la riflessione

De Michelis: “Ci crediamo smart, ma siamo alienati: è il nuovo tecno-capitalismo”

Nella società amministrata di oggi ogni passo, pensiero, comportamento e decisione degli uomini è guidato e attivato/indotto da app, algoritmi, motori di ricerca, social. Dopo l’automazione del lavoro, arriva quella del pensiero. Ecco perché serve la democratizzazione della tecnica, dopo quella economica e politica

Pubblicato il 27 Dic 2018

Lelio Demichelis

Docente di Sociologia economica Dipartimento di Economia- Università degli Studi dell’Insubria

techno-caputalism

Arriva il 5G, una connessione ancora più rapida tra più dispositivi ancora più integrati e convergenti tra loro, con tempi di latenza – uno di quei tempi che il sistema capitalista e tecnico considera come morti perché non produttivi di profitto – quasi annullati. E poi: smart-city, smart-working, smart-phone, machine learning, internet delle cose (IoT), ma soprattutto internet delle persone, cioè la connessione/integrazione di tutti grazie ai social e alle retoriche della condivisione e del fare community.

Già: perché prima delle cose sono gli uomini (ridotti a cose, numeri, dati) a dover essere connessi/integrati, controllati e profilati (ma spiati è la parola più corretta) e amministrati[1]. La società amministrata descritta criticamente dai francofortesi mezzo secolo fa era nulla rispetto alla società amministrata di oggi, dove ogni passo, pensiero, riflessione, comportamento e decisione degli uomini è guidato e attivato/stimolato/indotto da app/algoritmi/motori di ricerca/social/dopamina/gamification.

La grande alienazione (2018)

Tecno-capitalismo come biopolitica o amministrazione

Immanuel Kant scriveva (1783) che l’illuminismo era l’uscita dell’uomo dalla sua condizione di minorità – e minorità è l’incapacità di servirsi del proprio intelletto, senza la guida di un altro; e quindi: Sapere aude! è dunque il motto dell’illuminismo[2] – l’uscita cioè dal girello per bambini in cui il potere, ogni potere ama invece infantilizzare ed etero-normare gli individui. Poteri a cui riesce tanto facile erigersi a loro tutori, dicendo: non ragionate! Di più: regole e formule, questi strumenti meccanici di un uso razionale o piuttosto di un abuso delle sue disposizioni naturali, sono i ceppi di una eterna minorità.

E dunque, partendo dall’illuminista Kant, dobbiamo riaffermare che la ragione dell’illuminismo – e per questo rischiaramento non occorrerebbe altro che la libertà, il fare ‘pubblico uso’ della propria ragione in tutti i campi – è stata sconfitta dalla razionalità calcolante e strumentale di tecnica e capitalismo: perché se l’illuminismo era liberante/rischiarante, tecnica e capitalismo sono invece poteri organizzativi grigi che oscurano la visione del proprio insieme sistemico e del proprio funzionamento organizzativo/amministrato, escludendo la capacità e la possibilità umane di capire verso dove e come il tecno-capitalismo si sta muovendo, portandoci con sé ma a nostra insaputa.

E che, come tutti i poteri organizzativi (imprese, mercato, apparati tecnici, ideologie, religioni), teme la libertà e guida ciascuno – con le opportune tecniche motivazionali e comportamentali, dalla psicologia del lavoro al marketing, dal paternalismo imprenditoriale alla Sezione sociologica di Ford fino alla dopamina dei social e alle retoriche dell’auto-imprenditorialità neoliberale e tecnica di oggi – a integrarsi con l’organizzazione, ciascuno facendo propria (introiettandola) la logica, i valori e gli scopi dell’organizzazione, identificandosi con il suo potere teologico/ontologico e teleologico.

Società amministrata e servitù volontaria

E tecno-capitalismo è il termine che per noi designa il sistema appunto integrato e integrante/convergente di tecnica & capitalismo – cioè religioso, anche se rivestito/mascherato da quella parola-chiave che apre facilmente la mente individuale e collettiva che è: smart. Parola versatile e certamente intrigante (chi non vorrebbe vivere/lavorare in modi smart?), ma ambigua perché permette di considerare intelligenti/smart anche lavori e processi in realtà molto stupidi e molto poveri di contenuti intellettuali – ma anche l’essere profilati/spiati da imprese private peggio che dai totalitarismi del ‘900.

