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Una politica industriale per il digitale: il Governo Conte sia il primo a riuscirci

L’area degli “ecosistemi” è la più debole del Piano Triennale per l’informatica delle PA. La colpa è la mancanza di una politica industriale su questi temi. Tutti i governi hanno fallito a riguardo, vediamo se il nuovo riuscirà nell’impresa. Il futuro di Agid è un tassello di questo quadro più ampio

Pubblicato il 16 Lug 2018

Nello Iacono

Esperto processi di innovazione

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Come riconosciuto da più parti, non considerando i temi dell’accompagnamento alla trasformazione digitale delle PA e della governance complessiva, la principale debolezza del Piano Triennale per l’Informatica della PA è nella definizione degli Ecosistemi.

Non per responsabilità di AgID e del Team Digitale, ma per l’assenza di una scelta chiara di politica industriale da parte dei governi che si sono fin qui succeduti. Una scelta di politica industriale che è importante e necessaria, perché, soprattutto in un periodo di scarse risorse, permette di orientare le priorità di investimento e, in qualche modo, anche di caratterizzare il futuro del Paese.

Come scrivevo qualche anno fa non è possibile avere successo su una strategia di crescita senza una chiara politica industriale. Senza, cioè, che sia definito l’insieme strutturato di interventi (policy, programmi e strumenti) deciso e organizzato dal soggetto pubblico, finalizzato ad influenzare il sistema industriale secondo direzioni, tempi ed entità diversi da quanto sarebbe avvenuto in assenza degli interventi stessi, per perseguire finalità di carattere micro e macro-economico e sociale. La mancanza di strategia, in questo senso, determina una situazione che credo sia impossibile da sostenere, perché suicida: infatti, se non scegliamo i settori strategici su cui investire, l’alternativa è di scegliere quelli da far fallire?

Una politica industriale per il digitale, come? 

E’ necessaria e urgente una politica industriale da cui partire per la realizzazione di ecosistemi innovativi, su cui costruire la convergenza e la co-progettazione dei diversi soggetti pubblici e privati in ambito di programmazione strutturale europea e di ricerca, per una focalizzazione a tutto tondo che indirizzi anche lo sviluppo delle competenze e delle professionalità che richiede il percorso verso l’eccellenza nei settori che si definiscono come strategici.

Una scelta di politica industriale è condizione essenziale per qualsiasi sviluppo socio-economico e non è tema che possa essere eluso per troppo tempo, perché il danno che si produce è difficilmente recuperabile.

Non è solo una questione di investimenti a supporto dello sviluppo di mercato, ma rappresenta

  • un’indicazione per il sistema educativo, per sviluppare percorsi di formazione che preparino professionalità adeguate alla richiesta delle organizzazioni, anche in termini di formazione permanente;

  • un riferimento per fondi e aziende private anche internazionali, rispetto a target e programmi finanziati;

  • un impegno definito e una base di analisi per comprendere la presenza delle condizioni necessarie di sviluppo e sulle quali può intervenire direttamente lo “Stato imprenditore delineato da Mariana Mazzucato (Stato innovatore, nella versione italiana) secondo una prassi che ha portato non solo i Paesi europei, ma anche gli Usa, ad esempio, a realizzare interventi diretti per difendere dei settori strategici o sostenerne altri per i quali era necessario un significativo sviluppo delle tecnologie di base;

La scelta necessaria e il ruolo dello Stato

La definizione dei settori strategici implica anche la scelta sul modello di sviluppo che si vuol perseguire su quei settori e quindi anche sul ruolo che deve rivestire l’istituzione pubblica. Scegliere il modello di mercato che si vuole sostenere e quindi la regolamentazione e le iniziative più idonee da mettere in campo da parte dello Stato. Se pensiamo al settore IT, questo significa, ad esempio, scegliere tra un modello polarizzato su poche grandi aziende che si pongono a un livello superiore di interazione con la Pubblica Amministrazione rispetto alle PMI subalterne, e un modello di Open Innovation, in cui l’eccellenza specifica delle PMI può entrare direttamente in contatto con le esigenze delle grandi aziende e del settore pubblico, anche promuovendone la spinta innovatrice, e dove lo Stato opera per abilitare sperimentazioni e innovazioni su aree di grande innovazione e concreta ricaduta. Definire una politica industriale e “scegliere” significa anche, da questo punto di vista, sviluppare luoghi di collaborazione, scambio e condivisione tra le imprese, le PA, le università e i centri di ricerca, costruire piattaforme abilitanti, creare le condizioni normative e finanziarie per la sostenibilità del modello scelto.

Da queste scelte passa l’identificazione non solo degli ecosistemi strategici, ma anche del loro modello di sostenibilità e del ruolo dello Stato (centrale, ma anche nelle sue articolazioni territoriali), poiché dipendono dalle politiche di sviluppo di settore.

In termini ancora più concreti: il turismo è un settore strategico? Allora, ad esempio, l’investimento statale su piattaforme integrate di gestione dei flussi turistici o di (Big) Data Analytics è essenziale, perché diventano la base per servizi integrati da offrire ai turisti consentendo un’alta configurabilità e completezza del progetto e dell’esperienza di viaggio. Sapendo che questo intervento deve essere concepito come una spinta al settore privato per eventuali soluzioni alternative, e non come una mossa monopolistica e livellante.

Il futuro della governance e di Agid

Fatte queste scelte strategiche, le modalità di intervento statale che ne derivano impongono anche la definizione di una governance adeguata, che consenta di conciliare e combinare l’ottimizzazione dell’intervento centrale e la valorizzazione delle competenze territoriali, oltre che il livello di sistema e quello specifico di settore. E in questo contesto certamente si innesta il tema, cruciale, del futuro di AgID e del TeamDigitale, un futuro ancora da delineare e che ci si auspica consenta di salvaguardare e sostenere le iniziative avviate nell’ambito del Piano Triennale, continuando a rafforzare il metodo della “progettazione partecipata” che già è applicato con buoni risultati., ma al contempo razionalizzando e completando la governance.

Qui insieme a Luca Gastaldi ho avanzato alcune proposte, evidenziando anche un nodo da superare al più presto per consentire la massima efficacia alle azioni di AgID, e cioè quello della “connotazione chiara delle due anime di AgID, una legata alla regolamentazione e una al supporto, al coordinamento dell’attuazione e alla realizzazione delle piattaforme abilitanti (oggi condivisa con il Team Digitale), in modo da prevedere due strutture correlate ma con competenze, dimensioni e modalità di intervento del tutto diverse”.

In un contesto di progetti ambiziosi in corso e con i principali risultati ancora da conseguire, porre l’agenda digitale come elemento centrale della strategia di sviluppo è fondamentale da affermare e rendere concreto. Anche questa è una scelta, come quella che porta alla definizione di una politica industriale del nostro Paese. Ed è necessario scegliere.

Per una nuova governance del digitale: alcune proposte

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