Via la carta, via l’archivio, via l’armadio, via anche il server da sotto la scrivania. Il 12 agosto 2016 sarà un capodanno speciale per gli Enti locali. Di quelli in cui dal balcone, che tu lo voglia o no, devi buttare giù tutto. Apri la finestra del municipio e abbandona – si fa per dire – la storia della gestione documentale cartacea degli ultimi sessant’anni. Il Dpcm del 13 novembre 2014 lascia poco margine di manovra, generando non poca confusione in particolare ai piccoli Comuni. Con le nuove regole relative alla formazione, trasmissione, copia, duplicazione, conservazione, riproduzione e validazione temporale dei documenti informatici nella PA stanno entrando in crisi gli enti più piccoli, con meno personale e con una minor spinta all’innovazione. Non per volontà, ma per una accertata spinta verso la tradizione e non al cambiamento. Come succede con tutte le norme relative all’agenda digitale sono tutte misurate sulle realtà amministrative grandi, sulle città. Un ostacolo non banale per il sindaco di un Comune piccolo, sotto i cinquemila abitanti che affronta le necessità della digitalizzazione e della dematerializzazione senza uffici di supporto.
A evitare l’inevitabile caos, ci hanno pensato in molti casi le Regioni, come Veneto e Lombardia, che hanno dato linee guida più chiare e messo al lavoro, per supporto, le loro direzioni enti locali. Il Piemonte dei mille campanili, ad esempio, ha spinto i Comuni piccoli a inserire questo fronte nelle unioni, nelle aggregazioni sovracomunali.
Tre sono però le necessità immediate, in vista della “data vacanziera” agostana. La prima è quella della formazione. Del 12 agosto sanno pochi addetti ai lavori, pochi amministratori. Sono a conoscenza della scadenza, ma non sanno come guidare la macchina. Serve un coordinamento nazionale, probabilmente di Agid, specifico per piccoli Comuni e Unioni. Formare vuol dire conoscenza prima di tutto.
Secondo tema è quello interno alla PA dei “piccoli”. Non deve dire di sentirsi vessata, come spesso accade parlando di innovazione, ma piuttosto chiedere supporto e interazione con gli enti più grandi e con i soggetti pubblici o misti dell’Ict che possono assistere il passaggio verso la dematerializzazione. Non lamentarsi per un percorso che tocca l’intera Europa (e ci vede in ritardo), ma agire per migliorarsi utilizzando chi il lavoro l’ha già fatto. Molte Regioni hanno varato per gli stessi enti regionali, per le province, per le città metropolitane, per i Comuni più grandi, programmi di supporto. Questi devono essere estesi, con le dovute accezioni e peculiarità, ai piccoli riuniti in Unione.
Terzo fronte è quello ovviamente relativo alla rete. Anche su questo sito, abbiamo già ripetuto varie volte come in assenza di infrastruttura, tutti i provvedimenti dell’agenda digitale per il 52% del Paese che è montano (a cui aggiungere “aree interne” di pianura e collina a bassa densità di popolazione, dunque “a fallimento di mercato”) resteranno a lungo inapplicati. Non c’è banda, né larga né stretta, in troppi Comuni. E il rischio forte è legato banalmente alle condizioni meteo. La rete, in caso di nevicate o condizioni meteo avverse, non è la stessa. Si interrompono le linee telefoniche ed elettriche con un temporale. In troppi Comuni. Problemi già segnalati migliaia di volte dai Sindaci a Enel e Telecom. Come dematerializzare pratiche edilizie o qualsiasi altro documento da e per la PA se poi non ho la certezza di poterlo gestire in cloud per mancanza di accesso alla rete? È una delle più grandi sfide che il dpcm del 13 novembre 2014 non contempla e che invece nelle Terre Alte è il primo e, a volte l’unico, scoglio anche per i più innovatori che vogliono adempiere la norma.