L’intensa attività di storytelling degli ultimi anni sullo sviluppo dell’Agenda Digitale in Italia si è recentemente riaccesa con l’interessante dibattito circa la nuova governance dell’AgID. Condivisa è la considerazione che solo una governance adeguata potrà consentire il superamento delle criticità emerse nel difficile e accidentato processo di avvicinamento all’auspicata Italia digitale.
Sarebbe però un grave errore immaginare che la scelta di una governance capace e illuminata possa, da sola, far ripartire la gestione virtuosa del digitale nel nostro Paese.
Digitalizzazione, un percorso coerente e condiviso
Lo sviluppo del digitale in Italia richiede infatti che la governance abbia non solo competenze idonee e risorse sufficienti da mettere in gioco, ma che abbia anche i poteri necessari per orientare e coordinare, in qualche forma, i cambiamenti normativi, amministrativi, organizzativi e tecnologici necessari. La digitalizzazione del Paese necessita infatti di un percorso coerente e condiviso che realizzi i numerosi processi di allineamento di dati e procedure anche tra istituzioni ed enti diversi, che devono essere necessariamente governati e coordinati da un’unica regia. A questo non può che corrispondere un importante adeguamento organizzativo e culturale della PA, che risulti coerente con la vision dello sviluppo del Paese.
In relazione ai dati è facile infatti immaginare come proprio lo sviluppo dei sistemi e dei servizi digitali richieda in primo luogo la completezza e la coerenza dei dati. Non sorprende allora la difficoltà di incrociare ed integrare banche dati gestite finora da una molteplicità di istituzioni, enti, dipartimenti ed uffici diversi, e che risultano spesso incomplete ed incoerenti, e organizzate secondo logiche derivanti – nel migliore dei casi – da finalità diverse.
Semplificare e standardizzare i processi della PA
Anche per le applicazioni è necessario tener conto che per ottenere benefici concreti ed importanti la trasformazione digitale non passa esclusivamente dall’automazione dei processi così come sono definiti attualmente ma necessita di una loro profonda semplificazione e standardizzazione.
A seguito di quanto detto, appare improcrastinabile l’esigenza di dare inizio ad una nuova e profonda fase di riorganizzazione della PA che risulti coerente con le nuove esigenze del Paese, delle imprese e dei singoli cittadini. Con l’evoluzione tecnologica emerge inoltre l’esigenza di un disegno dei processi che sia ben distinto dall’infrastruttura tecnologica sulla quale dovranno essere implementati e che anzi sappia trarre i massimi benefici dalle diverse tecnologie che saranno rese via via disponibili.
Formare e riqualificare il personale della PA
Nondimeno elemento cruciale, al quale sempre più spesso si fa giustamente riferimento, è quello della formazione e riqualificazione del personale della PA, tema che non è mai stata affrontato completamente e che continua a rappresentare una tra le maggiori criticità allo sviluppo dell’Italia Digitale. Questa considerazione è del resto in linea con i dati dell’European Innovation Scoreboard 2018 (EIS 2018) che mostrano chiaramente come l’Italia continui ad essere nel gruppo dei Paesi “innovatori moderati” in quanto con un rendimento in innovazione ancora inferiore alla media dei paesi Ue. In particolare l’EIS 2018 evidenzia ancora una volta un deficit culturale ampio e profondo, diffuso su pressoché tutte le aree della popolazione nel dominio delle competenze digitali e non solo, e che in particolare risulta evidente anche nelle PA.
In questo scenario l’interesse verso le nuove frontiere tecnologiche senza che si siano minimamente consolidati gli elementi fondamentali per supportare lo sviluppo del digitale appare quantomeno velleitario. Parole chiave ultimamente abbondantemente abusate, come Artificial Intelligence (AI), Blockchain e Big Data solo per fare alcuni esempi, non hanno semplicemente alcun senso senza garantire procedure di acquisizione dati efficaci e sicure.
La sicurezza dei dati in sanità
Ad esempio, se solo si pensa al dominio della sanità, a fronte dell’incredibile riduzione dei costi per le apparecchiature medicali, stimata dal 15% al 30% dall’Intel Security e dall’Atlantic Council nel report “The Healthcare Internet of Things: Rewards and Risks”, emerge il grande problema del rischio legato alla manomissione intenzionale e dolosa dei dispositivi sanitari connessi in rete, peraltro dimostratisi recentemente assai vulnerabili. Se è infatti vero che l’uso di sensori sempre più performanti e meno invasivi, come quelli adoperati nei wearable devices, può garantire il monitoraggio continuo dei pazienti assicurando al contempo una elevata qualità della vita e con enormi risparmi per la sanità, è anche vero che proprio il collegamento alla rete dei sensori stessi rappresenta un elemento di forte criticità che richiede massima attenzione per le problematiche legate alla sicurezza. L’intrusione di terze parti nella trasmissione dei dati può infatti consentire non solo l’acquisizione fraudolenta di dati personali ma anche la veicolazione di dati volontariamente errati rendendo quantomeno inattendibili i risultati delle tecniche AI di “data processing“ e mettendo potenzialmente a rischio la vita stessa del paziente.
Una vision per il digitale
Il digitale di cui abbiamo bisogno è quindi necessario che si basi su dati sicuri, procedure e standard chiari, ovvero su “fondamentali” ben definiti e pienamente condivisi da tutti gli attori coinvolti.
Abbiamo bisogno di una “vision” per il digitale che vada oltre ai facili ed abusati richiami alle parole chiave legate alle tecnologie più avanzate (in grado di galvanizzare solo i troppi non addetti ai lavori che spesso si improvvisano super esperti) e che invece punti con decisione al superamento dell’attuale confusione nella gestione di dati, nelle procedure e nei ruoli. E’ solo partendo da questo nuovo approccio, più umile e serio di quelli spesso utilizzati finora e imprudentemente veicolati sui media, che sarà possibile costruire – con il digitale – l’innovazione e lo sviluppo necessario al Paese.