La recente pubblicazione del rapporto “Le strategie di disinformazione online e la filiera dei contenuti fake” del “Tavolo tecnico per la garanzia del pluralismo e della correttezza dell’informazione sulle piattaforme digitali” istituito dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AgCom) credo costituisca un importante passo avanti nella consapevolezza e nell’impegno pubblico rispetto al tema della disinformazione online, che assume un ruolo molto rilevante, come si sottolinea nel testo, per “l’entità delle ricadute negative che il fenomeno può generare per la formazione dell’opinione pubblica e, quindi, dal punto di vista sociale e politico”.
L’importanza del rapporto Agcom
L’importanza del rapporto è soprattutto legata a due fattori:
il fenomeno della disinformazione online è analizzato in modo strutturato, approfondito e allo stesso tempo semplice e chiaro, sulla base dell’identificazione delle quattro fasi del processo di disinformazione (creazione del messaggio, produzione del contenuto -in cui il messaggio viene incorporato ovvero trasformato in un prodotto informativo-; distribuzione del contenuto; valorizzazione del contenuto- monetariamente o non monetariamente);
si esce con chiarezza dall’ambiguità con cui spesso si affrontavano le “fake news” come fenomeni isolati e legati a singole situazioni e attori perversi, approdando invece all’affermazione che si tratta di strategie di disinformazione, che è bene conoscere in dettaglio, distinguendo tra diverse tipologie (sostanzialmente commerciali e politiche-ideologiche).
I principali elementi di analisi
Anche con l’utilizzo dell’analisi di casi concreti il rapporto ci offre un quadro difficilmente contestabile di una realtà in cui:
l’evoluzione tecnologica consente la configurazione di un contesto informativo sempre più complesso. In particolare nel rapporto ci si sofferma sul ruolo della tecnologia nel processo di diffusione dei contenuti di disinformazione online dove “giocano un ruolo chiave, di tipo incentivante, gli algoritmi delle piattaforme online, soprattutto quelli di search che definiscono il ranking dei contenuti mostrati nei risultati di ricerca e quelli utilizzati dalle piattaforme social, che favoriscono sistemi di personalizzazione automatica dei contenuti visualizzati e permettono, inoltre, una molteplicità di azioni e reazioni da parte degli utenti; questi meccanismi, da un lato, migliorano la capacità di profilare gli utenti (utile anche nella fase di creazione e produzione nonché nel monitoraggio della campagna di disinformazione) e, dall’altro lato, facilitano la diffusione dei contenuti fake”;
le strategie commerciali di disinformazione online possono basarsi su modelli di business sostenibili e proficui, grazie al ruolo sempre più elevato che ricoprono le piattaforme online, e, ad esempio, al fatto che “il sistema di compravendita di pubblicità online sia basato sulla ricerca dei click e sul target di utenti che verosimilmente effettuerà un’azione” ma anche che “l’automatismo dei meccanismi di negoziazione degli spazi pubblicitari ha favorito la proliferazione di operatori, piattaforme tecnologiche e intermediari, accrescendo la distanza fra domanda (inserzionisti) ed offerta (editori/publisher) di pubblicità. Tale elemento ha un impatto diretto sulla proliferazione della disinformazione online, poiché favorisce un ambiente in cui vi è una scarsa capacità di controllo sull’intero processo di negoziazione da parte degli investitori pubblicitari che non sono in grado di conoscere sempre con esattezza – e in anticipo – in quali siti verranno visualizzati i messaggi pubblicitari”;
mentre sono diverse naturalmente le finalità, per quanto riguarda le modalità di attuazione le strategie commerciali e politiche di disinformazione online si sviluppano sugli stessi elementi. Il che a mio avviso consente un più facile interscambio e riuso di algoritmi e dati tra organizzazioni che operano sui due ambiti, e creando una convenienza rilevante nell’indurre sempre più “gli utenti” a comportamenti simili come consumatori e come cittadini.
Siamo, pertanto, di fronte a distorsioni dei contesti commerciali e politici che hanno un certo e profondo impatto sul funzionamento della nostra società.
Le azioni proposte dal rapporto
Il rapporto sceglie la strada, che credo sia da condividere, di identificare delle azioni di vera e propria lotta alla disinformazione piuttosto che incamminarsi sul versante delle azioni legislative.
Vengono in particolare identificate azioni su più livelli, come ad esempio
lo sviluppo di forme di cooperazione continuativa di tipo tecnico-scientifico, anche con università e centri di ricerca, per migliorare la conoscenza dei fenomeni di disinformazione online e misurare gli impatti delle misure adottate o in corso di adozione;
iniziative di divulgazione e scambio di esperienze all’interno dei membri del Tavolo (che include operatori e associazioni);
predisposizione di soluzioni operative, quali ad esempio la preparazione di linee guida, la progettazione e implementazione di campagne di informazione indirizzate agli utenti, l’elaborazione di programmi e buone prassi di media literacy, lo sviluppo di nuove soluzioni di fact-checking, la promozione di nuove attività ad alto carattere innovativo condivise tra tutti gli operatori del mercato dell’informazione online, etc.
