I fondi sidecar degli acceleratori, le syndication di Angel e i fondi Seed dovrebbero essere esentati dalla vigilanza della Banca d’Italia: è questa la semplificazione vera di cui ha bisogno oggi, in Italia, il venture capital.
Una considerazione, questa, che matura nel momento in cui sta circolando una bozza di disegno di legge che contiene moltissime semplificazioni collezionate da una moltitudine di settori, ma per quanto attiene a venture capital e start-up innovative, potrebbe fare molto di più.
Venture capital e startup, si può semplificare di più
Al momento, in realtà, per le startup e per gli incubatori non fa altro che spostare il destinatario delle comunicazioni periodiche, dalla Camera di Commercio alla piattaforma gestita dal Ministero, auspicabilmente mitigando la farraginosità del processo. Per il venture capital non semplifica niente, nel senso che la sola misura adesso prevista si concentra su aspetti riorganizzativi interni allo Stato, con passaggi di quote di veicoli e partecipazioni da una mano ad un’altra sempre nell’ambito della PA. Mentre è notorio quanto il settore sia soffocato dalle stringentissime policy di compliance e vigilanza di Banca d’Italia.
Ora, per quanto sia lodevole vedere lo Stato che lavora per diminuire il proprio perimetro, tutte queste sono delle riorganizzazioni ed efficientamenti di retroguardia, azioni richieste da alcune nicchie economiche e scollegate tra loro, mentre sarebbe bene provare ad immaginare le semplificazioni come strategie di politica industriale.
Per esempio, se tentare di fare impresa fosse un’operazione davvero fluida ed economicamente risibile o nulla nel ciclo apro-testo-chiudo/scalo, non aumenterebbero esponenzialmente le imprese? Se le startup, gli hub, gli ecosistemi urbani con le loro policy fossero davvero quel “parco giochi per imprenditori” in cui si possa tentare ciclicamente delle ripetute fasi di “tentativi di impresa” che godano di regole e deroghe speciali, che valgano finché non si passi a fare sul serio?
Per le partite Iva e le piccole imprese si sta definendo un regime speciale fino a 65 mila euro di ricavi: dunque in caso di startup innovative tale soglia potrebbe portare anche a maggiori semplificazioni rispetto ad aziende tradizionali, perché c’è già il fattore innovazione a portare rischio, che potrebbe essere compensato togliendo l’obbligo delle dichiarazioni finché non lo si superi o si venga patrimonializzati oltre una certa soglia.
Svecchiare le Spa
Ancora meglio sarebbe l’unire a ciò un modello di persona giuridica ad onerosità variabile: se scegliessimo di svecchiare la figura della Società per Azioni, che è molto più comprensibile e friendly della Srl per gli investitori stranieri, potremmo definire la SpA sia tenendo l’attuale se il capitale supera i 50 mila euro, ma potremmo anche definire delle soglie a 1 e a 10 mila euro per avere dei livelli di onere burocratico (e delle capacità di azione) molto diversi. Con il capitale a 1 euro potrebbe essere vietato avere un Iban bancario, limitandone il perimetro al fissare divisioni tra i soci, depositare un marchio o un brevetto, registrare un sito, avere una cassa comune. Con il passaggio a SpA a 10 mila euro si potrebbe passare all’operatività omologa alla Srl di oggi, con in più il vantaggio di poter dare “vere” stock option ai collaboratori, e di essere in condizioni infinitamente migliori per essere ‘investibili’ da soggetti non italiani.
La vera semplificazione per il venture capital
Passando al venture capital, la semplificazione vera di cui c’è bisogno oggi nel paese è semplice: esentare dalla vigilanza di Banca d’Italia tutte quelle situazioni che siano al di sotto di una certa soglia di ‘gestione’ come i fondi sidecar degli acceleratori, le syndication di Angel, i fondi Seed. Oggi c’è l’assoluta necessità che operatori che investano capitali di terzi, veicolandoli in startup innovative nella loro primissima fase di vita, ove non raccolgano più di 20-25 milioni di euro possano operare al di fuori della Direttiva AIFM, che non debbano quindi costituirsi come SGR o Sicav/Sicaf, che non debbano sottostare alla compliance di Banca d’Italia perché è semplicemente impossibile farlo con quelle dimensioni senza andare in remissione economica. E questo produce un “buco” nella fase iniziale di offerta di capitale di rischio alle startup, solo parzialmente sanato dal Crowdfunding.
Le semplificazioni per gli incubatori certificati
Infine, bisognerebbe pensare in grande anche per quanto riguarda gli Incubatori Certificati: atteso che la definizione è un po’ stretta e che bisognerebbe parlare di “Operatori Intermedi” eventualmente certificati, visto che ci sono Incubatori for Profit, no Profit, Acceleratori, Foundry (o Startup Studio) e Coworking (ma meglio chiamarli Smart Working Centers) che sono tutti oggetti nettamente diversi tra loro ma tutti necessari, e visto quanto questi luoghi siano comprovatamente dei motori di trasformazione urbana e sociale, sarebbe bene che godessero di fortissime semplificazioni e deroghe sulla normativa urbanistica, per esempio assimilandoli alle regole di cui godono le sedi delle associazioni di promozione sociale. Questo consentirebbe a queste “Factory” di recuperare spazi industriali, opifici, scuole, depositi, trasformandoli molto velocemente in luoghi vivi e ricchi di valore. Come avviene in tutto il mondo, peraltro.
Come dicevo all’inizio, in un paese straordinariamente difficile e nemico dell’iniziativa come il nostro, le semplificazioni possono essere un incentivo straordinario, forse più dei contributi in denaro, in certi casi. Sarebbe bello se chi al Governo provasse a fare un po’ di ingegneria socio-economica muovendo queste leve.