umanisti digitali

Come progettare una laurea in scienze umane pensata per le professioni digitali

Unire l’impostazione tecnico-scientifica con la prospettiva umanistica-sociale per formare un professionista con anima umanistica e competenza digitale appetibile alle aziende. E’ questo l’obiettivo di un nuovo corso di laurea magistrale in scienze umane pensato per le professioni digitali. Vediamo da dove nasce l’idea

Pubblicato il 26 Nov 2018

Davide Bennato

professore di Sociologia dei media digitali all’Università di Catania

Le sfide poste dall’epoca digitale in cui stiamo vivendo necessitano di una collaborazione fra l’impostazione scientifico-tecnologica e la prospettiva umanistica-sociale: ecco perché le scienze umane e sociali devono entrare di diritto nella cultura professionale del XXI secolo e perché, assieme ad un piccolo ma determinato gruppo di colleghi dell’Università di Catania, abbiamo deciso di progettare un nuovo corso di laurea magistrale in scienze umane pensato per le professioni digitali.

Ma cosa vuol dire progettare un corso di laurea in scienze umane pensato per le professioni digitali? Quali sono le scelte da fare, le decisioni da prendere, il concetto da usare come guida?

Una corretta risposta a queste domande definisce non solo il dialogo fra discipline SSH (Social Science and Humanities) e discipline STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics), ma anche quale vogliamo sia il contributo delle discipline umanistiche al mondo delle professioni del digitale. E viceversa.

Mettiamo le cose nella giusta prospettiva

L’idea di progettare un nuovo corso di laurea magistrale all’interno del nostro Dipartimento che è specializzato negli studi filosofici, linguistici e letterari ci è venuta fondamentalmente per due motivi molto semplici.

Il primo è il nostro interesse scientifico (ma non solo) verso le opportunità che il digitale ha offerto alla nostra professione: siamo studiosi di processi culturali e sociali, e utilizziamo le tecnologie digitali come strumento indispensabile per la nostra attività di ricerca. In soldoni: abbiamo la ferma consapevolezza che molti degli studi che facciamo – teoricamente ed empiricamente – siano debitori di alcune questioni sollevate dalle tecnologie digitali. Per esempio: in che modo gli studi letterari possono avvalersi dell’uso di tecniche informatiche di trattamento del testo? Come è possibile analizzare computazionalmente l’uso sociale di alcune parole all’interno di specifiche comunità linguistiche? Quali gli impatti filosofici e sociali dell’intelligenza artificiale? In che modo i big data possono dare un contributo all’avanzamento della conoscenza sociologica? Come è facile notare sono tutte domande che sollevano questioni delicate della società contemporanea.

Il secondo motivo è squisitamente fenomenologico. Abbiamo osservato che tutti i nostri studenti e laureandi più brillanti, che si sono fatti catturare dall’interesse nell’uso di metodologie digitali nello studio di processi sociali e culturali, sono tutti riusciti a trovare un’occupazione, spesso all’estero, in cui la loro formazione di umanisti competenti nelle tecnologie digitali gli ha permesso una collocazione professionale affascinante e assolutamente imprevista, almeno per come siamo abituati a pensare il futuro dei laureati in lettere o in filosofia o in scienze della comunicazione. C’è chi ha iniziato un PhD nel settore delle scienze cognitive, chi ha intrapreso un percorso professionale nella traduzione automatica, chi invece produce reportistica e fa analisi per conto dei reparti marketing di aziende medio-grandi.

Formare un umanista digitale, i problemi

A questo punto – come si diceva qualche tempo fa – la domanda nasce spontanea: è possibile mettere tutto questo a sistema? Ovvero è possibile creare un percorso di studio che veda nell’umanista digitale un candidato appetibile per le aziende? Insomma: le fissazioni digitali di un gruppo di umanisti – con la partecipazione di uno scienziato sociale – possono diventare una scusa per dar vita un professionista con un’anima umanistica ma con una competenza digitale?

Abbiamo cominciato a lavorare sulla cosa con lo stesso piglio con cui si organizza un piano di attacco. Un po’ per scherzo, un po’ seriamente, prenderò questa cosa come indicazione per raccontare il nostro progetto, come si vede nei film dove si parla in maniera romanzata di azioni fatte da un gruppo di lavoro eterogeneo come in Ocean Eleven oppure Il signore degli anelli.

Il contesto universitario

Il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania è credibile nel proporre una laurea umanistica con una forte connotazione digitale? La risposta è si. Un po’ perché esistono diversi docenti del dipartimento – storici, filosofi, linguisti, esperti di letteratura – che trattano temi o usano metodologie che hanno a che fare con il digitale. Inoltre il Dipartimento vanta una tradizione pluridecennale di studi letterari fatti usando tecnologie informatiche. Quindi l’approccio digitale alle scienze umane fa parte della cultura dipartimentale.

