Paiono ingiustificati gli allarmi che corrono in queste ore in molti studi notarili, dopo che il “decreto semplificazioni” appena passato in via definitiva conferisce valore legale ai dati registrati mediante l’utilizzo delle “tecnologie basate su registri distribuiti” (blockchain).
Sembra di poter giungere a questa conclusione se mettiamo al confronto tre aspetti: la nuova norma, le funzioni tecnologiche e l’attuale ruolo del notaio.
Validità e efficacia giuridica del documento informatico
La legislazione vigente regolamenta la validità e l’efficacia giuridica del documento informatico nonché degli strumenti per l’attribuzione della paternità dello stesso. Il D.P.R. n. 513/1997 apre la strada al Codice dell’Amministrazione Digitale (D. l.vo del 16 maggio 2005 n. 82) che ha già subito diverse integrazioni e modifiche, come spesso accade nella regolamentazione di ogni nuovo settore, soprattutto quando si affronta un radicale cambio di interpretazione delle fattispecie giuridiche conosciute.
In questa fase, per favorire lo sviluppo delle tecnologie basate su registri distribuiti, ad avviso dello scrivente, si sta cercando di recuperare il recuperabile, tentando di riciclare alcune nozioni ed alcuni principi utilizzati per regolamentare il passaggio al digitale, senza tener conto che tali semplici trasposizioni concettuali non sempre sono in grado di soddisfare l’esigenza di una normazione specifica. Nel caso della tecnologia Blockchain non è sufficiente adattare per analogia la normativa esistente, utilizzando principi di diritto già scritti, soprattutto se si pretende di disciplinare concetti praticamente inesistenti nel nostro ordinamento, come quello della decentralizzazione e dell’assenza di intermediari, molto lontani da una reale ed immediata integrazione e per ora di difficile applicazione.
La legislazione italiana rispettando i principi di innovazione e digitalizzazione si è uniformata a quanto previsto dal Regolamento eIDAS (Regolamento (UE) n. 910/2014), con riferimento alle tre tipologie di firma elettronica, la cui efficacia è sancita all’art. 20 del Codice dell’Amministrazione Digitale.
Il “digitale garantito” nel nostro ordinamento
Il richiamato articolo, al comma 1-bis, stabilisce in maniera chiara ed inequivoca la validità legale di alcuni tipi di documenti informatici, redatti e “costruiti” rispettando determinati parametri, per cui, sicuramente, un passo avanti è stato fatto rispetto al riconoscimento legale del solo documento cartaceo (vidimato nelle forme di legge arcaicamente concepite). Un ulteriore passo verso il riconoscimento dei dati inseriti nella Blockchain è rappresentato dall’assunto (D. L.vo 13 novembre 2017 n. 217) secondo il quale ai documenti informatici si attribuisce la validità di prova alla stregua dei documenti sottoscritti con firma digitale, purché tali documenti rispettino tre requisiti fondamentali (ossia che siano redatti in maniera tale da consentire inequivocabilmente di identificarne la paternità del documento, che garantiscano la loro integrità ed immutabilità per via del loro processo di creazione, che consentano di attribuire univocamente ed inequivocabilmente l’appartenenza ad un soggetto determinato), e quindi si può affermare con indubbia certezza che anche nel nostro ordinamento, il “digitale garantito” ha il dovuto riconoscimento giuridico.
Rilevanza probatoria del documento informatico
Tuttavia, sebbene la valenza legale dei tre tipi di firma (elettronica qualificata, avanzata o digitale), che permettono di attribuire efficacia a qualsiasi documento così sottoscritto, e l’introduzione del concetto legale di immutabilità ed integrità informatica – introdotti dall’appena citato decreto – rappresentino un’innovazione rispetto al passato, di fatto, non prescindono dall’utilizzo di un intermediario certificatore e per tanto sono ancora ben lontani dall’incarnare il principio di decentralizzazione tipico della Blockchain pubblica e distribuita, che al contrario dovrebbe essere svincolata da qualsiasi egemonia e controllo di terze parti.
Il rilievo utile che scaturisce dalla normativa a cui ci siamo riferiti riguarda il superamento dell’assunto che un documento elettronico (solo per il fatto di essere tale) non può assumere rilevanza probatoria in un eventuale giudizio.
Per riassumere, il nostro ordinamento da una parte non nega in assoluto e quindi per partito preso, che un documento informatico possa assumere rilevanza giuridica, dall’altra specifica che il grado di rilevanza probatoria dipende dalla garanzia che il documento informatico fornisce, focalizzando l’attenzione sullo strumento utilizzato per “crearlo”.
