“Per rilanciare il futuro industriale del Paese, bisogna scommettere sullo spirito imprenditoriale e innovare e investire in ricerca e sviluppo. Per questo intendiamo lanciare un grande piano pluriennale per l’innovazione e la ricerca, finanziato tramite project bonds. La ricerca italiana può e deve rinascere nei nuovi settori di sviluppo, come ad esempio l’agenda digitale, lo sviluppo verde, le nanotecnologie, l’aerospaziale, il biomedicale. Si tratta di fare una politica industriale moderna, che valorizzi i grandi attori ma anche e soprattutto le piccole e medie imprese che sono e rimarranno il vero motore dello sviluppo italiano (..)”
“Tutta l’impresa italiana, per crescere, ha bisogno di più semplicità, di un’alleanza tra la pubblica amministrazione e la società, senza tollerare le sacche di privilegio. La burocrazia non deve opprimere la voglia creativa degli italiani ed è per questo che bisognerà rivedere l’intero sistema delle autorizzazioni. Bisogna snellire le procedure e avere fiducia in chi ha voglia di investire, creare, offrire posti di lavoro”.
“(..) imprese e lavoratori devono agire insieme e superare le contrapposizioni che in passato ci hanno frenato. Il governo vuole aprire la strada con proposte che approfondiremo insieme: ampliare gli incentivi fiscali a chi investe in innovazione, sostenere l’aggregazione e internazionalizzazione delle PMI, dare più credito a chi lo merita, garantire il pagamento dei debiti alle imprese, semplificare e rimuovere gli ostacoli burocratici che frenano lo spirito d’impresa”
“Bisogna riordinare i livelli amministrativi (..). Semplificazione e sussidiarietà devono guidarci al fine di promuovere l’efficienza di tutti i livelli amministrativi e di ridurre i costi di funzionamento dello Stato. Questo non significa perseguire una politica di tagli indifferenziati, ma al contrario valorizzare (..)”.
In un momento drammatico come quello attuale – con il PIL che si contrae, le imprese che chiudono, le banche che per scelta o necessità fanno arrivare pochi soldi alle imprese, la disoccupazione giovanile che vola verso livelli “da fine ‘800” – è evidente che il discorso programmatico di un nuovo governo sia maggiormente centrato sulle esigenze più sensibili e di carattere immediato che non sulle riforme di natura strutturale. E che, fra queste ultime, l’attenzione prevalente sia rivolta alle riforme più squisitamente politiche, quali la riforma elettorale o il superamento del bicameralismo perfetto.
Ma comunque, nell’intervento (a mio avviso) di alto profilo di Enrico Letta, non sono mancati – e ho cercato di raccogliere all’inizio di questo articolo alcune frasi significative – i riferimenti ai temi che a molti di noi stanno più a cuore, convinti come siamo che una parte significativa del riscatto dell’Italia debba passare necessariamente di lì: alla promozione dell’innovazione, all’incentivazione degli investimenti innovativi delle imprese, alla nascita di nuove imprese. E l’’agenda digitale, in particolare, occupa il primo posto quando si parla dei nuovi settori di sviluppo.
È abbastanza? È difficile per ora dirlo, anche se dà fiducia il fatto che Enrico Letta sia da sempre un attento conoscitore di queste tematiche.
Dove ho qualche timore in più, anche se spero di essere contraddetto, è sulla volontà reale – nonostante i frequenti cenni alla semplificazione e alla burocratizzazione – di intervenire pesantemente sulla PA, che ha punte di eccellenza ma che rappresenta in molti casi un vero e proprio cancro: un cancro che dosi adeguate di ICT, assieme a cambiamenti nelle regole e nell’organizzazione, potrebbero ridurre fortemente; un cancro però difficilissimo da affrontare, per il potere inibitorio di chi non vuole minimamente rinunciare a un potere rafforzatosi nel tempo.