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Governare la PA digitale, la via per abbandonare il manicomio

Governance da manicomio e mancanza di interoperabilità tra i diversi sistemi hanno affossato tutti i progetti sistemici di digitalizzazione della PA, dalla CIE ad ANPR. L’Italia non è stata capace di innovarsi con la tecnologia. Serve un nuovo modello di riferimento per la governance dell’Agenda digitale. Vediamo quale

Pubblicato il 11 Ott 2018

Alessandro Osnaghi

Università di Pavia

italia digitale

Il modello di funzionamento a silos della pubblica amministrazione italiana e l’assenza di strumenti istituzionali, legislativi, organizzativi e operativi atti a superare tale modello sono alla base del fallimento di molti dei progetti di natura sistemica lanciati finora in ambito digitale. Basta solo ricordare che a venti anni dalla sua introduzione la maggior parte degli italiani non ha ancora la Carta di Identità Elettronica o le recenti vicende del progetto destinato a realizzare l’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente ANPR o ancora la storia infinita del Fascicolo Sanitario Elettronico o, nel campo del lavoro, gli irrisolti – dal 1997- problemi di integrazione dei sistemi dei Centri per l’impiego.

Le considerazioni che seguono sono basate sulla osservazione ventennale dei problemi incontrati nei principali progetti di digitalizzazione, in particolare nel progetto ANPR – che può essere considerato un caso di studio paradigmatico – e vogliono essere un contributo a una auspicata discussione sul modo di governare l’Agenda digitale del Paese.

L’incomunicabilità tra le amministrazioni

La architettura istituzionale e amministrativa della Pubblica Amministrazione italiana è stata storicamente costruita su un presupposto di rigoroso isolamento delle singole amministrazioni e dei loro sistemi informativi non pensati per condividere le informazioni e per comunicare tra loro.

Questo modello tuttavia contrasta con la frenetica evoluzione delle tecnologie digitali che è andata nella direzione di facilitare fino a rendere implicita la interoperabilità tra sistemi e irrilevante la localizzazione delle informazioni. La tecnologia ha anche abilitato una trasformazione radicale delle modalità di erogazione dei servizi con effetti visibili che impattano la quotidianità di tutti noi.

Possiamo convenzionalmente datare intorno alla fine degli anni 90 del secolo scorso – quando si iniziò a parlare di eGovernment – l’inizio di un processo coordinato a livello nazionale di adozione delle tecnologie digitali da parte delle amministrazioni italiane. Prima di allora l’uso di computer e reti per la gestione dei processi amministrativi era gestito in modo esclusivamente autonomo da ogni singola amministrazione.

PA digitale, un bilancio umiliante

Dopo venti anni, è possibile fare un bilancio dei risultati ottenuti dalla Pubblica Amministrazione confrontandoli con i risultati degli altri paesi, ma non è un bilancio positivo. Dopo una fase iniziale di apprezzabili successi siamo gradualmente precipitati nelle ultime umilianti posizioni di tutte le graduatorie internazionali del settore.

Una analisi più approfondita consente di concludere che la pubblica amministrazione italiana nel suo complesso non è stata in grado di trarre vantaggio dalle tecnologie attualmente disponibili che facilitano l’interoperabilità e infatti i successi sono stati ottenuti quando i progetti di digitalizzazione sono stati realizzati da singole amministrazioni senza necessità di dipendere o di coordinarsi con altre amministrazioni, mentre sono falliti o – il che è la stessa cosa – non sono mai arrivati al termine o hanno rinunciato a funzionalità qualificanti i progetti basati sulla interoperabilità tra amministrazioni e sulla condivisione dei dati che comportano la cooperazione progettuale di più amministrazioni o di tutte le amministrazioni di una certa tipologia.

Una governance da manicomio per l’Agenda digitale

I Governi che si sono succeduti in questi anni hanno trascurato l’esigenza di dare una governance stabile alla Agenda digitale anche se il fatto che i due precedenti siano intervenuti con la nomina di un Commissario straordinario, segnala che a livello politico si era avuta almeno la percezione che il modus operandi esistente non fosse in grado di garantire i risultati attesi, ma segnalano anche che non si era capito che il problema non poteva essere affrontato con interventi straordinari, occasionali e temporanei, ma richiedeva una soluzione definitiva e permanente.

Tutto quello che si è fatto è stato caricare l’unica struttura esistente (AgID è sempre lo stesso contenitore anche se ha cambiato nome con ogni cambio di governo) di compiti e responsabilità senza un disegno.

Col tempo si è creata una situazione, benevolmente definita da qualcuno (l’allora sottosegretario Del Rio) una governance da manicomio, in cui non sono chiari i ruoli e chi è responsabile di cosa e in cui compiti essenziali per la implementazione della Agenda digitale non sono attribuiti ad alcuno.