Tutto ciò permette sicuramente l’equiparazione del documento informatico alle scritture private di cui all’art. 2702 c.c., ma di certo non prevede, soprattutto in certi casi, la sostituzione della figura del terzo garante (centralizzazione).
I notai e la loro vera funzione
Venendo ai notai italiani, si fa notare che il principio introdotto, secondo cui “alle informazioni e ai dati certificati attraverso tecnologie basate su registri distribuiti secondo il principio di neutralità tecnologica è attribuita la stessa validità giuridica attribuita a informazioni e dati certificati attraverso l’uso di altre tecnologie” è ben lungi dal decretare l’estinzione di una categoria, che in un sistema giuridico come il nostro, basato sul “civil law”, non si limita a svolgere una mera attività di certificazione.
Infatti, anche se il dettato normativo appena richiamato statuisce un’equipollenza legale tra i dati creati e registrati mediante tecnologie di registri distribuiti (e con altre tecnologie) tuttavia non entra nel merito di come e quando, per esempio, tale attività potrà ritenersi da sola sufficiente a garantire le parti di un negozio.
Il termine dati certificati, così come riportato dalla norma, in realtà esula da qualsiasi premessa che ridisegni il concetto di certificazione, che in Italia (come in altri Paesi), è un attività riservata ad una figura terza rispetto alle parti, abilitata a valutare e validare i contenuti di un determinato documento, tanto da avere fede pubblica.
Ciò che ritengo fondamentale, per comprendere bene quale potrebbe essere l’evoluzione professionale della categoria di cui trattasi, è capire quali sono realmente le attività che un notaio svolge nel nostro Paese e se l’utilizzo di Blockchain, in combinazione con gli smart contract, è da solo idoneo a sostituire questa figura.
Partiamo da una certezza, “la blockchain sostanzialmente è un database”, utile a conservare in maniera immutabile, trasparente e sicura tutti i dati immessi, che attribuisce la paternità della transazione (pseudonomizzando), che verifica la reale volontà dell’interessato di inserire proprio quei dati, garantendone l’inalterabilità.
In buona sostanza la blockchain è forse il migliore dei registri, e può essere utilizzato anche senza l’ausilio di una terza parte.
Il notaio italiano, però, non è solo un mero certificatore o un intermediario per la registrazione dei dati, ma svolge tutta una serie di funzioni che vanno ben oltre queste semplici attività.
Le peculiarità della figura del notaio in Italia
Vale la pena ricordare che la figura del notarius è stata inventata proprio dal nostro ordinamento e poi mutuata da altri Paesi che l’hanno sostanzialmente adattata alle loro normative e/o ai loro sistemi giuridici, in alcuni casi snaturandola completamente rispetto alla figura originaria, come ad esempio nel caso del “Public Notary” tipico del diritto anglosassone. Infatti, il notaio del Common Law svolge una mera funzione di certificazione senza nessun’ altra incombenza, proprio come fanno i registri distribuiti (ma senza intermediario), che in più forniscono maggiori garanzie di conservazione, validazione e trasparenza dei dati immessi. Tale costatazione lascia sicuramente spazio alla convinzione che questo tipo di figura risentirà in maniera negativa dell’avvento dei DLT e che probabilmente sarà da questi completamente sostituita, fino ad estinguersi.
Radicalmente differente è la figura del notaio italiano, a tutti gli effetti di legge anche esso un pubblico ufficiale che nell’esercizio delle sue funzioni conferisce “pubblica fede” agli atti da lui validati e li elegge a “piena prova” fino a querela di falso, ma che per determinati tipi di attività non si limita semplicemente a conferire valore giuridico ad un documento ma svolge una vera e propria opera professionale che difficilmente potrà essere demandata alla blockchain (o agli smart contract).
Infatti, i compiti del nostro notaio non si esauriscono nell’alimentare i registri pubblici, ma tra le altre cose, provvede a tramutare tutte le volontà recepite dalla parti nella forma legalmente più idonea e soprattutto si occupa di conformarle alle normative vigenti, mai senza aver prima espletato quell’analisi giuridica necessaria richiesta per ogni caso specifico.
Oltre a quanto detto, il nostro notaio funge da sostituto di imposta e quindi liquida e corrisponde le tasse per conto dello Stato ed inoltre si occupa di attivare e porre in essere tutte le procedure e gli adempimenti previsti dalla legge per ogni atto sottoscritto. Nel caso di beni immobili, oltre ad eseguire sotto la propria responsabilità tutti i controlli necessari atti a garantire le parti da qualsiasi pregiudizio, si onera di applicare le normative antiriciclaggio.
