La trasformazione digitale della Sanità necessita di una serie di competenze che non si possono improvvisare, e non parliamo di competenze digitali bensì delle competenze di leadership e di governo degli ecosistemi complessi e dei grandi programmi di trasformazione digitale. Sono queste le competenze che fanno la differenza tra un programma di cambiamento di successo e un disastro annunciato. Ma, se per formare un tecnico serve qualche anno, per formare un leader digitale e, quindi, trasformare la Sanità creando vero valore, ci vogliono decenni e un percorso che, più che una scampagnata è un viaggio lungo e tortuoso costellato di “riunioni inaspettate” e incontri bizzarri.
Leadership e competenze per la Sanità digitale, ovvero: la riconquista del tesoro
Quando mi sono fermato a ripensare al percorso della sanità digitale in Italia, (e non solo) di questi ultimi anni, non ho potuto fare a meno di pensarlo come un viaggio. Un viaggio verso il mitico tesoro della nuova sanità digitale, capace finalmente di mettere il paziente al centro, di contenere i costi ormai esplosivi, di prendere decisioni cliniche e organizzative basate sui fatti, di utilizzare l’innovazione tecnologica per risolvere molti dei problemi che ci affliggono e di generare il massimo valore per tutti gli attori coinvolti. Qualcuno, (che magari ha già letto qualche mio articolo e bazzica Tolkien), avrà già intuito che prenderò spunto a piene mani dal viaggio di Bilbo Baggins ne “Lo Hobbit” per ragionare su questo percorso, sugli impatti che le competenze e la leadership hanno e possono avere. Attenzione: rischio spoiler per chi non avesse ancora letto “Lo Hobbit”, (ma davvero c’è ancora qualcuno che non l’ha letto? Comunque non si preoccupi, potrà continuare comunque con l’articolo, ma nei prossimi mesi dovrà leggere assolutamente anche Lo Hobbit!).
” In te c’è più di quanto tu non sappia, figlio dell’Occidente cortese. Coraggio e saggezza, in giusta misura mischiati.” (Thorin Scudodiquercia)
Dalla digitizazion alla trasformazione digitale
Innanzitutto va detto che ogni viaggio verso la sanità digitale non può che partire da una “riunione inaspettata”, ossia dall’incontro di persone con competenze e caratteristiche diverse. Come all’inizio de “Lo Hobbit”, tutto si apre con un incontro bizzarro tra rappresentanti di razze diverse: nani, stregoni e hobbit appunto. È da questo mix improbabile e grazie all’ibridazione di competenze e caratteristiche eterogenee che è partita l’avventura!
Questo lo si è capito quando, in sempre più aziende sanitarie e non solo, l’evoluzione dei sistemi informativi ha superato la fase di pura digitalizzazione (in cui gli americani distinguono tra “digitization” e “digitalization”)[1] per entrare nella “digital transformation”. Facciamo qualche esempio: tradurre su un applicativo di cartella clinica elettronica esattamente la cartella cartacea è quello che gli americani chiamerebbero “digitization”. Questo può creare valore, (catturo in formato digitale dati clinici fondamentali), ma a volte distrugge anche valore, generando frustrazione e burnout nei clinici[2]. Se nell’introdurre la cartella elettronica modifico il processo per migliorarlo e sfrutto le potenzialità delle nuove tecnologie (speech recognition, mobilità, machine learning a supporto della diagnosi…), questa è digitalization. Ma se mi invento un processo completamente nuovo reso possibile dalle tecnologie digitali, come ad esempio il portale patientslikeme per fare network tra i pazienti, questa è digital transformation. Nel primo caso posso anche far lavorare un gruppo di informatici chiusi in una stanza, nel secondo ho bisogno di coinvolgere per lo meno i clinici, nel terzo caso devo tenere presenti le esigenze di diversi stakeholder, soprattutto i pazienti! Più innovo e trasformo e più l’ibridazione delle competenze e la co-creazione di valore diventano fattori chiave di successo. Andando oltre, vi sono casi in cui l’ospedale tradizionale è stato completamente smontato e rimontato in un ospedale virtuale[3], oppure i servizi sanitari sono stati riorganizzati con modelli completamente diversi. Una fonte inesauribile di spunti in questo senso è Christensen con il suo “The Innovators’ Prescription”[4].
