E’ positiva per il Paese notizia che si vada più velocemente verso la separazione della rete (con la fuoriuscita di Genish da Tim) e la fusione con Open Fiber (sotto la regia del Governo, come detto di recente da Di Maio); ma purché avvenga sotto certe condizioni a tutela di competizione e investimenti.
Sulla carta è positiva la fusione-separazione, perché avremo finalmente un soggetto unico focalizzato a investire per estendere la fibra ottica nelle case degli italiani. Senza rischio di sovrapposizioni e sprechi che possono rallentare gli investimenti.
Però bisogna parare alcuni rischi che ne conseguirebbero.
Sarebbe un caso unico al mondo, quindi all’Italia tocca il compito di aprire la strada; non possiamo guardare a modelli di altri Paesi.
Credo che sia quindi importante rafforzare il ruolo dell’Agcom e stabilire tutele di neutralità nella governance nella rete, a tutela di investimenti e competizione. Da tempo propongo di passare a un modello regolatorio Regulatory Asset Base, dove chi investe di più viene remunerato di più (con il beneplacito del regolatore). Sarebbe incentivato l’investimento in zone di digital divide.
Ma credo anche in rimedi tecnologici: la creazione di un piano intermedio che funzioni come open service exchange verso tutti gli operatori che garantisca neutralità della rete
Per questi motivi è utile che Tim torni a pensare da azienda tecnologica, come tale è, e così favorire l’uscita delle telco dall’angolo in cui si sono ficcati.
Importantissimo, in questo scenario, anche la notizia – che è nell’aria – di un accordo Tim e Vodafone per fare la rete 5G assieme. Come per la fibra ottica nelle case, da soli i singoli operatori non ce la possono fare ad assicurare all’Italia una copertura capillare (che nel 5G significa passare da 16 mila base station, fatte in 20 anni, a 160 mila in cinque anni circa).