Tutto questo va a impattare in modo significativo, da una parte (e magari in senso positivo) sul Pil e sul profitto delle imprese. Ma – dall’altra parte e in senso negativo – genera un’ulteriore e accresciuta eteronomia/etero-direzione della vita attraverso una delega crescente e ormai totalizzante degli uomini alla tecnica e a quelle imprese private (oligopolistiche) che gestiscono, governano, amministrano la vita attraverso i dati. Così replicandosi con la tecnica e gli algoritmi il vecchio rapporto tra servo e padrone e la vecchia inclinazione umana alla servitù volontaria (La Boétie). Dove asserviti sono tutti e padrone è l’apparato tecnico e capitalistico, ormai autoreferenziale/autopoietico.

Il tecno-capitalismo, con i suoi meccanismi di delega, inserisce quindi ciascuno in un nuovo/vecchio processo di cessione/trasferimento della sovranità e di alienazione dalla libertà individuale e politica analogo a quello descritto nel Leviatano da Thomas Hobbes: appunto, ieri la delega della decisione al sovrano politico, oggi a un algoritmo tecnico; anche se tutto avviene oggi in modalità smart, nella favola/storytelling della massima libertà dell’individuo[3].

La società amministrata secondo la Teoria critica della Scuola di Francoforte – diversa ma simile alla società governamentalizzata secondo Foucault, almeno nei suoi effetti di governo della vita umana è una gabbia d’acciaio weberiana[4] (l’odierno ordinamento capitalistico impone a ciascuno, in quanto è costretto dalla connessione del mercato, le norme della sua azione economica determinando lo stile di vita di ogni individuo che nasce in questo ingranaggio e non soltanto di chi prende parte all’attività puramente economicacon l’aggravante che oggi la vita intera dell’uomo è diventata vita economica e tecnica). Gabbia d’acciaio che si fa gabbia di vetro o virtuale secondo Nicholas Carr[5] o un acquario dove massima sembra la libertà di nuotare, non vedendo le pareti di vetro dell’acquario, che quindi illudono di uno spazio infinito (meccanismo analogo alle ombre sulle pareti della caverna platonica) mentre è normato e amministrato da quelle stesse pareti (e ombre)[6].

Il capitalismo delle piattaforme

Dunque, la tecnica: intesa – con Anders[7] e con Ellul[8] (ma già Nietzsche scriveva qualcosa di simile) – come sistema di macchine. Che ha la propria volontà di potenza nella logica dell’auto-accrescimento infinito (tutto ciò che si può tecnicamente fare, si deve fare, secondo Andersanalogo al: tutto il profitto che si può fare, si deve fare, del capitalismo) e nella convergenza di tutti gli apparati in apparati sempre più grandi e connessi tra loro (mega-macchine, come oggi la rete).

Con la trasformazione progressiva delle forme tecniche e delle norme tecniche con cui funzionano i sistemi di macchine (meccanici o virtuali/digitali, non fa differenza) in forme e norme sociali (il come si struttura e si organizza e vive una società sulla base delle forme e norme tecniche che incorpora e con cui funziona). La tecnica avendo cessato da tempo (come il mercato) di essere un mezzo che la società utilizza per migliorare le proprie condizioni di vita individuale e collettiva, divenendo invece una forma integrale/integralistica di vita, quindi il fine stesso della vita umana: dove l’uomo si fa sempre più funzionale al funzionamento della tecnica e del mercato, che a loro volta governano (governamentalizzano) e amministrano la vita degli individui e della società im-ponendo le loro forme e pre-scrivendo il rispetto delle loro norme di funzionamento. Norme che normano ben più della legge e che insieme normalizzano i comportamenti e socializzano ciascuno al/nel proprio ruolo/funzione di nodo della rete, di micro-capitalista in servizio permanente effettivo.

E funzionale – ad esempio per André Gorz – è una condotta razionalmente governata e adattata a uno scopo, «indipendentemente dall’intenzione dell’agente a perseguire tale scopo, del quale anzi egli, in pratica, non ha e non deve avere conoscenza»; ovvero: «la funzionalità è una razionalità predeterminata e prescritta all’attore dall’organizzazione che lo ingloba. E quanto più essa si sviluppa, tanto più l’organizzazione funziona come una macchina». Gorz chiamava tutto questo: sfera dell’eteronomia[9]. E il funzionale è il nuovo normale/normalità del tecno-capitalismo. Un meccanismo di amministrazione (o disciplinare/biopolitico) possibile grazie alla divisione industriale e capitalistica del lavoro e poi della vita – perché sia poi più facile la loro integrazione/connessione in una totalità che sempre deve essere maggiore della semplice somma delle parti in cui lavoro e vita sono state prima suddivise[10].

