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Agid, gli accordi territoriali: i nodi da risolvere per ripartire

Tra i diversi temi legati a nodi ancora non risolti, decisioni ancora non assunte, aree di ambiguità non ancora superate che sono sul tavolo della nuova DG di AgID Teresa Alvaro, quello della governance sul livello di attuazione sul territorio del Piano Triennale è uno dei principali. Ecco qualche suggerimento

Pubblicato il 06 Set 2018

Nello Iacono

Esperto processi di innovazione

PNRR

Gli accordi con i soggetti aggregatori del territorio, Regioni e Città metropolitane, attendono il debutto del nuovo direttore generale di Agid Teresa Alvaro, la cui nomina sarà firmata nelle prossime settimane.

Questi accordi sono un punto di svolta fondamentale per gestire alcuni temi critici che si presentano nelle attività dell’Agenzia per l’Italia digitale: i nodi ancora non risolti, le decisioni ancora non assunte, le aree di ambiguità non ancora superate.

Come ho scritto più volte su questa testata, ce ne sono tanti anche sul fronte progettuale e della strategia.

Ad esempio:

  • SpID è uno dei casi più emblematici di progetti non ancora decollati per scelte di fondo (soprattutto politiche) non corrette e dalle prospettive per nulla chiare, come quella dell’assegnazione a privati del ruolo di identity provider;

  • le competenze digitali continuano ad essere la principale carenza nazionale, la principale causa della difficoltà di confronto con gli altri Paesi Europei e della lentezza della crescita economica e sociale, una vera e propria zavorra dello sviluppo (come più volte sottolineatoci dalla commissione europea) e però anche l’area più ampia dove manca del tutto una strategia nazionale organica.

Il problema della governance

Altra grande area di criticità è quella connessa ad una governance incompleta e inadeguata, in cui spicca un livello realizzativo disomogeneo, anche per il necessario bilanciamento tra centralismo e decentramento dell’attuazione e nel difficilissimo equilibrio da mantenere tra le esigenze della PA e quelle delle aziende private.

In questo quadro certamente l’istituzione dei soggetti aggregatori e la realizzazione delle piattaforme abilitanti (SPID, ANPR, PagoPA, ecc.) possono portare a delle semplificazioni e a una maggiore efficacia di intervento.

Tuttavia, tutte queste iniziative possono dare risultati positivi solo se ogni attore avrà la capacità di rivedere il proprio modo di operare secondo logiche che premino la qualità progettuale e la risoluzione di problemi concreti.

In questo quadro uno dei nodi principali è quello relativo all’implementazione del ruolo del soggetto aggregatore, sotto due punti di vista:

Gli accordi regionali

Il citato e atteso Accordo tra AgID, Regioni e Province autonome, passo importante di attuazione del Piano Triennale, se ha il merito di avviare la concretizzazione del ruolo del “Soggetto aggregatore” e di definire un ruolo importante per le società in-house ICT, ha il limite di calarsi, come mi sembra fosse la riflessione anche del Lisbon Council, in una logica ormai logora che dimentica il ruolo propulsivo delle città metropolitane e le vede soltanto come livello subordinato al livello regionale.

Il limite principale dell’Accordo è, così, non avere sciolto il tema della governance complessiva, posizionando in un unico disegno Regioni, Province Autonome, società in-house ICT, capoluoghi di città metropolitane, capoluoghi di aree vaste, mantenendo ambiguità e punti oscuri, oltre che trascurando uno dei principali temi della crescita digitale, ben evidenziato dal Lisbon Council: la necessità di costruire ecosistemi di innovazione, con un’enfasi tutta particolare per le correlazioni necessarie a livello territoriale tra le diverse tipologie di stakeholder. Non ultima quella delle start-up e delle piccole imprese di eccellenza, oggi in gran parte penalizzate dalle logiche nazionali di procurement che dovrebbero accompagnare la trasformazione digitale delle nostre pubbliche amministrazioni.

