Diciamolo subito in modo netto: il “Foia” tutto italiano costituisce nei suoi effetti concreti un’evidente retromarcia rispetto alla trasparenza garantita al cittadino prima della sua pubblicazione. Ci piaccia o non ci piaccia questo è purtroppo oggettivo e va detto con forza e senza ipocrisie.
Va comunque riferito che è vero che nel testo definitivo del decreto di modifica del D.Lgs. 33/2013 di revisione delle disposizioni in materia di trasparenza, con cui si introduce anche quello che pomposamente abbiamo voluto definire il Freedom of Information Act italiano (alimentando forse troppe aspettative), licenziato dal Consiglio dei Ministri del 17 maggio 2016, sono state accolte e condivise molte delle osservazioni formulate nella lettera aperta al Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione, On.le Marianna Madia, redatta dall’On. Mara Mucci e firmata da ANORC e da altre importanti associazioni (tra le quali Iwa e Agorà Digitale), nonché da diciassette parlamentari. Tra le più rilevanti, sicuramente:
– la gratuità del rilascio di copie in formato elettronico di dati e documenti in relazione ai quali si è esercitato l’accesso civico;
– l’obbligo di conclusione del procedimento con provvedimento espresso e motivato;
– l’estensione dei rimedi esperibili in caso di diniego, contro il quale ora si prevede la possibilità non solo di presentare ricorso al TAR, ma anche istanza di riesame al Responsabile per la prevenzione della corruzione e della trasparenza o al Difensore civico;
– l’introduzione del requisito di un rischio di pregiudizio “concreto” alla tutela degli interessi pubblici o privati che legittimerebbero il diniego all’istanza di accesso civico.
Ma il recepimento di queste osservazioni (e ringraziamo in ogni caso il ministro Marianna Madia per l’attenzione concessa, e questo è stato l’unico dato davvero positivo) di certo non è sufficiente a invertire il passo indietro che si sta facendo compiere al “decreto trasparenza”, quello vero e, cioè, il decreto legislativo 33/2013 che viene pesantemente ridimensionato in molti suoi punti, proprio quelli più importanti, finalizzati a rendere concretamente esercitabile per i cittadini il diritto civico alla trasparenza. Oggi, con questo Foia, l’arma della trasparenza per i cittadini ha purtroppo la punta smussata e provo a spiegarvi in modo sintetico perché.
Come è noto, il Freedom of Information Act prende le mosse dalla legge sulla libertà di informazione emanata negli Stati Uniti nel 1966: si tratta dunque di un istituto giuridico piuttosto vecchiotto, ma pur sempre importante della common law americana. Non possiamo non chiederci, tuttavia e prima di tutto, se abbia avuto davvero senso introdurlo oggi con queste connotazioni in Italia, dove abbiamo una tradizione giuridica profondamente diversa e soprattutto siamo già forniti di normative sulla trasparenza da poco entrate in vigore nel nostro ordinamento e finalmente in fase di applicazione reale. In effetti, questo Foia (molto, troppo) italiano suscita – nonostante le modifiche in corso d’opera – non poche perplessità: l’Italia, infatti, meritava un rafforzamento della trasparenza già contenuta nel D.Lgs. 33/2013, mentre di fatto con questa nuova normativa si sta, invece, burocratizzando la trasparenza e si finirà, purtroppo, per limitarla. In particolare, come già riferito, le modifiche intervenute in seguito al parere critico della Commissione Affari Costituzionali – che ha tenuto nella dovuta considerazione gran parte dei suggerimenti forniti dai tanti enti e associazioni coinvolti – non appaiono sufficienti a compensare il depotenziamento delle norme sulla trasparenza amministrativa e sugli obblighi di pubblicazione introdotti originariamente con il D.Lgs. 33/2013. Abbiamo infatti inserito nel nostro ordinamento in modo piuttosto maldestro un istituto “ispirato” astrattamente ai principi del FOIA vigente in altri Paesi (non solo negli Stati Uniti, ma anche nel Regno Unito e in Svezia, ovviamente con presupposti e connotazioni diverse), snaturandone però gli elementi fondamentali con la previsione, ad esempio, per l’esercizio dello stesso di generiche ed estese eccezioni (senza peraltro prevedere sanzioni in caso di violazione da parte degli enti pubblici) e che di fatto finisce per celebrare il funerale della trasparenza, per la quale si era invece segnato nel nostro Paese un primo importante passo proprio con il già citato D.Lgs. n. 33/2013.