Una tale figura, che riveste una rilevanza ed una centralità notevole all’interno del nostro ordinamento, difficilmente verrà scalzata da un’innovazione tecnologica, qualunque ne sia la natura. A parte questa personale considerazione bisogna poi aggiungere che la categoria in questione ha già dimostrato di sapersi adeguare bene ai cambiamenti, sia riconoscendo l’utilità della Blockchain, ma anche predisponendosi all’innovazione, proponendo un’integrazione tra le funzionalità della propria opera flessionale e quelle della tecnologia dei DLT.
Conclusioni
Le preoccupazioni a mio avviso sono ben altre, più di quelle relative alla scomparsa di una figura storica e radicata come quella dei notai italiani, e riguardano soprattutto:
- la compliance tra il concetto di decentralizzazione tipico della blockchain permissionless e tutto il sistema giuridico italiano, che nasce e si fonda sul principio esattamente opposto,
- l’individuazione di quali blockchain riconoscere legalmente ed in base a quali criteri
- quando considerare distribuita una blockchain permissionless,
- come regolamentare gli smart contract e come utilizzarli in una eventuale controversia giudiziaria,
- come adattare al GDPR la tecnologia della blockchain pubblica e le sue funzionalità
- come classificare giuridicamente le criptomonete ed i token.
Questi a mio avviso sono alcuni degli aspetti più rilevanti da affrontare nell’immediato, per consentire una rapido ma controllato sviluppo della tecnologia DLT e delle piattaforme decentralizzate, anche perché prima che si possa pensare di sostituire figure professionali come quella dei notai, o dei giuristi in genere è necessario capire se questo possa essere possibile, regolamentando innanzitutto in maniera chiara un settore che in altri Paesi del mondo ha già movimentato svariati miliardi di dollari e che oggi potrebbe fornire nuovi spazi professionali a chi sarà in grado di adattarsi ed innovare processi, prodotti e servizi. La blockchain non si adatta alle regole già scritte ma ne scrive delle nuove, ed è proprio questo, a mio avviso, il compito che il nostro legislatore deve svolgere nell’immediato, ossia normare chiaramente la materia dei registri distribuiti e decentralizzati, magari creando una nuova branca del diritto, sempre tenendo conto dei diversi campi di applicazione di questa nuova rivoluzionaria tecnologia, che sottolineo, non rappresenta la panacea a tutti i mali, ma se applicata con criterio e disegnata per ogni singolo campo di applicazione è sicuramente una rivoluzione.
NotarchainA sostegno di quanto appena affermato riguardo la resilienza dei notai vi è l’esempio di Notarchain, nata da una partnership tra Notariato, Ibm e Siae, presentata al 52° Congresso Nazionale “#Notaio: “garanzia di sistema per l’Italia digitale”, svoltosi a Palermo. Questa immediata risposta dei notai alle esigenze di digitalizzazione del Paese vuole aumentare la garanzia della sicurezza nelle transazioni e con Notarchain vengono presentati due progetti: i registri diffusi (blockchain) e i registri volontari digitali. Ad oggi la registrazione dei dati nei pubblici registri (immobiliari, Societari o dello stato Civile) nonché la loro gestione e tenuta, rappresentano una delle attività che i notai nella loro qualità di pubblici ufficiali, delegati dallo Stato, compiono quotidianamente. La garanzia della pubblicità legale è sinonimo di affidabilità e sicurezza delle transazioni economiche, e tutela non solo dei soggetti direttamente coinvolti, ma anche dei terzi, che spesso determinano le loro scelte economiche anche in base ai dati contenuti nei registri pubblici. Notarchain, basata su una blockchain non costituita da nodi anonimi ma dai notai italiani, permette di mantenere intatte le caratteristiche tipiche dei DLT (velocità delle transazioni, assenza di costi per l’utente, diffusione e distribuzione potenzialmente su scale mondiale), ed anche se non integra pienamente i principi di un modello di registro decentralizzato, in quanto manterrebbe comunque un centro di controllo, potrebbe garantire allo stesso modo le verifiche sulla veridicità dei dati inseriti. Con “Notarchain” il Notariato vorrebbe fornire il primo modello di blockchain in Europa, che seppur non decentralizzato, promette di garantire non solo la certezza la trasparenza e l’immodificabilità dei dati inseriti, ma anche un controllo preventivo sull’identità dei soggetti coinvolti, nonché sulla correttezza e completezza dei dati stessi inseriti nei vari blocchi. Stesso principio anche per il secondo progetto che prevede la registrazione e l’archiviazione dei codici sorgente, che una volta depositati presso un notaio italiano, entrano a far parte del registro condiviso con la Siae acquisendo una marca temporale ed attribuendo la paternità del programma informatico. |