In più, è importante rilevare come il meccanismo dell’accordo quadro (che lascia l’attuazione effettiva alla stipula di singoli accordi territoriali) abbia prodotto una situazione di sostanziale stallo, con un solo accordo firmato (a giugno, dalla Regione Abruzzo) e quindi con più di venti accordi ancora da siglare, “con i quali andrà anche precisato quale livello di funzione di “aggregazione” la Regione vorrà sviluppare nei confronti del territorio e come tale disponibilità sarà riconosciuta dal livello nazionale”, come previsto dall’accordo quadro. Perché anche il ruolo di soggetto aggregatore sarà definito in modo differente tra le Regioni, pur nell’ambito di un indirizzo comune, con una governance complessiva probabilmente molto flessibile e sartoriale ma anche con ottimizzazioni ed efficienze molto difficili da realizzare.

I temi aperti dopo l’accordo quadro con il territorio

Tra i temi che, nonostante l’accordo quadro, rischiano rimanere aperti, è quello del ruolo delle società ICT pubbliche in-house in una logica nazionale. Un anno fa abbiamo proposto un “modello a rete”, con la trasformazione delle in-house IT in agenzie regionali o inter-regionali in modo da renderle chiaramente “braccio operativo” di AgID sul territorio a supporto che, focalizzando ancor di più le organizzazioni in-house verso la qualità del servizio, le avvicinerebbe ancora di più a delle amministrazioni, spingerebbe verso una omogeneizzazione territoriale, mettendo a fattor comune le esperienze e le energie delle realtà regionali e comunali, ma anche spingendo a uno sviluppo virtuoso le regioni dove non sono presenti realtà che consentono di indirizzare strategicamente le politiche dell’innovazione, e rendendo con un obiettivo anche delle nuove Agenzie lo sviluppo di supporto allo sviluppo di ecosistemi di innovazione territoriali, che rimane l’approccio più efficace per accompagnare le amministrazioni in una trasformazione digitale che sia strettamente funzionale allo sviluppo del Paese.

L’ambito metropolitano

L’altro nodo è quello dell’identificazione del soggetto aggregatore a livello metropolitano, oggi ambiguamente associato alle Città Metropolitane, senza una definizione di ruolo chiara per i capoluoghi di città metropolitane.

Qui credo sia necessario definire a monte, con un modello omogeneo nazionale, le responsabilità di ciascuno dei due attori metropolitani, così evitando di rimanere impantanati nelle paludi di una riforma istituzionale, valorizzando le capacità specifiche sviluppate:

  • dagli enti Città Metropolitane rispetto al dispiegamento dei servizi e alla costruzione di reti di relazione verso i comuni dell’area;

  • dai capoluoghi rispetto alla capacità di progettazione, realizzazione e gestione dei progetti infrastrutturali e di servizi digitali, oltre che, di conseguenza, di coordinamento sul Piano Triennale, ampliato all’ambito metropolitano.

Se è vero, infatti, che il cittadino può godere della trasformazione digitale “solo se la vede applicata ai servizi pubblici locali e nella vita quotidiana, allora le città dovrebbero poter avere un ruolo riconosciuto di spinta, d’avanguardia, proprio perché più vicine alle esigenze specifiche della cittadinanza”.

Per questa ragione sarebbe utile, da parte di AgID, sostenere la presenza degli attori delle città metropolitane direttamente al tavolo di confronto europeo per la definizione di politiche di trasformazione digitale delle città e degli ambiti metropolitani (non solo con strumenti come il PON Metro), con una correlazione dinamica che consenta di orientare le iniziative nazionali e locali in stretta sinergia, e anche con geometrie di attuazione diversa.

Auspici

L’abilitazione del livello realizzativo dell’Agenda Digitale sui territori è la condizione necessaria per ottenere risultati concreti e tangibili anche dei grandi progetti strategici nazionali. E questa si gioca sulla governance.

Per la nuova direttrice generale che, ricorda Paolo Coppola, ha messo alla base del lavoro il project management, il suggerimento è di partire da qui, dando un corpo organico e solido alla struttura di implementazione del digitale nazionale.

L’auspicio è che lo faccia secondo un metodo di progettazione partecipata che possa valorizzare i contributi di tutti gli attori coinvolti e che consenta un monitoraggio ampio, capillare, condiviso e attento delle iniziative di trasformazione digitale del nostro Paese. Premessa per la necessaria co-responsabilizzazione nazionale.

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