdere di vista la complessità che ci si pone di fronte.
Le diverse forme di progettazione
La progettazione oggi non è più quella lineare dell’industrialesimo e sicuramente va analizzata nelle sue diverse forme: quella ingegneristica, quella architettonica e quella urbanistica, territoriale ed ambientale, quella del ciclo del prodotto (compreso il suo riutilizzo, recupero e riciclo), quella gestionale e logistica, quella finanziaria, quella di organizzazione di eventi.
Vi è poi la progettazione del brand dei prodotti che passa per la reputazione dei soggetti che lo gestiscono e per la condivisione di storie (Andrea Fontana) in cui gli attori della produzione e della commercializzazione si incontrano e condividono valori e opinioni con i fruitori, creando la percezione di un mondo fantastico assolutamente “reale” in cui è piacevole vivere ed incontrarsi.
Lo sviluppo del pensiero computazionale è dunque indispensabile, ma in un quadro ampio che organizzi la complessità dei processi di progettazione così come sono strutturati nella realtà produttiva, economica e sociale. Risulta evidente che è fondamentale attivare quelle competenze imprenditoriali di cui si parla meno, ma che sono indispensabili per non relegare il pensiero computazionale in una dimensione di neo-bricolage.
L’argomentazione negata
Per quanto riguarda l’altra problematica, l’argomentazione, si potrà verificare come di fatto essa venga negata: assistiamo quotidianamente ad una sorta di comunicazione “finzionante”, che cerca continuamente consenso al di là del principio di realtà. Esistono molteplici e continui esempi di argomentazioni fasulle, di ragionamenti basati su asserzioni indimostrabili, su fonti e dati falsi, su pregiudizi aprioristici, su associazioni prive di significato, su una ricerca di condivisione empatica totalmente fuori dal tema in questione.
Inoltre, paradossalmente, assistiamo ad un bisogno di certezze assolute a fronte di un ormai altissimo grado di complessità che non può permettere spesso soluzioni totali e durature dei problemi. Ecco allora il rifiuto della scienza ufficiale (che affronta l’incertezza e vi convive), iniziato con l’avversione degli albergatori balneari per le previsioni del tempo non favorevoli (per chi vuole certezza di guadagno è difficile accettare il concetto stesso di previsione perché include la possibilità di errore) e che è arrivato al rifiuto dei vaccini a cui si attribuiscono l’insorgere di altre malattie che non possono, almeno attualmente, essere debellate.
Non si accetta la sconfitta e di fronte a problemi complessi, di non immediata e completa soluzione, ci si rifugia in spiegazioni semplici e appaganti (ma false), individuando un soggetto ben definito come colpevole (un alieno in cui materializzare il nemico).
Narrazioni fantastiche che funzionano come reali
Il digitale purtroppo ha agito negativamente su questa dimensione sociale, corroborando tali approcci devianti. Fake news e bufale sono l’elemento più evidente, ma esse si fondano su una più ampia sciatteria di analisi e di connessione delle informazioni che forniscono spazio allo svilupparsi e al diffondersi velocissimo attraverso i social network di narrazioni fantastiche che funzionano come reali (Andrea Fontana) e che appagano chi le fruisce e le condivide.
Anche se si può condividere l’idea che noi comunque viviamo nelle rappresentazioni che la nostra mente genera e che quelle sono la realtà, è evidente che dobbiamo controllare rappresentazioni che minano la nostra possibilità di sopravvivenza e che producono ingiustizie, sopraffazioni e violenza (per i giovani e la scuola è nota a tutti la pericolosità ad esempio del cyberbullismo).
Scuola e digitale per rieducare all’argomentazione
In questo generale affermarsi di una comunicazione volta alla persuasione verso affermazioni prive di una reale argomentazione, va rilevato come il digitale stesso metta a disposizione strumenti di contrasto.