Per quest’ultimo punto sono istituiti dei gruppi di lavoro
per il costante monitoraggio dei fenomeni di disinformazione e di hate speech online (Gruppo A – Metodologie di classificazione e rilevazione dei fenomeni di disinformazione online);
per l’individuazione di forme di trasparenza del sistema della pubblicità online (Gruppo B – Definizione di sistemi di monitoraggio dei flussi economici pubblicitari, da fonti nazionali ed estere, volti al finanziamento dei contenuti fake);
per la creazione di una piattaforma di coordinamento delle attività autonome di fact-checking e definizione di standard giornalistici in materia di trasparenza, etica e qualità della struttura editoriale (Gruppo C – Fact-checking: organizzazione, tecniche, strumenti ed effetti);
per le iniziative per la media literacy e il contrasto ai fenomeni di hate speech online (Gruppo D – Media e digital literacy: promuovere la cultura mediatica e digitale fornendo ai cittadini strumenti per un uso consapevole e critico dei (social e non) media);
per l’introduzione di nuovi strumenti di trasparenza ed empowerment del consumatore (Gruppo E – Progettazione e realizzazione di campagne informative su disinformazione rivolte ai consumatori).
Una riflessione conclusiva: trasparenza degli algoritmi e consapevolezza dei cittadini
Il rapporto mi sembra riesca a identificare in modo coerente le azioni di un primo disegno di lotta alle strategie di disinformazione, puntando sulle caratteristiche specifiche della rete, e potenziando gli strumenti di “smascheramento” delle bufale online, anche se un’azione forte per l’apertura e la trasparenza degli algoritmi sarebbe senz’altro auspicata.
Credo sia da potenziare l’approccio sul fronte della consapevolezza dei cittadini. Non che il tema non sia riconosciuto (alcuni gruppi di lavoro vi sono rivolti in modo specifico) ma il livello di azione (anche per l’ambito in cui opera il Tavolo) rimane informativo. E invece la mancanza di consapevolezza non è un semplice tema di mancanza di informazioni “corrette”, ma affonda le radici nell’analfabetismo e quindi ha cause più profonde, che è fondamentale affrontare con vera e propria strategia nazionale, come ho spesso ribadito su questa testata e che i vari organismi internazionali ci ricordano puntualmente da anni (la commissione UE con il rapporto DESI, l’OCSE con il rapporto PIAAC e gli altri rapporti sulle competenze nel nostro Paese).
Sono due, semplificando, gli elementi da cui partire per una strategia nazionale:
la presenza elevata di analfabetismo funzionale in Italia. Solo per gli aspetti di “literacy” (sostanzialmente comprensione e lettura di testi) sono circa 11 milioni gli Italiani che possono essere definiti analfabeti funzionali. Come sottolinea lo studio dell’Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) il fenomeno “caratterizza, non solo, come prevedibile, gli over 55 soggetti ad una maggiore obsolescenza delle competenze per via dell’avanzare dell’età e/o della fuoriuscita dal mondo del lavoro, ma tutte le fasce di età ed, in misura preoccupante, anche i giovani”. Per loro le cause principali sono la “minore partecipazione al mondo del lavoro o a percorsi formativi, oltreché dal fenomeno dell’abbandono scolastico precoce (early school leavers)”;
l’elevata carenza di competenze digitali, che si evidenzia con i bassi livelli di utilizzo di Internet (69% con 81% della media UE) ma soprattutto con la bassa percentuale di persone che possiedono competenze digitali almeno di base (43% contro la media UE di 57%).
E questo è un tema, come ha sottolineato l’OCSE, che ha un impatto fortissimo sulle prospettive e potenzialità di lavoro. Anche per questo è necessaria una strategia nazionale. Tornando alla disinformazione online, come agire nel breve?
Un suggerimento è di connettere in un unico disegno interventi formativi e informativi, peer-to-peer e broadcast, utilizzando presìdi e iniziative permanenti che permettano ai cittadini di sviluppare le competenze fondamentali per abitare la rete (pensiero critico, information e data literacy innanzitutto) e acquisire così la capacità di utilizzare gli strumenti di contrasto alla disinformazione anche individuati dal rapporto del tavolo AgCom.
Ci sono esperienze significative da cui partire, prima di tutto i punti assistiti Pane e Internet della Regione Emilia Romagna e le iniziative simili della regione Veneto e della Regione Toscana. Oppure l’iniziativa dei Punti Roma Facile (declinati a Genova dall’associazione Open Genova), nel cui ambito si sta sviluppando la Scuola della Partecipazione e della Cittadinanza Digitale, che ha obiettivi molto convergenti con quelli qui esposti.
Come affermava Tullio De Mauro, “Purtroppo l’analfabetismo è oggettivamente un instrumentum regni, un mezzo eccellente per attrarre e sedurre molte persone con corbellerie e mistificazioni”. Così la lotta all’analfabetismo funzionale e digitale diventa fondamentale per rendere efficace la lotta alla disinformazione online. Questa si basa su asimmetrie di mezzi: soprattutto se ha obiettivi politici, combatterla è una lotta chiave per la democrazia.