E’ troppo fragile il piano “Crescita digitale”: come rafforzarlo, assieme

Occorre mantenere la rotta e continuare a procedere, conservando la spinta necessaria. Il commitment.
La via è l’abbandono di qualsiasi approccio “centralistico” in cui si pretende che l’azione possa essere definita e governata centralmente con l’interlocuzione “subalterna” degli altri attori. La via è, pertanto, quella dello “sforzo collettivo”

Pubblicato il 12 Dic 2016

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Con la caduta del governo Renzi, si moltiplicano le analisi del “cosa accadrà adesso”, su tutte le aree, inclusa quella della trasformazione digitale. I rischi di rallentamento e impasse sono infatti tanti, come ben approfondito da Alessandro Longo.

La breve riflessione che propongo è, però, sul fronte del perché la strategia nazionale di crescita digitale è così fragile e come si può operare perché non lo sia più, o di meno.

Siamo, evidentemente, nel campo della resilienza, della capacità di resistere a eventi traumatici mantenendo equilibrio e rotta, in movimento (non equilibrio statico, ci interessa poco), in un’area, quella della trasformazione digitale, dove rallentare o fermarsi non significa ritardare, ma fallire. Capacità di resilienza che permette, così, di mantenere in cammino il programma anche se, a un certo momento, viene meno la spinta del governo centrale, entrando in una fase elettorale.

La capacità di resilienza di una comunità si basa sulla diffusione della responsabilità, della capacità di azione e reazione, sulla condivisione dell’obiettivo e della strategia per raggiungerlo, sulla capacità di comunicare, comprendersi, connettersi. Nel nostro caso, però, non basta non piegarsi. Occorre, infatti, mantenere la rotta e continuare a procedere, conservando la spinta necessaria. Il commitment.

La via è l’abbandono di qualsiasi approccio “centralistico” in cui si pretende che l’azione possa essere definita e governata centralmente con l’interlocuzione “subalterna” degli altri attori. La via è, pertanto, quella dello “sforzo collettivo” (come citato anche nelle premesse del Piano Nazionale Scuola Digitale), è nella co-progettazione, nella collaborazione, nella condivisione di visione e azione. Solo così il peso del commitment di un solo attore (anche se di rilievo, come il governo centrale) diventa importante ma non necessario, perché nelle diverse articolazioni organizzative e territoriali possono ritrovarsi i commitment specifici che tengono insieme la comunità che avanza.

Questo è possibile se, ad esempio, i programmi previsti dalla strategia Crescita Digitale, diventano di gestione diffusa, con una governance multilivello (territoriale) e a rete, in cui ciascun partecipante diventa attore protagonista. Attuare questo schema al progetto Spid (Sistema Pubblico di Identità Digitale), uno dei principali progetti strategici per la trasformazione digitale italiana, significa prevedere, sostanzialmente:

  • la costruzione di comunità di condivisione (di esperienze, di soluzioni) tra i service provider. Non una sola (le comunità si costruiscono sulla base di esigenze simili) e non separate tra loro (ad esempio, lo scambio di conoscenze tra amministrazioni centrali, regionali e locali è fondamentale per l’integrazione dei servizi), comunità che nascono dagli attori (come sono le amministrazioni) e che però beneficiano di un supporto e di un’interazione attenta da parte di chi coordina l’intero progetto (in questo caso AgID);
  • il disegno di un supporto e di un coordinamento operativo a cascata, secondo i diversi livelli territoriali, fino ad assicurare supporto capillare su tutti i service provider;
  • la definizione e il dispiegamento di un piano di comunicazione e di alfabetizzazione digitale organico verso la popolazione, articolato su più canali, e però in carico a più attori territoriali e professionali. Un piano coordinato ma non unico, e con responsabilità definite fino al livello della singola iniziativa.

Questo significa riconoscere i progetti strategici come progetti Paese, e rendere evidente la collettività dello sforzo richiesto per il successo. E, di conseguenza, riconoscere “la partecipazione come metodo”, la condivisione e la collaborazione come pilastri di uno schema che consente di definire progetti diffusi. Certamente, per far questo è necessaria grande capacità di ascolto e di sintesi, competenze di e-leadership sviluppate e presenti nei diversi attori coinvolti, e prima di tutto nell’orchestratore governativo. È l’unica modalità che consente, oggi, di portare avanti con successo le iniziative di innovazione. È, anche, l’unica via per far sì che i processi di cambiamento resistano ai vuoti di commitment centrale, perché il cambiamento diventa obiettivo comune di chi lo realizza. Bisogna quindi rapidamente sviluppare e rinsaldare le comunità degli attori che innovano.

Oggi, più che mai, abbiamo bisogno di costruire queste condizioni di resilienza. In fretta, dal basso.

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