Se davvero chiediamo (e pretendiamo) trasparenza garantita tramite i siti web, dovremmo invece evitare del tutto che i cittadini debbano effettuare una richiesta specifica di accesso, rimanendo “infoiati” nei meandri di una nuova burocrazia telematica. Sarebbe stato quindi opportuno concentrarsi sulla trasparenza on line, quella già prevista in Italia sui siti istituzionali della PA, già garantita, quindi, dal D.Lgs. 33/2013. Invece di concentrarsi su ingenti campagne di comunicazioni finalizzate a introdurre istituti inutili in Italia, sarebbe stato molto più utile ampliare ulteriormente la trasparenza presente nel nostro ordinamento, favorendone una maggiore concretizzazione attraverso una precipua attenzione ai processi di digitalizzazione della PA. Non c’è, infatti, trasparenza reale senza serie e affidabili politiche di digitalizzazione finalizzate a rendere disponibili on line sui siti istituzionali tutti i dati (esatti) delle pubbliche amministrazioni.
E invece proprio su questo non ci siamo. Infatti, ed è questo l’aspetto più grave, non si può non sottolineare che con il nuovo testo normativo si prevede che gli obblighi di pubblicazione più importanti, grazie ai quali i cittadini potevano sino ad oggi esercitare un controllo sull’utilizzo delle risorse economiche tramite un semplice accesso alla home page del sito web dell’ente, alla sezione Amministrazione Trasparente (obblighi di pubblicazione relativi, ad esempio, al bilancio, al conferimento di incarichi di collaborazione o consulenza, ai dati relativi agli enti pubblici vigilati e agli enti di diritto privato in controllo pubblico, nonché alle partecipazioni in società di diritto privato, alla scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi, ai rendiconti dei gruppi consiliari regionali e provinciali, alle informazioni identificative degli immobili posseduti, ai canoni di locazione o di affitto versati o percepiti), saranno sostituibili dalla pubblicazione di un link a una delle banche dati – le cui modalità di accesso non risultano essere state disciplinate – nelle quali tali dati sono raccolti: insomma, se in passato i dati utili il cittadino poteva facilmente trovarli sul sito web della PA (e doveva essere messo nella condizione di trovarli in modo digitalmente trasparente), da domani lo stesso cittadino impazzirà nei meandri di immensi database pubblici. Se a questo sommiamo il disorientamento che sarà generato dalla possibile attivazione di tre diverse “ tipologie di accesso” (ex Legge 241/90; diritto di accesso civico per i dati di pubblicazione obbligatoria; accesso civico ai sensi del nuovo Foia), che si ripercuoterà sia sulle PA dal punto di vista della verifica e gestione delle istanze presentate, sia – e soprattutto – sui cittadini che dovranno faticosamente districarsi tra istituti diversi, possiamo facilmente renderci conto che in concreto il cittadino ha perso in partenza la sua battaglia per vedere tutelati in modo semplice e diretto i suoi diritti alla trasparenza (quella reale e non raccontata in un interminabile storytelling a cui da troppo tempo stiamo assistendo).
In definitiva, dunque, considerando la burocratizzazione delle istanze di accesso civico, l’introduzione delle ampie eccezioni previste all’esercizio dello stesso, il caos che sarà determinato dalla corretta individuazione del soggetto che sarà competente a provvedere su quella precisa istanza presentata dal cittadino (URP? Responsabile della prevenzione e della corruzione? Ufficio che detiene i dati, le informazioni o i documenti richiesti? Altro ufficio indicato nella sezione “Amministrazione trasparente” del sito istituzionale dell’Ente?), nonché il rischio di un’oggettiva difficoltà di orientamento nell’individuazione dell’informazione di interesse nelle basi di dati poste in consultazione, i cittadini che volessero esercitare il diritto di accesso civico si troveranno di fatto in un vero e proprio labirinto, la cui via d’uscita sarà ai loro occhi tutt’altro che trasparente!
In poche parole: con il Foia il nostro ordinamento ha compiuto un incredibile passo del gambero in termini di trasparenza, seppur non lo si vuole dire apertamente. Mi permetto di iniziare a dirlo io.