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Cittadino: “Le quattro innovazioni per una nuova PA (digitale)”

Regole, organizzazione, procedimenti, comportamenti. Alla PA occorre agire su questi ambiti, trovando una sintesi e una coerenza unitarie, affinché l’innovazione riesca a innestarsi nel suo organismo complesso. Vediamo lo stato di questi quattro tipi di elementi

Pubblicato il 17 Set 2018

Caterina Cittadino

Capo dell'ufficio di segreteria della conferenza Stato-Città ed autonomie locali, Presidenza del Consiglio dei ministri

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L’innovazione non è settoriale; è tale solo se coinvolge e comprende un sistema, regole, cose, persone.

L’innovazione nella pubblica amministrazione segue le regole sopra indicate, ma, innestandosi in un organismo complesso, stenta ad estendersi e a consolidarsi.

Quattro tipi di innovazione per la PA

Il sistema della pubblica amministrazione necessita di quattro tipi di innovazione:

  • l’innovazione delle regole,
  • l’innovazione dell’organizzazione,
  • l’innovazione dei procedimenti,
  • l’innovazione dei comportamenti.

Ognuno di questi elementi abbisogna di percorsi particolari, ma tutti, senza eccezione alcuna, necessitano di una sintesi e di una coerenza unitarie.

Il nostro Paese prova da parecchi anni ad innovarsi, e grandi passi avanti sono stati fatti. Ciò che ancora manca, tuttavia, è la parte più difficile da realizzare. Si fa riferimento a quella sintesi ed alla coerenza sopra richiamate ed ad una uniformità nell’innovazione realizzata ancora lontana, a causa del diverso grado di maturità tra amministrazioni e territori a cui si è pervenuti.

La pubblica amministrazione, a differenza di quanto generalmente si pensi, ha profuso un grande impegno nell’innestare la tecnologia al suo interno. Pensiamo allo sforzo economico volto all’acquisizione di strumentazione ed alla realizzazione di infrastrutture in rete. Acquisti ed interventi forse non sempre oculati, certo quasi mai economici, hanno prodotto tuttavia una base da cui partire.

Ma vediamo lo stato dei quattro tipi di innovazione sopra evidenziati.

L’innovazione delle regole

L’innovazione delle regole ha preso corpo soprattutto nel Codice dell’amministrazione digitale, modificato ben sei volte nell’arco dei 13 anni intercorsi dal decreto legislativo 7 marzo, 2005, n. 82, che ha introdotto nel nostro ordinamento, per la prima volta, il CAD. Abbiamo assistito ad un Paese e ad una pubblica amministrazione schiacciati dalla tumultuosa novità rivoluzionaria della tecnologia e di internet che cercavano nelle norme del Codice conforto per il proprio agire. Le varie versioni del Cad ci hanno consegnato un codice all’inizio troppo dettagliato, lontano quindi da quella carta di principi cui aspirava ad essere, poi un codice per così dire “educativo” attraverso l’introduzione di norme tese ad inserire nella quotidianità dell’azione amministrativa regole che determinassero un collegamento stretto ed evidente fra le norme del codice e le altre riforme che si succedevano, prima fra tutte quella del pubblico impiego e della dirigenza pubblica. Queste continue modifiche, tuttavia, hanno finito per rallentare l’informatizzazione e la digitalizzazione del paese, poiché era necessario attendere le nuove riforme prima di operare.

L’innovazione  dell’organizzazione

L’innovazione  dell’organizzazione è stata, anch’essa, diversificata negli anni. Una idea vincente, ma certo oggi non riproponibile per il contesto sociale ed amministrativo attuale, è stata la nascita di una Autorità per l’informatizzazione delle pubbliche amministrazioni, quale struttura deputata a definire le regole, che allora mancavano, ed a prefigurare le grandi strategie. In un processo che è all’inizio, invero, sono proprio le regole e la loro attuazione che vanno garantite.

Altrettanto corretta è stata la scelta di trasformare l’Autorità in un organismo maggiormente operativo e la nascita del CNIPA, in qualche modo è stata la risposta. L’errore, tuttavia, è stato quello di non spingere in modo netto vero l’operatività piena dell’organo, che si è ritrovato a cumulare funzioni più propriamente regolatorie, tipiche di un’Autorità, con compiti essenzialmente gestionali.