Sulla scia anche dei risultati sorprendenti di alcune esperienze in contesti diversi (si pensi al settore turistico, al settore dei viaggi aerei, alle banche…), anche in sanità sono stati lanciati grandi progetti di digitalizzazione sia in Italia che all’estero. Alcuni con risultati importanti, altri un po’ meno, quasi tutti comunque al di sotto delle aspettative. Perché in sanità (e non solo in quella italiana) questo gap tra aspettative e risultati è così ampio? Stiamo sbagliando qualcosa? È come se nella ricetta della digital transformation, sulla carta così appetitosa, ci fosse un ingrediente fuori posto che compromette in modo irrimediabile il risultato finale.
Le trappole che frenano i progetti di sanità digitale
Sappiamo che l’NHS, uno dei sistemi sanitari che negli ultimi anni ha investito di più in innovazione digitale, si è posto l’obiettivo di diventare paperless (quindi parliamo più di digitalization che di digital transformation, il primo passo del percorso) la prima volta nel 2013, ipotizzando l’abbandono definitivo dell’ormai obsoleta cellulosa nel 2018. Poi successero tante cose, o forse semplicemente il 2018 sembrava lontano e invece è arrivato come la Brexit troppo in fretta, e fu varato il progetto “Paperless 2020”. Attualmente il 2020 viene ritenuto non raggiungibile e si parla del 2023, ma alcuni analisti ritengono il 2027 una data più realistica[5].
Insomma è come per l’avventura di Bilbo: la trasformazione digitale (o anche la semplice digitalizzazione) all’inizio sembrava una piacevole e tranquilla scampagnata, ma durante questi anni ci siamo imbattuti in gallerie oscure, salite a volte sfiancanti, pioggia battente, Goblin, lupi mannari, troll e ragni famelici, come successe a Bilbo e ai suoi compagni.
Guardando alcuni grandi progetti italiani e internazionali dall’alto, si scorgono alcune trappole ricorrenti in cui sono caduti in modo rovinoso molti di essi. A mio parere si possono raggruppare in tre categorie:
Le semplificazioni terribili (e gli slogan)
La prima trappola è quella che Watzlawick, nei suoi scritti sul cambiamento, ha chiamato delle “semplificazioni terribili”[6]. I protagonisti di questo mondo sono ben descritti dai protagonisti di Flatlandia[7]: esseri che si muovono su una o due dimensioni e che non riescono a comprendere le ulteriori dimensioni dello spazio e del tempo.
I programmi di trasformazione digitale sono complessi, perché coinvolgono variabili tecnologiche, ma soprattutto umane. Banalizzare la complessità e porre obiettivi anche temporali irraggiungibili[8], cercando poi di raggiungerli attraverso soluzioni posticce che non creano valore e spesso aumentano i rischi e l’entropia, è una strategia che nasce spesso dall’incapacità di abbracciare la complessità della realtà. È vero che a volte, (e la storia lo ha ampiamente dimostrato), problemi anche molto complessi possono avere soluzioni semplici. L’esperienza però insegna che le soluzioni semplici a problemi complessi sono frutto di genialità o di incapacità: purtroppo nella vita reale, a discapito di tanti geni che pure sono esistiti, il secondo caso è più frequente del primo.
Le varianti di questa trappola sono diverse.
- La prima che mi viene in mente è quella degli slogan. Ad esempio, uno degli slogan più abusati in sanità è quello del “paziente al centro” (o del “patient empowerment” per gli anglofoni). L’obiettivo è lodevole, ma lo stesso Porter, con l’aplomb che lo contraddistingue, dice che “the consumer’s role has been oversemplified”[9]. lo slogan purtroppo uccide il pensiero, distacca dalla realtà e impedisce di costruire soluzioni realmente di valore. Perché nella sanità gli stakeholder sono tanti e i pazienti di sicuro sono uno dei principali, ma non l’unico. Certamente va rivalutato il ruolo del fruitore finale dei servizi nella fase di progettazione dei servizi e di co-creazione del valore, ma questo non avviene attraverso gli slogan. Purtroppo più sento parlare di paziente al centro e più vedo una sanità che di fatto marginalizza il ruolo dei pazienti.