Se ieri (fordismo) era necessario concentrare migliaia di persone in una fabbrica perché il mezzo di produzione/connessione era una catena di montaggio fisica e meccanica che poteva funzionare solo in quel modo e in quel luogo (questo permetteva la tecnica di allora), oggi grazie alla rete (una rete che si fa fabbrica totale e globale e soprattutto fabbrica integrata e integrante – ma era il sogno, oggi realizzatosi, sia di Ford che di Taylor) è possibile esternalizzare il lavoro di produzione, consumo, gioco, divertimento grazie al mezzo di connessione che si chiama rete/algoritmo/piattaforma e che, essendo appunto un mezzo di connessione delle parti prima suddivise è il nuovo mezzo di produzione. Ed è il capitalismo delle piattaforme o la rete/fabbrica (fordismo esternalizzato/individualizzato), perché questo permette la tecnica di oggi – invece del fordismo concentrato di ieri.

Il doppio determinismo: tecnico e neo-liberale

Di più. Da una parte abbiamo il determinismo tecnologico con la sua razionalità calcolante e strumentale – che tradisce appunto quella ragione illuministica da tempo trasformata in mezzo per dominare gli uomini e la natura (Max Horkheimer, nel 1947). Con il calcolo «potendo risparmiare la noia di dover enumerare tutte le qualità di un essere o di un oggetto», così che il pensiero stesso «si è ridotto al livello dei processi industriali, assoggettato a tabelle orarie rigorose: in breve è diventato parte integrante del processo di produzione. (…) Una meccanizzazione del genere è certamente essenziale all’espansione dell’industria; ma se investe tutti i processi intellettuali (…) essa assume una sorta di materialità e di cecità, diventa un feticcio, un’entità magica che si accetta, più che sperimentarla intellettualmente. (…) La calcolabilità prende il posto della verità»[11] – e oggi sono gli algoritmi e la matematizzazione della vita (Big Data e non solo) a farci risparmiare la noia di enumerare tutte le qualità di un essere umano, mentre ormai aspettiamo le risposte senza avere neppure formulato le domande e sono l’algoritmo e i dati a divenire feticci della rete, della società/rete e materia prima del tecno-capitalismo – perché l’innovazione non si può e non si deve fermare, perché è comunque progresso (ma l’idoleggiamento del progresso conduce alla sua negazione, ammoniva Horkheimer).

La tecnica è ormai un potere non controllato e non bilanciato da altri poteri (come dovrebbe invece essere per la teoria moderna dello stato). E ciò è accaduto grazie soprattutto alla familiarità che noi umani – incapaci di vivere senza tecnica e continuando ingenuamente a considerala un semplice mezzo – abbiamo per tutto ciò che è tecnica e alla familiarità con cui la tecnica si offre a noi.

Scriveva Günther Anders: «la sua opera principale [della familiarizzazione] sta nel nascondere le cause e i sintomi dell’alienazione, la sua squallida realtà; nel togliere all’uomo la capacità di accorgersi che lo hanno straniato dal mondo e il mondo da lui, insomma nel mascherare l’alienazione, nel rinnegarne la realtà e quindi nello sgomberare il campo alla sua sfrenata attività; e attua il suo proposito popolando senza sosta il mondo di immagini di cose apparentemente familiari. (…) un unico e gigantesco ambiente domestico, un universo di agio e cordialità. Tale prestazione costituisce la ragion d’essere della familiarizzazione. L’incarico le viene affidato dall’alienazione stessa, che si nasconde dietro le sue spalle[12]».