E’ sicuramente compito della scuola ed in primis dei docenti procedere ad una ri-educazione alla argomentazione. Bisogna concentrarsi su quattro punti fondamentali:
- la ricerca di informazioni e l’analisi della loro veridicità;
- la raccolta e l’organizzazione delle informazioni in repertori organizzati e finalizzati di categorie;
- la pianificazione e la realizzazione di elaborati a partire dai repertori di cui al punto precedente che rispondano a precisi compiti e soluzioni di problemi;
- il debate delle tesi elaborate condividendo anche il repertorio di risorse su cui si è lavorato.
Le rete mette a disposizioni specifiche web application, disponibili anche “in abbonamento gratuito”, che possono essere utili a gestire le predette azioni. In buona misura, si tratta di piattaforme di content curation che assolvono alle funzioni di raccolta organizzata di materiali e risorse della rete, di loro confronto e connessione, nonché di pubblicazione di contributi di collazione e/o originali immersi in un contesto social in cui si possono avviare discussioni attraverso commenti, forum, collaborazioni per la ristrutturazione condivisa degli elaborati e dei repertori.
Gli strumenti del web
Possiamo reperire facilmente strumenti di selezione e annotazione dei contenuti del web (ad esempio, Diigo), web application per la gestione di citazioni dal web, (ad esempio, Sylvan Paper – Citelighter) strumenti di annotazione e discussione dei video (ad esempio, NowComment) aggregatori di risorse (ad esempio, Pearltrees), piattaforme per la produzione di mappe concettuali e mentali (ad esempio, Wise Mapping), strumenti di presentazione (ad esempio, Vcasmo), piattaforme per creare Personal Learning Enviroment (ad esempio, Symbaloo). Specifiche web application agevolano poi il debate anche a distanza (ad esempio, Kialo).
La promozione dell’innovazione nella scuola
Questa prassi è una delle prassi promosse dall’iniziativa di INDIRE “Avanguardie Educative” che ha come finalità la promozione dell’innovazione nella scuola aggregando scuole che vogliano far proprie esperienze innovative e collaborare alla loro promozione e alla ricerca sulle stesse. Tali prassi, molto diversificate, prevedono un forte utilizzo del digitale ma propongono delle condizioni organizzative e delle metodologie innovative e non il semplice uso di dispositivi, software e piattaforme.
L’intento complessivo non può che essere dunque, quello di educare l’allievo a vivere nell’attuale società dai caratteri molteplici, integrati e contraddittori (reale, virtuale, fantastico), acquisendo continuamente nuove competenze e ristrutturando quelle già possedute costruendo un bagaglio consistente di strumenti culturali per affrontare la complessità e vincere così l’ansia che alimenta spesso nei social (e non solo) discussioni solo apparenti perché limitate ad affermazioni drasticamente contrapposte, che rendono evidente la frustrazione di non saper accettare la realtà e, ancor più, di non saper elaborare soluzioni reali dei problemi.
Tutti gli interventi del PNSD Il Piano Nazionale Scuola Digitale prevede non solo formazione, ma ben 35 azioni con interventi sulle infrastrutture (cablaggio e connettività), sull’edilizia scolastica, sulla gestione degli spazi educativi e sulla costruzione di ambienti di apprendimento, sull’identità digitale di studenti e docenti, sulla digitalizzazione della gestione amministrativa e della gestione dei dati, sullo sviluppo di competenze digitali nel framework europeo, sulla formazione di tutto il personale scolastico, sulla mobilità dei docenti per l’internazionalizzazione della scuola, sulla produzione e condivisione di contenuti digitali attraverso biblioteche scolastiche e risorse aperte. Inoltre, il Piano ha istituito in tutte le scuole specifiche figure di riferimento integrate tra loro per la gestione dell’innovazione digitale:
Molte Regioni hanno poi contribuito con progetti specifici al piano di sviluppo digitale e con impegno di ulteriori risorse finanziarie. Altri interventi per il digitale nelle scuole Vanno tenuti presente anche altri interventi di vasta portata che hanno contribuito a promuovere, seppur indirettamente, il digitale, in particolare:
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