Un milione di italiani ha attivato il Sistema Pubblico di Identità Digitale (SPID). Un milione di persone ha pertanto creato una propria identità digitale con cui accedere in modo univoco e sicuro ai servizi della Pubblica Amministrazione (PA) e dei privati convenzionati. Ovviamente il risultato fa piacere a tutti ma non si può ancora cantar vittoria. Ora servono servizi online che valorizzino la soluzione, sia pubblici che privati. SPID è stato creato per incentivare lo sviluppo di tali servizi, rimuovendo importanti alibi che in passato ne hanno bloccato la diffusione. Tuttavia ad oggi sono ancora pochi i servizi effettivamente accessibili tramite SPID, che risulta essere così una “chiave universale” con ancora troppe poche porte da aprire.
È sufficiente pensare a uno solo dei tanti dati dell’ultima ricerca dell’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano: 3 comuni su 4, in Italia, non offrono servizi online accessibili grazie a SPID. La soluzione è stata sostanzialmente spinta da AgID come modalità alternativa per l’accesso ai servizi di grandi PA ma fino a che non si coinvolgeranno i piccoli enti locali, SPID rischia di aprire troppe poche porte.
Non va meglio sul versante privato. Una delle scommesse legate a SPID era proprio che la soluzione potesse essere usata per accedere non solo ai servizi online della PA ma anche a quelli dei privati. Finora questa scommessa non è stata vinta. Al momento, infatti, nessuna azienda privata offre ai propri clienti di poter accedere ai suoi servizi tramite SPID. Solo gli Identity Provider, quattro soggetti privati cui AgID ha delegato la gestione delle identità digitali per tutto il sistema, consentono l’accesso tramite SPID ai loro servizi online. La soluzione di autenticazione non è tuttavia l’unica modalità di accesso.
Questo risultato è figlio di due fattori. Da un lato, è mancata per molto tempo una normativa che abilitasse l’impiego di SPID dalle imprese private (le convenzioni per far aderire i privati al sistema sono arrivate solo sul finire del 2016). Dall’altro, è sufficiente pensare, soprattutto per le aziende private di dimensioni maggiori, agli ingenti investimenti in sistemi di identity management operati negli scorsi anni. Pochi privati hanno voglia e utilità a mettere in discussione tali investimenti per consentire ai loro utenti di accedere con SPID ai servizi online da loro offerti.
Il discorso potrebbe cambiare, e molto, se guardassimo invece alle imprese che hanno la necessità di identificare in modo univoco i loro utenti ma che, per le loro piccole dimensioni, non si sono potute permettere in passato di investire in sistemi di autenticazione. Pensiamo ad esempio alla miriade di PMI attive nel settore delle utilities a livello locale. Tali imprese, che sostanzialmente al momento non offrono servizi online a distanza, con SPID potrebbero farlo, aumentando il bacino dei loro utenti anche oltre il contesto locale in cui operano.
Bene quindi che un milione di italiani abbia in tasca una chiave universale. Ma servono molti più servizi digitali fruibili a distanza. Sia pubblici che privati. È la diffusione e l’utilizzo di tali servizi il vero tallone d’Achille di SPID. Ci sono almeno un paio di importanti problemi da superare da questo punto di vista — soprattutto con riferimento ai servizi online delle tante PA e imprese di piccole dimensioni diffuse sul nostro territorio.
Il primo riguarda le risorse: ogni ente locale e ogni PMI lamenta di non avere risorse sufficienti ad avviare percorsi di trasformazione digitale che consentano di offrire i loro servizi a distanza. In parte hanno ragione ma le risorse, se le si cerca nel posto giusto, si possono trovare. L’Osservatorio Agenda Digitale ha calcolato che l’Europa metterà a disposizione circa 1,7 miliardi di euro ogni anno fino al 2020 per l’attuazione dell’Agenda Digitale. Molte di queste risorse, in passato, non sono state utilizzate perché non si conoscevano le opportunità offerte a livello comunitario o perché mancavano le competenze per catturare risorse europee, usarle e rendicontarle.