Dall’altra parte – integrato con il precedente e reciprocamente congrui – abbiamo il determinismo neo-liberale, bene espresso da Walter Lippmann nel 1938 e poi incessantemente sviluppato fino ai giorni nostri pianificando la società (producendola) in senso capitalistico: il liberalismo, cioè «è l’unica filosofia che possa condurre all’adeguamento della società umana alla mutazione industriale e commerciale fondata sulla divisione del lavoro», che a sua volta è un dato storico che non può essere modificato. Quindi: «il liberalismo è la filosofia della rivoluzione industriale» e suo compito è modificare l’uomo, adattandolo alle esigenze della produzione e del capitalismo, divenendo «un nuovo sistema di vita per l’intera umanità», accompagnando «la rivoluzione industriale in tutte le fasi del suo sviluppo; e poiché questo sviluppo è infinito, il nuovo ordine non sarà mai in nessun modo perfettamente realizzato e concluso».

Conseguentemente, per i neoliberali i problemi delle società moderne sorgono «quando l’ordinamento sociale si sfasa e si disarmonizza rispetto alle esigenze della divisione del lavoro», l’ambiente sociale e il sistema capitalistico devono invece tendere a formare un tutto armonico[13]. Da qui l’azione – per Foucault – prima disciplinare e poi biopolitica del neo-liberalismo e del capitalismo affinché la vita fosse sempre più funzionale (e non sfasata) rispetto alle esigenze del sistema[14]. L’individuo liberale, nato come soggetto libero e autonomo, diviene in realtà oggetto di una continua costruzione eteronoma di sé da parte di quel neo-liberalismo (e di quella tecnica) che vorrebbe in apparenza liberarlo.

La nuova minorità e l’alienazione

Biopolitica della tecnica e del capitalismo. Ma anche, e appunto, società amministrata secondo la Scuola di Francoforte. Diceva Theodor W. Adorno, nel 1950: «Si ha la netta sensazione che per la stragrande maggioranza gli uomini siano stati derubricati da tempo a mere funzioni all’interno del mostruoso macchinario sociale di cui tutti siamo prigionieri. (…) un sistema di amministrazione, un certo tipo di gestione dall’alto», che oggi si replica nella amministrazione delle vite di tutti via app/motori di ricerca/algoritmi/piattaforme che sono una nuova forma di gestione della vita dall’alto (verticalità) anche se mascherata dalla apparente orizzontalità (la condivisione) che promette la rete. E ancora: «la pressione, la coazione ad adeguarsi è cresciuta sempre di più (…) e gli uomini tendono a riprodurre in se stessi, di propria iniziativa, tutti quei processi amministrativi che vengono loro imposti dall’esterno.

Ogni individuo si trasforma per così dire nel funzionario della sua stessa amministrazione»[15], come quando abbiamo accettato di dover essere sempre connessi in rete. E «la risultante del gioco incontrollato delle forze all’interno della società neoliberista viene ad essere fissata e si agisce (…) per fare sì che queste condizioni fissate possano affermarsi e gli uomini si adattino loro con la minore resistenza possibile. (…) E la libertà si è trasformata in un mero pretesto per poter meglio amministrare gli uomini»; e tuttavia, all’interno di questa amministrazione (Horkheimer) si deve sviluppare tra gli individui una concorrenza forse più accanita che in passato[16] – e siamo di nuovo all’oggi, alla società iper-competitiva dentro la propria amministrazione (o biopolitica disciplinante[17]) fatta di disruption, di società della prestazione, di corse infinite tra chi è gazzella e chi è leone.

«D’altra parte, il mondo amministrato non fa che annunciare gioia, libertà e progresso» (ancora Horkheimer) – oggi ridefinito appunto come smart – ma questa è solo la maschera per meglio integrare e connettere ogni parte con il tutto, mascherando la sua auto-alienazione. Perché è di ogni organizzazione (e anche la rete, gli algoritmi, i motori di ricerca, le app, l’IoT e l’internet degli uomini sono appunto organizzazione e amministrazione della vita) il principio di funzionare lungo i binari del proprio funzionamento. E «sempre nuovi settori vengono inglobati nel meccanismo e resi controllabili. L’organizzazione persegue in ciò l’unificazione tecnica, dunque anche la propria potenza» (Adorno) ed è «un potere onniavvolgente che struttura completamente la società». Come oggi la rete.