Il governo attuale che si dice del cambiamento e che ha costruito il suo consenso anche grazie alle tecnologie informatiche non può sottrarsi al compito di analizzare i motivi degli insuccessi, che in sintesi si riconducono alla mancanza di un modello organizzativo e di governance adeguato alla attuazione della Agenda digitale.

Competenze e risorse per l’Agenda digitale

L’Agenda digitale è il prodotto della attività di una Funzione del Governo che integrando competenze giuridiche, amministrative e tecniche è in grado di individuare i Progetti che danno attuazione agli obiettivi di digitalizzazione della Pubblica Amministrazione.

La tecnologia offre oggi la possibilità di innovare radicalmente il modello architetturale, di funzionamento e di erogazione dei servizi della Pubblica Amministrazione. Le modifiche dei modelli amministrativi sono ovviamente compito e responsabilità di politici e amministratori, ma è compito dei tecnici suggerire cosa di nuovo e diverso sia possibile fare.

Per gestire l’Agenda digitale, che è in estrema sintesi un insieme di progetti, il Governo deve dotarsi di una Funzione di programmazione/pianificazione che abbia la capacità di capire come la tecnologia possa essere utilizzata per innovare l’amministrazione e di individuare e proporre i progetti da inserire nell’Agenda digitale e per questo deve disporre di competenze tecniche e di risorse adeguate per tradurre gli obiettivi politici in disposizioni legislative e regolamentari e in progetti di digitalizzazione che come tutti i progetti, e a maggior ragione se innovativi. dovranno essere caratterizzati e specificati da uno Studio di fattibilità.

Il compito di questa Funzione è esclusivamente quello di rendere disponibili gli Studi di fattibilità e non dovrebbe essere coinvolta nelle successive fasi progettuali che restano sotto la completa responsabilità delle amministrazioni.

Oggi non esiste una Funzione del Governo che abbia la responsabilità di gestire l’Agenda digitale con il compito esplicito di rendere disponibili gli Studi di fattibilità per i progetti sistemici e di conseguenza nessuno dispone delle risorse per commissionarli a terze parti qualificate.

Studi di fattibilità, questi sconosciuti

I progetti più significativi in sviluppo sono privi dello Studio di fattibilità anzi se ne giustifica la mancanza facendosi scudo di un demenziale ed improvvido intervento legislativo che ne avrebbe cancellato l’obbligo.

Lo Studio di fattibilità di un progetto, a prescindere dalle eventuali disposizioni di legge, è prerequisito di ogni buona pratica ingegneristica e rappresenta il “documento costitutivo e identificativo” che contiene le informazioni necessarie per orientare le decisioni politiche e le soluzioni tecniche senza il quale di fatto il progetto non “esiste”. Non può sorprendere quindi che senza lo Studio di fattibilità un progetto fallisca (ANPR docet)

Per la loro natura I compiti attribuiti alla Funzione necessitano di continuità nel tempo, comportano l’impiego di risorse e competenze stabili e dovrebbero essere attribuiti, diversamente da come avvenuto finora, ad una struttura organizzativa permanente altamente qualificata inquadrata nella Presidenza del Consiglio dei Ministri che sia in grado di identificare i progetti e di produrre i relativi Studi di fattibilità o preferibilmente affidarne la realizzazione a soggetti terzi qualificati pubblici o privati.

Non serve nominare commissari o creare unità di missione che al di là dell’impegno e della capacità delle singole persone e dei confusi poteri formalmente loro attribuiti, in realtà non vengono mai messe nelle condizioni di svolgere i compiti necessari.

Non è mai troppo tardi per cambiare e questo potrebbe essere il primo segno di cambiamento nella direzione di stabilire una vera governance dei processi di digitalizzazione della Pubblica Amministrazione.

È lecito chiedere perché proporre la creazione di nuove strutture invece di attribuirne i compiti a strutture esistenti. Ma proprio questo è il punto: i compiti delle strutture esistenti (AgID è sempre lo stesso contenitore anche se ha cambiato nome molte volte) si sono stratificati nel tempo senza un disegno dando origine a una situazione in cui non sono chiari i ruoli e chi è responsabile di cosa e in cui la responsabilità di svolgere attività e compiti essenziali in progetti di questa natura non è attribuita ad alcuno.

Un nuovo modello per la governance dell’Agenda digitale

È preferibile ragionare senza vincoli e proporre un nuovo modello di riferimento per la governance dell’Agenda digitale che consenta alla fine di creare le funzioni mancanti e di ridefinire i compiti di quelle esistenti.

Lo studio fattibilità contiene tutte le informazioni necessarie per passare alla fase esecutiva che verrà sempre affidata a una delle amministrazioni coinvolte. È però importante distinguere tra due tipologie di progetti.