E così si arriva al secondo problema: le competenze. L’Italia ha scarse competenze digitali, sia generaliste che specialistiche. Non conosciamo le tecnologie digitali, non abbiamo ancora capito quanto siano centrali per lo sviluppo della nostra economia e non sappiamo usarle al meglio. Su questo, come su altri fronti, siamo tra gli ultimi posti nelle classifiche redatte a livello Europeo.
Come se ne esce? Non esiste un’unica ricetta ma ogni possibile ricetta condivide almeno due ingredienti. Il primo è che tutti gli attori devono giocare il proprio ruolo. A questo proposito:
- le PA dovrebbero unire le forze tra di loro e provare a erogare alcuni servizi in modo condiviso, sfruttando aggregazioni sovra-comunali per avere la massa critica e le energie necessarie a cogliere a pieno le esigenze dei cittadini e raccogliere risorse dall’Europa da investire per colmarle grazie ad efficaci interventi di innovazione digitale;
- le imprese devono cominciare a cogliere le opportunità offerte da SPID: tali opportunità vanno dal disporre facilmente di un parco utenti con dati aggiornati al non avere oneri derivanti dalla conservazione delle loro identità digitali, dal non doversi preoccupare di eventuali furti di credenziali all’aumentare il bacino di utenti potenziali dei servizi offerti;
- gli Identity Provider devono lavorare per la diffusione dell’intera piattaforma: sfruttando a pieno la loro rete fisica per l’accertamento delle identità e incentivando SPID per l’accesso ai servizi da loro offerti;
- gli utenti devono venire informati e incentivati all’utilizzo di SPID: da questo punto di vista è significativa l’iniziativa di questi giorni di suggerire SPID per effettuare l’iscrizione scolastica;
- AgID deve continuare a promuovere e monitorare lo sviluppo di SPID: affinando le relative regole tecnico-amministrative e assicurandone l’adeguatezza alle esigenze di sicurezza e garanzia di protezione dei dati, stipulando sempre più convenzioni per l’utilizzo della piattaforma, presidiando l’operato degli Identity Provider, formando PA, imprese e cittadini sulle opportunità offerte dalla soluzione.
Il secondo ingrediente che serve è una migliore collaborazione, soprattutto tra il mondo pubblico e quello privato. Oggi il pubblico lavora poco col privato e viceversa: un po’ per le difficoltà legate ai bandi di gara o ai meccanismi di acquisto, un po’ per diffidenza, ognuno tende a stare chiuso nel proprio guscio, senza aprirsi a un confronto costruttivo con la controparte. È importante correggere questa tendenza:
- facendo leva sugli strumenti offerti dal nostro quadro normativo (in particolare alle procedure introdotte dal nuovo codice dei contratti pubblici);
- aumentando l’interoperabilità applicativa e definendo regole chiare per sviluppare e integrare progressivamente SPID alle altre piattaforme immateriali del nostro Paese (ANPR e PagoPA su tutte).
Il traguardo del milione di utenti è quindi positivo — solo con una massa consistente di utenti si potrà stimolare lo sviluppo dei servizi da parte del pubblico e del privato – ma non risolutivo. Bisogna fare in modo che SPID sia utilizzato il più possibile. Ben vengano in questo senso le iniziative atte a stimolarne l’adozione e l’utilizzo, come il bonus ai docenti o ai diciottenni accessibile soltanto una volta ottenuta l’identità digitale e l’iscrizione scolastica effettuabile tramite SPID. Queste iniziative sono state lanciate con la speranza di innescare un circolo virtuoso sia in ambito pubblico che in ambito privato. Ma serve che ognuno giochi bene la sua parte, collaborando attivamente con gli altri attori. SPID è utile se usato da tanti, e sarà usata da tanti solo se ci saranno i servizi. Altrimenti sarà l’ennesima chiave universale, che – in assenza di porte – finirà nel cassetto.