- La seconda variante di questa trappola è la sindrome del “Silver Bullet”, ossia la soluzione unica che quasi magicamente risolve tutti i problemi. L’innovazione è spesso diventata il silver bullet in grado di farci superare ogni problema. E’ una visione magica della vita (la Rowling nella saga di Harry Potter non ci ha spiegato che per noi babbani la tecnologia è quello che per i maghi è la magia?), che in altri contesti si esprime con superstizioni e riti di vario tipo. Un altro esempio nefasto di “silver bullet” è quello del “Profeta Disarmato”. Abbiamo visto in molti casi il tentativo di risolvere situazioni complicate selezionando un leader, magari anche capace e competente, a cui viene dato il compito irrealizzabile di cambiare le cose, senza avere né le risorse né il tempo che servirebbero. Non vorremmo per esempio che la nomina per legge del Responsabile della Trasformazione Digitale si trasformi nella nomina, in aziende senza risorse e strutture adeguate, di un profeta disarmato che, anche se professionalmente valido, non potrà incidere realmente sulla realtà.
Gestione delle risorse e del valore
Le esperienze internazionali mostrano che chi ha ottenuto valore dai percorsi di digitalizzazione in sanità ha investito con costanza per un lasso di tempo pluri-decennale. Basta citare gli esempi del nord Europa, come Svezia e Danimarca, che investono tra i 60 e i 70 euro a cittadino per la sanità digitale. Per darci un termine di paragone, l’Italia si colloca sotto i 30 euro. Inoltre in molte realtà sanitarie l’80% delle risorse disponibili è vincolato dalla gestione corrente e solo il 20% è disponibile per nuovi investimenti[10]. Purtroppo grandi progetti non opportunamente finanziati non raggiungono la massa critica per generare valore in modo sistematico e non occasionale. Insomma, i soldi non fanno la felicità, ma servono.
Esiste anche la trappola opposta, ossia di situazioni in cui le risorse ci sono ma sono mal governate e male utilizzate. Potremmo dire che questa è la sindrome del vincitore della lotteria. È dimostrato che molti vincitori della lotteria non riescono a gestire i soldi ricevuti. Questo perché la capacità di gestire grandi somme di denaro non si improvvisa e se la competenza non è mai stata esercitata, gli esiti in queste situazioni sono spesso catastrofici. Così succede anche di vedere progetti molto ben finanziati dove le risorse non sono utilizzate con oculatezza e il valore generato è misero.
Più in generale, il tema è la corretta gestione del valore. Intendo il valore in senso Porteriano[11], ossia come il rapporto tra gli outcome (risultati raggiunti) e il costo per raggiungerli. Il concetto non è ovviamente nuovo, è presente in tutti i framework di governance dei sistemi informativi (si veda ad esempio il framework Val IT di ISACA[12]). È però stupefacente constatare quanti grandi progetti partano o senza le risorse adeguate o, quando le risorse ci sono, senza una corretta gestione del valore.
L’uomo della provvidenza
L’ultima trappola, che spesso si interseca con le due precedenti con esiti devastanti, è quella di cercare di risolvere le difficoltà insite in ogni percorso di cambiamento tramite un super-condottiero o un super-eroe. Nel caso in cui il super-eroe sia privo di risorse, ricadiamo nel caso del profeta disarmato. Se invece le risorse ci sono, spesso il condottiero passa sopra tutto e tutti, ignorando i feedback magari importanti che arrivano dalle persone coinvolte nel cambiamento. Il risvolto concreto è la suddivisione delle persone in “favorevoli al cambiamento” (=buoni) e “resistenti al cambiamento” (=cattivi), senza porsi il problema se nella resistenza non ci sia anche qualche buona ragione. A volte la strategia andrebbe rivista radicalmente o corretta sfruttando i feedback che vengono dalle persone coinvolte, ma l’approccio autocratico si sa è poco incline al confronto. È la situazione ben descritta da questa vignetta di Dilbert, che trovo irresistibile:
Questo è un metodo che in alcuni contesti a complessità limitata permette a volte di raggiungere degli obiettivi, ma in un contesto come quello della trasformazione digitale della sanità ha dei limiti importanti. Infatti, le variabili sono così numerose e gli stakeholder così diversi e frammentati che un singolo uomo, fosse pure un super-eroe, non può governare da solo questa complessità. L’esperienza dimostra che i risultati più importanti e soprattutto duraturi sono stati raggiunti dai leader che hanno saputo fare squadra e costruire team multi-disciplinari integrati. Gli studiosi del cambiamento come Kotter[13] raccomandano infatti la costituzione di una “Guiding Coalition” per progetti di cambiamento complessi. E la trasformazione in atto nella sanità è, a mio parere, uno degli ambiti più complessi esistenti in questo momento.