I progetti “single agency”

Comportano attività di sviluppo di una sola amministrazione e non sono condizionati da servizi e informazioni di altre amministrazioni. Questi progetti hanno tipicamente lo scopo di rendere l’amministrazione conforme a specifici adempimenti normativi (CAD) e quindi ogni amministrazione è singolarmente responsabile di implementare il progetto.

I progetti sistemici, cosa sono e come realizzarli

Implicano attività progettuali coordinate di molte o anche di tutte le amministrazioni di uno specifico settore sia locali che regionali e centrali.

Si tratta sempre di progetti innovativi non solo perché fanno uso delle più recenti tecnologie digitali, ma perché non sono mai stati fatti prima.

Per questa tipologia di progetti non si può prescindere da uno Studio di fattibilità.

Si è detto che i progetti sistemici implicano la partecipazione di tutte le amministrazioni omologhe sia locali che regionali coinvolte in una data tipologia di servizi che, anche se erogati o veicolati da amministrazioni territoriali, rientrano sempre per materia nelle competenze di una amministrazione o ente centrale (ad esempio, il Ministero dell’Interno nel caso di ANPR).

Si tratta di progetti in cui partecipano centinaia o migliaia di soggetti autonomi (Comuni) le cui attività progettuali devono essere coordinate tecnicamente e sincronizzate temporalmente sia nella fase progettuale che nella fase di esercizio.

Affinché progetti di tale complessità possano andare a buon fine è necessario che si possa dare risposta ad alcune domande:

  • chi è il soggetto tecnicamente responsabile di disegnare la soluzione informatica in accordo con tutte le amministrazioni partecipanti e di formulare il piano di sviluppo
  • chi è il soggetto amministrativamente responsabile del progetto che si fa carico di predisporre i capitolati e attivare le gare
  • chi è il soggetto che gestisce le risorse del progetto e le assegna agli enti partecipanti e con quali modalità si assicura che tutti i soggetti siano in grado di rispettare il piano
  • chi è il soggetto che assicura il Project management fattore determinante per il successo del progetto
  • chi è il soggetto che assicura e continuerà ad assicurare in modo permanente la gestione dei servizi infrastrutturali necessari nella fase di esercizio.

È drammatico constatare che per i progetti in corso o manca la risposta a queste domande oppure la risposta a tutte indica un solo soggetto cui sono attribuiti tutti i compiti e le responsabilità, oppure peggio ancora che si indicano commissioni, comitati o gruppi di lavoro (con cui notoriamente non si fanno i progetti).

La responsabilità della realizzazione

Non si può ragionevolmente pensare che una unica Agenzia (specificamente AgID) possa svolgere questi compiti per tutti i progetti sistemici e neppure che si possano attribuire a organismi collettivi di natura istituzionale (commissioni o comitati) rappresentativi delle amministrazioni partecipanti compiti operativi o gestionali di natura permanente.

Si è detto che i progetti sistemici implicano la partecipazione di tutte le amministrazioni omologhe sia locali che regionali coinvolte in una data tipologia di servizi che, anche se erogati o veicolati da amministrazioni territoriali, rientrano sempre per materia nelle competenze di una amministrazione o ente centrale. (ad esempio il Ministero dell’Interno nel caso di ANPR).

Sembra allora logico attribuire la responsabilità di realizzare un progetto sistemico alla amministrazione centrale competente per materia trasferendo il coordinamento delle amministrazioni partecipanti e la gestione progettuale dal livello istituzionale come avviene attualmente a quello progettuale

Nello Studio di fattibilità sarà designata la amministrazione di riferimento del progetto e specificate le sue responsabilità nonché i poteri di coordinamento nei confronti delle altre amministrazioni e gli obblighi progettuali delle stesse. Saranno proposti gli interventi legislativi necessari per istituzionalizzare il progetto e assegnare le risorse allo sviluppo e al dispiegamento.

Il passaggio alla fase esecutiva

Con l’approvazione formale da parte del Governo dello Studio di fattibilità i progetti sistemici vengono istituzionalizzati con gli interventi legislativi e regolamentari, caratteristici e specifici di ogni progetto, che sono necessari per abilitare il passaggio alla fase esecutiva vera e propria che a titolo esemplificativo comporta le seguenti attività:

  • il disegno della soluzione e la predisposizione dei capitolati di gara per la progettazione esecutiva;
  • l’esecuzione delle gare per lo sviluppo delle soluzioni informatiche;
  • il dispiegamento su tutti i partecipanti;
  • l’integrazione e l’esercizio dei servizi;
  • il Project management.
  • l’esercizio

Il coinvolgimento degli enti locali nei progetti sistemici

Per completare la discussione sulla governance della Agenda digitale è necessario proporre una soluzione ai problemi che nascono dalla necessità di integrazione dei soggetti pubblici locali (uso questo termine generico perché il problema non si presenta solo per i comuni, ma per tutte le strutture pubbliche territoriali: scuole, strutture sanitarie, centri per l’impiego, regioni, ecc) nei progetti sistemici.