La nascita di un’Agenzia, quale nuova organizzazione fortemente operativa, risale al 2012, allorché, in un unico provvedimento, mentre si istituiva la struttura, si azzeravano, contestualmente , tutti gli altri organismi esistenti (DigitPA, ex CNIPA, l’Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l’innovazione, il Dipartimento per la digitalizzazione della Pubblica amministrazione e l’innovazione tecnologica della Presidenza del Consigli odei Ministri). Una buona partenza per un’organizzazione che voleva essere concentrata, in quanto sintesi funzionale delle competenze prima attribuite alle diverse strutture, e volta ad una programmazione economica funzionale ed efficiente delle risorse economiche, umane e strumentali destinate all’innovazione.

Questo obiettivo, tuttavia, non è stato completamente raggiunto. Diversi soggetti hanno continuato ad operare nel campo dell’innovazione tecnologica, succedendosi nel tempo: Consip SpA ha mantenuto importantissime attività amministrative e contrattuali, la Cabina di regia in tema di Agenda Digitale, il COBUL per le strategie in tema di banda larga ed ultra-larga, il Commissario straordinario, previsto da una norma ad hoc, e quindi in qualche modo “a regime” e non all’occorrenza, come la sua figura vorrebbe.

Nell’attuale versione del CAD, tuttavia, frutto di ben due recenti provvedimenti legislativi intervenuti in un solo anno, si assiste ad un rafforzamento delle competenze dell’Agenzia, che riacquista, in qualche modo, quel ruolo centrale che aveva perso, anche se permangono tutti gli organismi citati e l’accavallamento di competenze fra questi resta un rischio evidente.

Cosa fare quindi per riuscire nella spinta propulsiva dell’innovazione affidata ad Agid? La risposta è banale, ma non semplice da realizzare. Occorre l’esercizio di un ruolo di direzione forte ed incisivo, un manager che abbia una visione generale della pubblica amministrazione e ne conosca i suoi procedimenti, sia centrali che periferici, e che sappia organizzare le risorse umane all’interno in modo da dare supporto ed assistenza tecnica alle amministrazioni pubbliche ed aiutarle a raggiungere, là dove ce n’è bisogno, quel livello di qualità, oggi a macchia di leopardo.

Fino ad oggi questo non è avvenuto e si è privilegiato di più lo sviluppo dell’application innovativa ad un lavoro, certo più buio e faticoso, ma capace di entra nel cuore dei processi, cambiarli ed estenderli sull’intero territorio nazionale.

L’innovazione dei procedimenti

Arriviamo, così, all’innovazione dei procedimenti, che va, e non potrebbe essere altrimenti, di pari passo con le altre. La capacità in questo caso che si richiede è quella di reingegnerizzare e semplificare i procedimenti basati sulla carta per renderli non solo più moderni, ma essenzialmente più semplici. Ci sono delle priorità ovviamente da cui cominciare. Nel nostro sistema pubblico queste priorità non possono non riguardare quelle reti-servizi trasversali, purtroppo ancora incompleti, in grado di uniformare il nostro territorio, tanto diseguale, almeno per la parte dei diritti imprescindibili e fondamentali. La sanità, la giustizia, l’istruzione, i rapporti con il mondo economico, a questi si fa riferimento.

L’innovazione dei comportamenti

Ultima, ma non meno importante, è la necessità di innovare i comportamenti, e quindi educare all’uso ed alla comprensione delle tecnologie e formare il personale pubblico. Forse questo aspetto è quello che più è mancato, ed è stato uno dei principali motivi del rallentamento della capacità di innovazione nel nostro paese. Il blocco del turnover degli ultimi anni ha impedito, inoltre, quel ricambio generazionale che, certamente, avrebbe reso più semplice il percorso verso l’informatizzazione della pubblica amministrazione. Oggi, tuttavia, l’evoluzione digitale richiede qualcosa in più; richiede di assicurare la conoscenza estesa a tutti e la capacità di prepararsi a vivere e lavorare in un’era di grandi cambiamenti. E questo passa attraverso un grande progetto formativo, ma, ancora prima, attraverso il coding, vale a dire l’insegnamento già nelle scuole elementari, per aprire la mente ad una coscienza digitale e consentire a tutti, pian piano, di diventare soggetti attivi della tecnologia.

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