Chiudo con una considerazione finale: purtroppo è anche possibile che le tre trappole si sovrappongano. In questo caso si crea la tempesta perfetta, perché è come se Bilbo e i nani di Thorin fossero stati attaccati contemporaneamente dai Goblin, da Smaug e dai ragni giganti. Nessuna possibilità di sopravvivenza. Da evitare se possibile.
La botte piena, la guardia ubriaca
L’esperienza insegna che è possibile trovare soluzioni intelligenti e creative anche di fronte a situazioni apparentemente senza via d’uscita, come successe a Bilbo quando liberò i suoi amici dalle prigioni degli elfi. E’ possibile creare percorsi di innovazione digitale che aumentino il valore e diminuiscano i costi. Lo dimostrano le esperienze di alcuni Paesi, ma anche di diverse realtà italiane. Ci sono molti studi che confrontano i livelli di maturità in ambito eHealth degli stati europei. Ad esempio in “eHealth, ICT and its relationship with self-reported health outcomes in the EU countries”[14] A. I. Tavares registra una situazione evidenziata anche da altri studi analoghi:
Il grafico in particolare misura l’ICT Development Index (IDI), ossia lo sviluppo dell’infrastruttura ICT nel paese, e l’eHI (eHealth Index), che misura il livello di adozione dell’eHealth in particolare nelle cure primarie. Un gruppo di paesi di cui fanno parte la Danimarca, l’Olanda, la Svezia, la Finlandia, il Lussemburgo e il bistrattato NHS dello UK sono definiti i “frontrunners”, ossia coloro che conducono la corsa e trascinano gli altri. Ci sono diverse altre classifiche, ma il risultato non cambia. Le sei nazioni citate sono sempre al top in Europa (e non solo).
Anche in Italia ci sono delle eccellenze
Credo che sia interessante affiancare alla classifica delle nazioni più avanzate nella sanità digitale un altro grafico, preso dal report “Human Capital and Digital Skills” del programma “Digital Single Market” della Commissione Europea[15]. Il grafico rappresenta in azzurro il livello di skill digitali di base (uso di internet e capacità di base) e in rosso gli skill digitali avanzati (quelli dei professionisti dell’ICT). Ebbene sì, le prime sei nazioni europee sono ancora Danimarca, Olanda, Svezia, Finlandia, Lussemburgo e UK. Potrei citare altri studi analoghi, il risultato non cambierebbe (e nemmeno purtroppo la posizione in classifica dell’Italia).
Anche in Italia però ci sono delle eccellenze. Cito ad esempio (cosciente della limitatezza di questo elenco che non rende giustizia delle tante esperienze positive), i sei e-Leader (o leader digitali) premiati durante l’ultimo Digital Health Summit di AISIS e LifeTech Forum[16]. C’erano Direttori Generali (dell’APSS di Trento, dell’A.O. S. Orsola Malpighi), Amministratori Delegati (del Centro Medico S. Agostino), Program Manager (dell’Istituto Nazionale dei Tumori) e il Responsabile dell’Area ICT di FIMMG. Sono tutti esempi di realtà che, anche grazie a leader digitali di visione ma concreti, hanno percorso un buon tratto di strada verso la sanità digitale che crea valore per tutti. Peraltro, anche in Italia, pur senza avere dati così puntuali come quelli della comunità europea, le realtà italiane citate hanno da sempre posto una particolare attenzione sulle competenze digitali.