Il processo tecnico «si è quindi esteso all’intera esistenza dell’individuo, esso modella i soggetti che lo servono e talvolta si è tentati di dire che li produce pure» (ancora Adorno). Ieri li produceva principalmente come produttori, poi come consumatori e infine, oggi, come innovatori moltitudinari[18]. E «gli uomini non vengono soltanto modellati sempre più oggettivamente come pezzi di ricambio dell’ingranaggio, ma essi diventano, anche per se stessi (…), strumenti, mezzi, anziché fini» (Adorno) – e questo vale oggi per il lavoro on demand e il capitalismo delle piattaforme in cui ciascuno è non-persona, ma numero/parte intercambiabile. Il tutto dentro a una mobilitazione totale della società (Marcuse[19]), che produce a sua volta un sistema «che determina a priori il prodotto dell’apparato non meno che le operazioni necessarie per alimentarlo ed espanderlo.

In questa società l’apparato tende a diventare totalitario nella misura in cui determina non soltanto le occupazioni, le abilità e gli atteggiamenti socialmente richiesti, ma anche i bisogni e le aspirazioni individuali. (…) La tecnologia serve per istituire nuove forme di controllo sociale e di coesione sociale, più efficaci e più piacevoli». Controllo oggi attraverso il big data; coesione e docilità mediante i social e le community.

Un processo oggi n volte più pervasivo di ieri. Perché se la società amministrata è quella società dove tutto potrà essere regolato automaticamente, che si tratti dell’amministrazione dello stato, del traffico o del consumo (Horkheimer[20]) allora a quella amministrazione criticata dai francofortesi ci siamo ancor più comodamente adattati. Per pigrizia e per viltà (Kant), ma oggi soprattutto per familiarità (il girello è comodo e ci dà l’illusione di camminare da soli – molto meglio che nuotare in un acquario). Dopo l’automazione del lavoro grazie alle macchine, stiamo arrivando all’automazione del pensiero[21]. Il massimo di minorità – cioè il massimo di alienazione. Ma ben mascherata dal sistema stesso che la produce[22].

Dopo la democrazia politica e quella economica, serve oggi una democratizzazione della tecnica.

BIBLIOGRAFIA

  1. L. Demichelis (2018), La grande alienazione. Narciso, Pigmalione, Prometeo e il tecno-capitalismo, Jaca Book, Milano.
  2. I. Kant (2006), Che cos’è l’illuminismo (trad. di N. Merker), Editori Riuniti, Roma.
  3. L. Demichelis (2018), La grande alienazione, cit.
  4. M. Weber (1977), L’etica protestante e lo spirito del capitalismo (trad. di P. Burresi), Sansoni, Firenze.
  5. N. Carr (2015), La gabbia di vetro (trad. di S. Garassini e G. Romano), Cortina, Milano.
  6. Ippolita (2013), L’acquario di Facebook, Ledizioni, Milano.
  7. G. Anders (2003), L’uomo è antiquato, 2 voll. (trad. di L. Dallapiccola e M. A. Mori), Bollati Boringhieri, Torino.
  8. J. Ellul (2009), Il sistema tecnico (trad. di G. Carbonelli), Jaca Book, Milano.
  9. A. Gorz (1992), Metamorfosi del lavoro (trad. di S. Musso), Bollati Boringhieri, Torino.
  10. M. Foucault (2008), Sorvegliare e punire (trad. di A. Tarchetti), Einaudi, Torino.
  11. M. Horkheimer (2000), Eclisse della ragione (trad. di E. Vaccari Spagnol), Einaudi, Torino.
  12. G. Anders (2003), L’uomo è antiquato, vol. I, cit.
  13. Cfr., P. Dardot – Ch. Laval (2013), La nuova ragione del mondo (trad. di R. Antoniucci e M. Lapenna), DeriveApprodi, Roma.
  14. Cfr. M. Foucault (2008), Sorvegliare e punire (trad. di A. Tarchetti), Einaudi, Torino; Id, (2005), Nascita della biopolitica (trad. di M. Bertani e V. Zini), Feltrinelli, Milano.
  15. In T. W. Adorno (2010), (a cura di I. Testa), La crisi dell’individuo, Diabasis, Reggio Emilia.
  16. Ivi
  17. L. Demichelis (2018), La grande alienazione, cit.
  18. Ivi
  19. H. Marcuse (1991), L’uomo a una dimensione (trad. di L. e T. G. Gallino), Einaudi, Torino.
  20. M. Horkheimer (2000), Eclisse della ragione, cit.
  21. F. Foer (2018), I nuovi poteri forti. Come Google, Apple, Facebook e Amazon pensano per noi (trad. di M. Camporesi), Longanesi, Milano.
  22. L. Demichelis (2018), La grande alienazione, cit.

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