Dopo i ripetuti rinvii, l’avvio del PAT, il processo amministrativo telematico, lo scorso primo gennaio, è stato accolto con lo stesso sentimento di chi, dopo aver affrontato con fatica l’arrampicata, non si aspettava più di scrutare l’orizzonte oltre la cima. Perciò, proprio come chi si ferma ad ammirare la valle oltre il passo, sono molti a chiedersi se l’attesa e l’impegno profuso nella sperimentazione sono stati ripagati dal nuovo sistema. Siamo convinti di sì.
In primo luogo, è necessario sottolinearlo con energia, il Processo Amministrativo Telematico è il primo processo non solo interamente telematico, ma anche, potenzialmente, interamente digitale. La differenza può apparire pleonastica ma, a ben vedere, dice molto del modo in cui è stato pensato il nuovo processo amministrativo.
Il PAT, a differenza del PCT (processo civile telematico), è processo interamente telematico perché non è data facoltà all’avvocato di depositare con modalità cartacea nemmeno gli atti con i quali la parte si costituisce in giudizio. L’unica modalità con cui depositare atti e documenti resta, quindi, quella telematica. Il deposito cartaceo è infatti consentito solo in casi eccezionali, come necessaria norma di chiusura e di elasticità del sistema.
Il PAT è anche il primo processo telematico interamente digitale: il D.P.C.M. 40/2016, oltre a prevedere la forma digitale degli atti di parte, introduce un principio innovativo con riferimento ai documenti. Si può parlare di un principio di preferenza del documento informatico, così come indicato dall’art. 12 D.P.C.M. 40/2016, per indicare che l’avvocato potrà depositare PDF ottenuti da copia per immagini di originali cartacei (le scansioni) solo qualora i documenti originali siano disponibili solo in versione cartacea.
L’art. 12 D.P.C.M. 40/2016 rappresenta, quindi, il momento di unione del processo amministrativo con l’innovazione della Pubblica Amministrazione, che in numero sempre maggiore di aree dovrà formare i propri provvedimenti con modalità digitali. Proprio sulla base di tale processo di innovazione, il principio di preferenza del documento informatico deve essere visto come opportunità di velocizzazione ed efficienza del processo. La telematicità, invece, attiene alla modalità con cui vengono redatti e trasmessi atti e documenti del processo: la scrittura e il deposito di atti e provvedimenti, la consultazione del fascicolo e l’estrazione di copie avverranno interamente con modalità telematiche.
Sotto questo profilo, l’eliminazione del fascicolo cartaceo consentirà un notevole risparmio di tempi e di costi: non solo l’eliminazione (o, comunque, una significativa riduzione) dell’archivio, ma un più efficiente impiego del personale amministrativo e un miglioramento della qualità del lavoro di Magistrati e Avvocati.
Il passaggio non sarà indolore: la dematerializzazione del fascicolo comporterà la necessità per tutti gli operatori del diritto di adeguare la propria organizzazione e di adottare nuovi metodi di lavoro, a partire dallo “stile” degli atti.
Non è un caso che l’entrata in vigore del PAT ha coinciso con l’emanazione del decreto n. 167/2016 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, 3 gennaio 2017, n. 2, che si applicherà alle controversie il cui termine di proposizione del ricorso inizi a decorrere dopo il 2 febbraio 2017), con il quale il Presidente del Consiglio di Stato ha stabilito le nuove regole di redazione degli atti nel processo amministrativo, dando piena attuazione ai principi di sinteticità e chiarezza stabiliti dall’art. 3 del Codice del Processo amministrativo.
Sono indicazioni pienamente condivisibili sotto il profilo del corretto uso della lingua in ambito giurisdizionale, volte a incentivarne un uso corretto ed efficace, eliminando d’imperio l’inutile lunghezza di molti atti, peraltro incompatibile con la lettura da schermo. Meno attuali ci sembrano, invece, le indicazioni contenute nell’art. 8 del decreto (contenente le Specifiche tecniche dei documenti), che suggeriscono l’utilizzo di caratteri tipografici di scarsa qualità e leggibilità (Courier) e denunciano un persistente retaggio culturale di tipo analogico (si pensi al richiamo all’uso di un “equivalente digitale di foglio A4”).
Aspettiamo, infine, di vedere quali saranno gli argomenti sui quali i Tribunali invocheranno l’intervento straordinario dell’Adunanza Plenaria previsto dall’art. 13bis delle norme di attuazione del CPA: molti di questi saranno più che opportuni per evitare che si ripetano le dannose oscillazioni giurisprudenziali cui abbiamo assistito in materia di notifiche a mezzo posta elettronica certificata.
Tale istituto si presta ad evitare nuovi contrasti giurisprudenziali con riferimento ad alcune criticità del sistema. Si pensi, ad esempio, al combinato disposto dell’introduzione del domicilio digitale nel processo amministrativo con la disciplina in materia di comunicazioni e notificazioni. Si discute, infatti, se rimanga un diritto alla notificazione con modalità tradizionali anche qualora controparte abbia indicato solamente il proprio indirizzo PEC sia ai fini delle comunicazioni che delle notificazioni. L’aver creato un processo interamente telematico comporta, infatti, non pochi problemi di coordinamento con i casi eccezionali in cui, ancora, sia necessario affidarsi al cartaceo. Il PAT non si applica, infatti, ai ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica con la conseguenza che, in caso di trasposizione del giudizio in sede giurisdizionale, sarà necessario trasformare in copia informatica un atto in origine nato su supporto cartaceo.
Si auspica, tuttavia, che eventuali disposizioni di coordinamento del passaggio tra cartaceo e digitale avvenga mediante norme di rango primario o regolamentare, dal momento che, finora, si è assistito all’utilizzo di circolari e FAQ del sito istituzionale per l’indicazione delle precisazioni richieste dagli utenti. L’inserimento di tali precisazioni nelle FAQ non aventi valenza giuridica porta, tuttavia, ad alcuni problemi di coordinamento con le norme realmente cogenti. Infatti, spesso si assiste a chiarimenti solo apparentemente “tecnici” ma idonei a creare antinomie con le norme del codice del processo amministrativo. In tali casi, sebbene, da un lato, l’affidamento ingenerato nell’avvocato da tali FAQ, in caso di errore, possa fondare un’eventuale richiesta di rimessione in termini ai sensi dell’art. 37 c.p.a., l’assenza di una reale antinomia (non avendo le FAQ, si ripete, valore normativo) potrebbe rappresentare un ostacolo alla concessione del beneficio dell’errore scusabile, subordinato al delinearsi di un contrasto interpretativo tra norme cogenti.
Questa fase di transizione richiede, pertanto, la piena collaborazione tra avvocati e magistrati, al fine di valorizzare gli strumenti offerti dal PAT, che deve essere visto come opportunità di semplificazione e velocizzazione della giustizia.