Siamo in ritardo, ma non tutto è perduto
Claudio Magris diceva che “nell’esistenza c’è troppo, e troppo poco”[17]: lo stesso vale per la sanità digitale. Abbiamo ancora dei gap formidabili da colmare e non solo in termini di risorse, ma soprattutto di servizi. Se alcune ricerche[18] rilevano che il 52% delle strutture sanitarie non ha ancora servizi fruibili via App, che il 60% non utilizza i social e il 54% dichiara che non vi è nessuna adozione di piattaforme web per fornire servizi, capiamo quanta strada ci sia da fare. Potremmo continuare dicendo che solo il 33% delle realtà sanitarie fornisce servizi completi di download dei referti, percentuale che si ferma al 35% per i servizi di prenotazione, ma che scende al 21% per i pagamenti on-line. Questi dati danno la misura del percorso da compiere.
Quanto mostrato nel paragrafo precedente evidenzia un legame tra le competenze digitali e i risultati eccellenti. È stato lo stesso per Bilbo, che all’inizio era uno scassinatore senza averne competenze, poi diventa non solo competente, ma anche leader capace di prendere decisioni (che ne dite di come ha gestito in modo strategico l’Arkengemma?). La leadership è, insieme alle competenze, l’altro fattore strategico di successo. Lo dimostrano le cause di fallimento che abbiamo analizzato e che sono legate ad una carente leadership digitale (e non solo). Per essere chiari, non stiamo dicendo che competenze e leadership siano il “silver bullet” capace di risolvere ogni cosa, perché la ricetta è complessa e gli ingredienti sono molti. Le persone però, (con le loro competenze e le capacità di leadership), sono l’ingrediente indispensabile, senza il quale tutto il resto è inutile. Potremmo anche aggiungere che, mentre le strategie, le risorse, le tecnologie, i meccanismi di governance, la capacità di execution (tutti fattori critici di successo) possono essere dispiegati se c’è la volontà in tempi anche brevi, formare una classe di persone digitalmente competenti e dei leader in grado di gestire il cambiamento richiede decenni.
Quindi quando dobbiamo partire? Dieci anni fa direi. Ma non tutto è perduto. Quello che diceva Thorin Scudodiquercia di Bilbo vale anche per noi: “In te c’è più di quanto tu non sappia, figlio dell’Occidente cortese. Coraggio e saggezza, in giusta misura mischiati.” Tradotto con un linguaggio a noi più vicino, il coraggio e la saggezza sono la leadership e le competenze. Da un certo punto di vista siamo nella tempesta perfetta, dall’altro però abbiamo anche l’opportunità perfetta di imparare da chi è più avanti di noi nel percorso della trasformazione digitale evitando di ripercorrere gli stessi errori. E allora largo spazio a percorsi di formazione che colmino i gap di competenze digitali sia per i tecnici che per i non tecnici, che sappiano unire ad una solida base sia tecnica che metodologica, anche la costituzione di network per la condivisione di esperienze. Per gli e-Leader, forse le figure più critiche in questo momento, vanno favoriti oltre a percorsi di formazione anche luoghi (fisici o virtuali) di incontro con leader digitali di realtà nazionali e internazionali che abbiamo esperienze di percorsi maturi da condividere.
La battaglia dei 5 eserciti
Nella mia esperienza l’e-Leader più efficace è spesso una persona che assomma in sé competenze digitali e umanistiche integrate in una visione coerente. Non dimentichiamo che la caratteristica della nostra cultura occidentale e italiana in particolare è proprio la capacità di unire in un mix esplosivo scienza, tecnologia e cultura umanistica: questo potrebbe essere la vera chiave di volta della trasformazione digitale. Se fonderemo questo background con la capacità di ibridare le competenze e far collaborare i diversi attori della sanità digitale, potremo come nella Battaglia dei 5 Eserciti sconfiggere anche i nemici più agguerriti. Uomini, Elfi e Nani insieme hanno sconfitto Goblin e lupi mannari, da soli ne sarebbero stati sopraffatti. Potremo così reimpossessarci del tesoro di conoscenza e competenze che già era nostro, perché parte della nostra cultura: del resto, il prototipo dell’ingegnere rinascimentale che è stato Leonardo Da Vinci ci appartiene completamente.