Le amministrazioni locali e gli altri soggetti territoriali sono molto disomogenei per la loro capacità economica e tecnica di realizzare gli interventi necessari per integrare i propri sistemi informativi nei progetti sistemici.

Molte amministrazioni non avranno le competenze o le risorse per conformarsi nei tempi previsti ai requisiti di legge e alla integrazione nei progetti sistemici mancheranno sempre molte amministrazioni locali. I progetti così non finiscono mai e molti cittadini restano esclusi dai servizi in funzione della residenza o per altre condizioni.

Pensare che tutte le amministrazioni siano in grado o debbano mettersi in grado di fare tutto è una assurdità ereditata dal presupposto giuridico del CAD che “la legge è uguale per tutti” con il risultato che “i servizi non sono uguali per tutti “.

Interoperabilità e condivisione

I progetti sistemici sono fondati sulla interoperabilità (sullo scambio di informazioni) e sulla condivisione (accesso a risorse “remote”) tra i sistemi informativi delle amministrazioni partecipanti. L’obiettivo di un progetto sistemico è quello integrare i sistemi informativi di tutti i soggetti pubblici (territoriali, regionali, nazionali) pertinenti, per implementare “servizi di cittadinanza” cioè servizi che anche se veicolati da soggetti locali devono essere disponibili per tutti i cittadini.

Per non creare discriminazioni tra cittadini di serie A e cittadini di serie B, tutti i soggetti territoriali pertinenti dovranno esser integrati nel progetto.

Si pensi ad esempio ad ANPR; fino a quando un comune non viene integrato i residenti in quel comune non avranno accesso ai servizi di ANPR. Ma ANPR o è per tutti o non è, e se dopo anni dalla data prevista i comuni sono 600 e non 8000 il progetto è tecnicamente fallito: lo stesso si può dire ed esempio per il fascicolo sanitario FSE o per la carta di identità elettronica CIE.

Alla domanda se si possa trovare una soluzione a questo problema è difficile dare una risposta per il passato, ma siamo sempre in tempo per il futuro. Il problema infatti è dovuto alla mancanza di standard.

Un rigoroso rispetto degli standard per evitare (nuovi) fallimenti

L’interoperabilità e la condivisione tra sistemi informativi presuppongono l’adozione di standard e possono essere garantite solo dal rigoroso rispetto degli stessi.

Gli standard industriali sono i protocolli scelti dal progetto a supporto dell’interoperabilità fra i sistemi e il rispetto di questi standard è assicurato dall’adozione di prodotti di mercato.

Gli standard applicativi si riferiscono ai dati che vengono scambiati tra i sistemi delle amministrazioni e sono caratteristici della pubblica amministrazione italiana. La loro definizione non può che essere compito di una funzione di standardizzazione interna alla amministrazione ma una funzione con questo compito non esiste nonostante negli ultimi venti anni questa esigenza sia stata rappresentata ai politici. Anche in questo caso non sarebbe mai troppo tardi per rimediare.

Non è necessario essere un genio della informatica per capire che se si fosse provveduto anche solo venti anni fa a standardizzare i dati anagrafici sarebbe stato un gioco di ragazzi realizzare ANPR senza escludere nessuno o forse ANPR sarebbe stata inutile.

Cosa serve per governare l’Agenda digitale

Per governare l’Agenda digitale è necessario che un terzo soggetto svolga almeno i seguenti compiti di natura tecnica di supporto ai progetti:

  • specificare gli standard industriali e gli standard applicativi che i progetti devono rispettare per assicurare la coerenza tecnologica e architetturale tra progetti diversi.
  • produrre e gestire le regole tecniche necessarie ad assicurare la conformità agli obblighi di legge.
  • promuovere la realizzazione delle piattaforme tecnologiche infrastrutturali immateriali
  • supportare il legislatore nella formulazione delle norme che fanno riferimento alle applicazioni della tecnologia ICT.
  • promuovere la realizzazione delle infrastrutture materiali essenziali per la realizzazione e l’esercizio dei progetti.

Tutti questi compiti che non richiedono la presenza di organismi di indirizzo politico possono essere attribuiti all’attuale AgID adeguatamente potenziata e liberata da altri onerosi compiti di natura burocratica e di controllo del tutto inutili, che si sono accumulati nel tempo a causa di una insipiente normativa che non avendo un disegno e un modello organizzativo ha attribuito ad AgID ogni tipo di compiti.

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