Le collaborazioni accademiche

Il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania ha rapporti professionali e di lavoro con il Dipartimento di Informatica e Matematica dell’ateneo catanese? Assolutamente si. Esistono collaborazioni stabili fra il nostro Dipartimento e quello di informatica: infatti i nostri docenti sono spesso ospiti di seminari organizzati dai colleghi di informatica e viceversa. Inoltre ci sono progetti legati alla computer vision del Dipartimento di Matematica e Informatica che usano come laboratorio sperimentale proprio la sede del Dipartimento di Scienze Umanistiche, ovvero un monastero benedettino del XVII secolo. E se ciò non bastasse, per stabilizzare ancora di più questa collaborazione scientifica, da poco più di un anno è nato un centro di ricerca interdipartimentale in Informatica Umanistica – il CINUM – che non solo capitalizza l’esperienza di ricerca già sperimentata negli studi letterari, ma in cui siede stabilmente una rappresentanza dei colleghi del Dipartimento di Matematica e Informatica con cui abbiano già collaborazioni attive.

Intorno a quale idea costruire la laurea magistrale?

Sicuramente il settore delle Digital Humanities è un settore appetibile per l’orientamento digitale che vogliamo dare al progetto. Ma quale aspetto di questo settore? Esistono moltissimi modi con cui declinare questo nuovo orientamento delle scienze umane. L’idea era un scegliere un percorso, un’idea, che consentisse la valorizzazione delle diverse tradizioni di ricerca che prendono forma nel lavoro dei colleghi del dipartimento. È emersa subito con forza l’idea di concentrarsi sulla componente testuale: è il testo ad essere lo strumento guida per declinare un nuovo modo di concepire l’umanista digitale. La centralità del testo è facile da giustificare negli studi umanistici: filologia, analisi letteraria, argomentazione filosofica, approccio linguistico. Ma il testo ha una sua centralità anche nell’attuale panorama informatico e digitale. Basti pensare al mondo della SEO, in cui osservazioni terminologiche – sinonimi, contrari, aree semantiche – prendono la forma di strategie di marketing. Oppure alla necessità di formare una generazione di professioni in grado di scrivere testi pensati per il mondo di internet: dalla lunghezza compatibile con i limiti delle piattaforme digitali e sensibili all’indicizzazione da parte dei motori di ricerca.

Alle imprese interessa l’umanista digitale?

Il territorio etneo ha una sua tradizione di tessuto imprenditoriale legate al mondo del digitale: dalla tradizione dell’Etna Valley degli anni ’90, al boom del mondo delle startup della prima decade del 2000. Ma l’idea era quella di capire se le imprese siciliane sensibili all’informatica fossero interessate ad un laureato di questo tipo. Per questo motivo abbiamo cominciato a fare una serie di incontri con gli stakeholder del settore legati al territorio e abbiamo ricevuto una serie di preziosi consigli intorno ai quali strutturare la nostra proposta didattica. Due in particolare: attenzione ai dati e alle soft skill. L’attenzione ai dati è importante perché sempre più spesso le aziende diventano produttrici di dati – anche testuali – e una loro valorizzazione è assolutamente indispensabile. Le soft skill perché gli ambienti professionali digitali richiedono competenze sempre più di sistema e non solo tecniche e specialistiche, pertanto capacità di ascolto, di lavorare in gruppo e di coordinamento interdisciplinare diventano doti importanti per l’integrazione dell’umanista digitale in un contesto professionale.

Gli studenti come avrebbero preso il progetto?

Anche in questo caso abbiamo ascoltato i nostri studenti, sia durante le nostre lezioni, sia attraverso i rappresentanti dei diversi corsi di laurea. Abbiamo scoperto che c’è molto interesse da parte loro affinché un tale corso di laurea prenda forma, soprattutto per quanto riguarda la professionalizzazione verso il mondo digitale. Abbiamo anche scoperto che c’è interesse a dialogare con le aziende durante il processo formativo, anche per comprendere orientamenti e tendenze del mercato del lavoro.

Fin qui il piano d’attacco: com’è andata l’impresa? Ancora è una questione aperta.

Il futuro giudicherà la bontà del nostro progetto, al netto dei vincoli e dei legacci della burocrazia accademica, fatta di RAD, MIUR, ANVUR e tutte le misteriose sigle che orientano la parte istituzionale del nostro lavoro.

Ma c’è una cosa ben chiara alla base del nostro progetto.

Le scienze umane e sociali devono entrare di diritto nella cultura professionale del XXI secolo, perché le sfide del periodo che stiamo vivendo necessitano di una collaborazione fra l’impostazione scientifico-tecnologica e la prospettiva umanistica-sociale. Questa collaborazione non è solo questione di riappacificazione delle famose due culture, ma è un vero e proprio obiettivo culturale per una società come la nostra che è stata accelerata – tra le altre cose – dalla diffusione della tecnologia. Il mondo è pieno di sfide che la tecnologia pone alla condizione umana e sociale contemporanea – intelligenza artificiale, big data, internet delle cose – il periodo è maturo perché in questo orizzonte entri in campo l’umanista digitale: la consapevolezza di un passato codificato al servizio di un futuro in divenire.

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