Chiudo con un’ultima riflessione, che parte da questa immagine
Forse qualcuno di voi l’avrà riconosciuto: si tratta del Cardinale Gianfranco Ravasi durante il suo intervento al congresso FIASO 2018. In un contesto in cui si è parlato tanto di innovazione in sanità (organizzativa, digitale, di processo), l’intervento del Cardinal Ravasi è stato forse il più profondo e sorprendente. È passato dal libro di Giobbe all’intelligenza artificiale, ha citato Steve Jobs e la robotica, transitando dal papiro di un anonimo egiziano sul suicidio e dal libro “La malattia come metafora” di Susan Sontag. Un maestro di cultura e di umanità: l’apprezzamento che l’intervento ha ricevuto da tutti i presenti dimostra che di cultura, digitale e non, la trasformazione in corso nella sanità italiana e mondiale ha un immenso bisogno!
AISIS (Associazione Italiana Sistemi Informativi in Sanità – www.aisis.it) è un’associazione senza fini di lucro, nata nel 2003 con lo scopo di favorire una crescita dell’attenzione sulle problematiche connesse all’innovazione digitale in Sanità, intesa come leva strategica di cambiamento delle aziende sanitarie pubbliche e private. Rappresenta una realtà costituita da oltre 500 soci che si propone come catalizzatore/facilitatore di percorsi di formazione, di eventi di networking e di alleanze tra tecnologi, utenti e decisori, perché la digitalizzazione e la trasformazione digitale della sanità creino valore per tutti gli stakeholder. In particolare AISIS è attiva sulla formazione dei suoi membri tramite l’eHealthAcademy (www.aisis.it/e-health-academy-2018). Insieme al LifeTech Forum organizza inoltre un evento annuale, il Digital Health Summit, che riunisce tutti gli stakeholder della sanità digitale (www.digitalhealthsummit.it). Inoltre AISIS si avvale di collaborazioni internazionali importanti, come quella con CHIME (www.aisis.it/chimecentral-org) ed organizza study tour all’estero e altri momenti di incontro tra e-Leader tecnici e non tecnici. |
- BIBLIOGRAFIA
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- “Digitize ≠ Digital” – J. W. Ross – MIT Sloan Center for Information Systems Research ↑
- http://www.mayoclinicproceedings.org/article/S0025-6196(16)30215-4/abstract ↑
- http://www.mercyvirtual.net/ ↑
- http://www.claytonchristensen.com/books/the-innovators-prescription/ ↑
- https://www.digitalhealth.net/2017/04/nhs-will-not-be-paperless-before-2027/ ↑
- “Change”, di Paul Watzlawick,John H. Weakland,Richard Fisch – Ed. Astrolabio ↑
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- https://sloanreview.mit.edu/article/digital-is-about-speed-but-it-takes-a-long-time/ ↑
- “Redefining Healthcare”, di M. Porter ed E. Teisberg – Ed. HBS Press ↑
- Dal report: “I trend della sanità e il ruolo del digitale: stato dell’arte e sfide del sistema Italia” – edizione 2018 dell’eHealth Lab di AISIS e NetConsulting cube ↑
- https://www.isc.hbs.edu/health-care/vbhcd/Pages/default.aspx ↑
- http://www.isaca.org/Knowledge-Center/Val-IT-IT-Value-Delivery-/Pages/Val-IT1.aspx ↑
- Leading Change, di J. P. Kotter – Ed. HBR Press ↑
- https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1386505618300200#bib0140 ↑
- https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/human-capital ↑
- www.digitalhealthsummit.it – concorso W.In.e. ↑
- “Microcosmi” – C. Magris – Ed. Garzanti ↑
- Sempre dal report: “I trend della sanità e il ruolo del digitale: stato dell’arte e sfide del sistema Italia” – edizione 2018 dell’eHealth Lab di AISIS e NetConsulting cube ↑