innovazione e occupazione

Intelligenza artificiale, l’Italia rischia di diventare Paese sotto sviluppato: ecco perché

Senza un deciso cambio di rotta in tema di innovazione industriale, senza una strategia di lungo periodo che coinvolga soggetti, anche pubblici, con le spalle larghe, l’Italia si troverà presto nella categoria dei paesi in cerca di sviluppo. Ecco cosa rischiamo

Pubblicato il 05 Nov 2018

Paolino Madotto

manager esperto di innovazione, blogger e autore del podcast Radio Innovazione

automation-and-innovation

I maggiori benefici dellIntelligenza Artificiale in termini economici e occupazionali andranno a quei paesi come Stati Uniti e Cina, per il loro essere grandi e tecnologicamente avanzati. Impatti devastanti potrebbero invece aversi nei Paesi in via di sviluppo, ma non solo. Rischiano i paesi dell’est Europa e rischia anche l’Italia se non si doterà e in fretta, di una strategia di trasformazione e innovazione industriale di lungo periodo (molto oltre gli attuali orizzonti del Piano Industria 4.0). E se non investirà massicciamente sulle competenze.

AI e Industria 4.0

Nelle analisi sull’impatto dell’Intelligenza Artificiale sull’occupazione sfugge spesso un punto rilevante che riguarda l’impatto che la robotizzazione e “Industria 4.0” possono avere nei paesi in via di sviluppo.

È indubbio che negli ultimi 40 anni in particolare, sia per la diffusione di internet che grazie agli effetti della globalizzazione e dell’abbattimento dei dazi (o comunque ad una loro regolamentazione), abbiamo assistito ad un enorme trasferimento di produzioni da un paese all’altro.

In particolare, nei paesi a maggiore industrializzazione e innovazione sono “sparite” produzioni manifatturiere importanti, spesso sostituite da delocalizzazioni in paesi terzi dove il costo del lavoro è minore.

Non solo la Cina, che è diventata quasi “la fabbrica del mondo” occidentale per volume di produzione di beni manifatturieri, ma anche molti altri paesi come il Vietnam, l’India (soprattutto per la terziarizzazione dei servizi in lingua inglese), la Cambogia e potremmo continuare per un numero molto elevato di paesi.

In Europa abbiamo molti paesi dell’est europeo e della ex Jugoslavia che fungono da “terzisti” per le ricche e industrializzate economie del nord Europa.

Intelligenza artificiale e rilocalizzazione

Oggi qualcosa comincia a cambiare, la forte possibilità di automatizzare la produzione di beni (e anche di servizi) attraverso l’Intelligenza Artificiale e la robotica porta molte imprese a prendere in seria considerazione la rilocalizzazione riportando all’interno della propria azienda o paese produzioni che prima erano terziarizzate.

L’enorme potenzialità offerta da AI e robotica porterà ad una concentrazione di capacità in sempre meno aziende, sempre più grandi. Già oggi ci sono settori nei quali vediamo come alcuni player stanno “facendo il mercato” dettando condizioni e liberandosi di attività terze. Amazon, per esempio, proprio nella catena della logistica fa larghissimo uso di automazione sia nella movimentazione merci nei magazzini ma soprattutto nei processi e nei sistemi di software a supporto.

Gli effetti dell’innovazione sull’occupazione

Questa trasformazione, soprattutto nei paesi in via di sviluppo ma non solo, può avere degli impatti devastanti in termini di occupazione. L’unica difesa sarebbe quella di spostare le produzioni delle aziende terze verso prodotti a maggior valore aggiunto, dove la specializzazione produttiva è più innovativa, aggiungendo alla fabbricazione di prodotti progettati magari da altri la capacità di immaginarne e realizzarne di nuovi, promuovere innovazione, integrare produzione e ricerca. Tutte cose tropo complicate per piccole aziende alla cui direzione magari c’è un ex operaio che è diventato “imprenditore”. Un fenomeno che molte regioni del nostro Paese conoscono bene per averne goduto benefici ma soprattutto dolori e desolazioni. Molti distretti industriali, considerati “perle” di sviluppo, si sono trasformati in trappole per migliaia di piccole imprese incapaci di evolvere quando la situazione lo richiedeva.

Cina e Usa leader, l’Europa si è fermata al GSM

Una recente ricerca della società PwC afferma che i paesi che estrarranno maggior valore da questa rivoluzione sono la Cina e gli Stati Uniti. La Cina vedrà crescere il proprio PIL (nel report viene utilizzato il GDP che è un po’ diverso ma per comodità e semplicità farò riferimento al PIL) del 26% e gli Stati Uniti del 14,5% per il 2030, raccogliendo insieme circa il 70% del valore prodotto dall’impatto di queste tecnologie. Un brutto segnale per l’Europa, sempre meno capace di essere leader di qualsiasi settore tecnologico o innovativo.

D’altra parte, come dice Kai-Fu Lee, ex capo di Google Cina che ha ricoperto importanti posizioni in Apple e Microsoft, in una recente intervista[1], per estrarre maggiori benefici dall’AI la maggior parte dei risultati non si ottengono dagli algoritmi che in gran parte ci sono e sono consolidati (anche se anche su questo il campo di ricerca può nascondere sorprese positive) ma dalla quantità di dati che si hanno a disposizione e dalla capacità di saperli leggere, manipolare e validare per produrre applicazioni innovative. Su questa frontiera Stati Uniti e Cina sono i paesi più avvantaggiati per il loro essere paesi grandi e tecnologicamente avanzati. L’Europa, con economie legate tra loro da moneta e regole di bilancio ma soprattutto in competizione tra loro su tutto il resto, difficilmente può tenere il passo. E d’altra parte negli ultimi decenni non si ricordano tecnologie o innovazioni nelle quali l’Ue fosse leader mondiali dopo lo standard del GSM.

All’interno dell’Europa potrebbero esserci degli impatti non indifferenti, con i paesi dell’est che oggi sono la fabbrica dell’economia tedesca la quale terziarizza principalmente da loro, in Spagna e in Italia.

Cosa rischia l’Italia

Anche il nostro Paese rischia molto: la sua bassa specializzazione industriale sempre più raramente è capace di esprimere produzioni tecnologicamente avanzate; il modello dei distretti a cui abbiamo accennato prima e una diffusa PMI che se da una parte è agile, dall’altra è incapace di innovazione; aziende familiari incapaci di esprimere gestioni manageriali (con la ben nota crisi della seconda generazione); una diffusa cultura aziendale che non riesce spesso ad allontanarsi da un modello tipico da indotto di grandi aziende.

Se non ci sforzeremo di investire in conoscenza, non metteremo in atto una politica straordinaria di interventi in grado di far entrare in gioco soggetti, anche pubblici, dalle “spalle larghe” e con una visione decennale, in grado di raccogliere le forze di eccellenza che pure ci sono e farle operare su un grande progetto di trasformazione nazionale rischiamo di trovarci in cattive acque. Non basterà la nostra “artigianalità”, lo stile, il “made in italy” in un mondo che potrà sfruttare l’AI per recuperare margini di profitto e produttività in ogni anello della catena del valore. O scegliamo la scommessa dell’innovazione o ci troveremo presto nella categoria dei paesi in cerca di sviluppo.

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  1. https://spectrum.ieee.org/tech-talk/robotics/artificial-intelligence/former-head-of-google-china-foresees-an-ai-crisis

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