I nuovi vertici istituzionali (Camera, Senato, Presidenza del Consiglio, singoli ministeri) confondono il Web e Internet. Il problema è capire se si tratti di una scelta o del risultato di un drammatico vuoto culturale. Partiamo dal fatto che non si sia mai parlato tanto di Web come in questi ultimi mesi, sull’onda dei destini digitali del M5S, da quirinarie, parlamentarie, sino agli insulti e agli attacchi alla Presidente Boldrini e al neo ministro Kienge, passando per “Twitter che influenza l’elezione del Presidente della Repubblica”. Già, mai parlato così tanto di Web che è come dire che le persone s’interessano di politica e ne discutono nei bar, a casa a cena, fra amici e anche (ohibò) sui social Network. Ma Internet? Beh, di quella si son perse le tracce.
A molti non sfugge, ovviamente, la differenza fra Internet e il Web. La prima è l’infrastruttura tecnologica, hardware e software, il secondo, in fondo, un’applicazione che “gira” sulla prima. Dov’è il problema? Beh, parlare di Web e solo di Web significa, da un punto di vista politico e programmatico praticamente gettare fumo negli occhi. Se fosse Internet al centro della conversazione (tanto per usare una terminologia Web), vorrebbe dire, per esempio analizzare il fatto che le Piccole e medie imprese italiane che hanno digitalizzato i loro processi produttivi esportano un bel 30% in più e che, mentre le altre perdono fatturato, queste, sempre le digitalizzate, invece chiudono con numeri positivi e, udite udite, assumono anche.
Tutto questo certo non dipende dal fatto che abbiano o meno un profilo Facebook ma che utilizzino Internet e le tecnologie digitali per efficientare i loro processi produttivi, abbattere i costi e sbarcare su mercati esteri con relativamente bassi investimenti e forti ritorni. Di tutto questo e di altro ancora (digitalizzazione della PA, della scuola, Open data, banda larga e via elencando) non ce n’è traccia, tanto per cominciare dal discorso del Presidente del Consiglio Letta, il quale ha sì parlato, come ha ben analizzato Giuseppe Iacono, di agenda digitale ma ben mischiata allo sviluppo verde, le nanotecnologie, l’aerospaziale, il biomedicale.
La sensazione è che dal più democristiano dei governi degli ultimi decenni, sia stato proposto il più democristiano degli approcci: elencare una serie d’impegni che non scontentano nessuno, a partire da qualche lobby (biomedicale, nanotecnologie….) e che serviranno a rendere “politicamente coerenti” tutta una serie di provvedimenti scollegati e mirati a singole aree d’interesse.
Ed eccoci di nuovo qui, quindi. Niente strategia, niente impegno a varare i decreti attuativi di quanto già in maniera non soddisfacente prodotto dal precedente governo, niente visione. Nessun accenno a infrastrutture da costruire, bande larghe da realizzare ma solo, e torniamo al punto, che “Non abbiamo compreso quanto le legittime istanze di innovazione, partecipazione, trasparenza, sottese alla rivoluzione del web, potessero tradursi in un oggettivo miglioramento della qualità della nostra democrazia rappresentativa anziché sfociare nel mito o nell’illusione della democrazia diretta”. Web e ancora Web.
Forse era legittimo aspettarsi qualcosa in più da un Presidente del Consiglio sotto i 50 anni, da un “governo giovane” come viene decisamente definito. Inutile qui stare a elencare quanto relativamente poco ci vorrebbe e quanto invece regalerebbe al Paese in termini di crescita, sviluppo, lavoro, cultura, accesso alla democrazia una strategia di innovazione e digitalizzazione dell’Italia.
La proposta? Sposo la posizione di Iacono per il varo di una strategia digitale complessiva, affidata, nella sua realizzazione, da un dipartimento della Presidenza del Consiglio, guidato direttamente al Presidente del Consiglio, con poteri di coordinamento interministeriale e dotazioni finanziarie utilizzabili con modalità simili a quelle adottate dalla vecchia e famigerata protezione civile, sotto controllo parlamentare. Una procedura d’urgenza, in pratica. Troppo? No, in emergenza ci siamo da anni e, dopo il discorso nel Presidente del Consiglio, rischiamo di restarci per un altro bel po’ di tempo.