Cosa impedisce di portare a sistema la tecnologia nel nostro Servizio Sanitario Nazionale? Come si può attivare un percorso virtuoso per utilizzare al meglio le opportunità oggi offerte dalla tecnologia? La risposta a queste domande, ovviamente, non è semplice. Per comprendere il perché occorre innanzitutto evidenziare che in un organismo complesso, come il sistema sanitario e sociale, la tecnologia non può provocare i cambiamenti strutturali, ma può solo assecondarli.
In sostanza, di per sé la tecnologia non può stimolare il cambiamento dei modelli di cura, non induce la massa dei professionisti sanitari e/o sociali a collaborare tra loro, non provoca l’aderenza dei pazienti al piano di cura individuale che viene loro prescritto.
Prima di tutto, quindi, occorre capire quali modelli di assistenza siano in grado di realizzare rapidamente una maggiore coesione nei singoli contesti locali, per migliorare la qualità della vita e ottimizzare i costi.
Ciò non toglie che già esistono nel nostro Paese “focolai di innovazione” che si stanno sviluppando sui modelli di cura integrati e che, insieme alla disponibilità di tecnologie ormai mature a loro supporto, fanno sperare che si possa riuscire ad attivare un processo virtuoso di co-progettazione di livello nazionale, con una tempistica ridotta rispetto all’esperienza delle organizzazioni pioneristiche.
Il substrato così realizzato permetterà poi di innestare con efficacia anche le affascinanti novità tecnologiche del prossimo futuro, come quelle prospettate da un recente servizio di Report sulla Sanità 4.0, nel quale – tra le altre cose – vengono portate a esempio organizzazioni in cui professionisti e cittadini utilizzano già e con soddisfazione le soluzioni tecnologiche ormai disponibili, ben inserite nella routine delle proprie attività, con un uso minore di risorse.
Un problema profondo
La differenza tra il mondo ideale presentato nell’ottimo servizio di Report (e implementato nella sua completezza solo in alcune realtà mondiali di eccellenza) e la situazione a scacchiera nel nostro Paese non è certo dovuta a cattiva volontà o inesperienza: il problema è ben più profondo.
Una cosa è la digitalizzazione di alcuni processi più operativi (certificati, prescrizioni, prenotazioni, etc) oppure la diffusione di prodotti di consumo innovativi (come gli smartphone e le App), un’altra è la pianificazione dell’evoluzione del sistema verso una gestione più efficace della salute dei cittadini.
In un recente articolo su questo sito abbiamo affrontato il problema della sostenibilità del sistema sanitario e sociale e della conseguente necessità di drastici cambiamenti strutturali nel sistema stesso (“disruptive health innovation”) secondo i principi della “value-based care”, cambiamenti che possono essere abilitati o enfatizzati dall’uso appropriato delle tecnologie.
Il nostro sistema sanitario è veramente un “sistema”?
Per comprendere se il nostro sistema sanitario sia veramente un “sistema”, può essere utile partire proprio dalla definizione di “sistema”. Secondo il dizionario Hoepli, un sistema è «un complesso di elementi che, mantenendo le proprie caratteristiche, formano un tutto organico, integrandosi a vicenda».
Proviamo a ragionare su tre prospettive:
- la prospettiva culturale: quanto i nostri professionisti sono propensi a «formare un tutto organico» attraverso i diversi setting assistenziali, a collaborare in modo veramente integrato sul percorso di salute di un paziente? E il paziente, quanto è stimolato a collaborare con i professionisti sulla gestione della propria salute, ed è messo in grado di farlo?
- la prospettiva organizzativa: quali accorgimenti possono aiutare i professionisti a collaborare tra loro, «integrandosi a vicenda», e come è possibile coinvolgere maggiormente il cittadino/paziente?
- la prospettiva tecnologica: quali sono le principali soluzioni tecnologiche che possono permettere ad «un complesso di elementi» di “fare sistema”?
La prospettiva culturale: fare squadra insieme al cittadino/paziente
La sanità di oggi è complessa, e spesso richiede l’intervento integrato di molte competenze diverse. Il cittadino si trova di fronte ad un insieme di professionisti, coinvolti di volta in volta a seconda dei suoi problemi di salute e frammentati tra l’ospedale, il territorio e i servizi sociali: i professionisti che nei vari setting assistenziali si prendono cura di un paziente dovrebbero “fare squadra”, per presentarsi in modo coerente davanti al cittadino.
La formazione dei professionisti finora non è stata orientata al lavoro di squadra, ed occorre cambiare una mentalità diffusa sulla condivisione dei pazienti.
Questo non-sistema influisce ad esempio sulla gestione dei dati del paziente: a parte la cartella clinica di una equipe ospedaliera, di solito i dati prodotti dal singolo professionista sono considerati come informazioni a sua disposizione; eventualmente diventano scarne annotazioni, quanto basta per un uso personale e non per farne uno strumento di lavoro condiviso. I dati così concepiti non sono adatti ad essere filtrati, organizzati e riutilizzati da tutti all’interno del “sistema” (secondo opportuni profili), come invece abbiamo visto nei filmati di Report.
Occorre una co-progettazione multidisciplinare dei modelli di cura condivisi, per approfondire sia gli aspetti comuni ai vari processi di cura e assistenza (che includono normativa, etica, formazione e qualità), sia le tre dimensioni fondamentali di ogni singolo processo:
- la dimensione clinica, associata ad uno specifico bisogno assistenziale per uno stadio di una specifica patologia o ad una situazione sanitaria; questa dimensione è consona agli specialisti di dominio (cioè alle diverse discipline mediche, sanitarie e sociali);
- la dimensione organizzativa, correlata ad uno specifico assetto attraverso cui erogare prestazioni assistenziali che rispondano in modo sostenibile al bisogno manifestato dal paziente; questa dimensione riguarda principalmente il management;
- la dimensione tecnologica, con infrastrutture di supporto, applicativi, apparecchiature diagnostiche e sensori, che facilitino la collaborazione tra gli attori e l’esecuzione di attività a distanza (es. telemedicina); e questo è il dominio su cui si focalizzano i tecnologi.
Si tratta di saperi diversi, con punti di vista diversi che devono essere armonizzati e confluire in una visione moderna, sistemica ed olistica su tutte e tre le dimensioni, con obiettivi di lungo periodo, per mettere esplicitamente in relazione i bisogni di integrazione con la diffusione di modelli di cura innovativi.
La diffusione dei Percorsi Diagnostici, Terapeutici e Assistenziali – PDTA, mirati alla collaborazione, è solo uno dei punti qualificanti di questo processo di cambiamento, da cui partire per individuare tutte le conseguenze sulle problematiche organizzative e informative, superando le specificità delle diverse patologie.
La prospettiva organizzativa: come ridurre la frammentazione tra i silos
Tutti gli attori devono riuscire a “fare squadra” intorno al cittadino/paziente e i suoi caregiver informali, in modo da ridurre l’attuale frammentazione del sistema.
Si stanno utilizzando diversi approcci per favorire la collaborazione; ad esempio:
- nelle Case della Salute, la co-presenza di diverse competenze professionali può favorire una presa in carico comune; il modello si potrebbe estendere in modo capillare per farlo diventare ancora di più un servizio di prossimità, attivando delle strutture “satellite” o delle “antenne” sul territorio, collegate per via telematica;
- un insieme di specialisti ospedalieri che coprono le diverse patologie viene associato esplicitamente ad una Aggregazione Funzionale Territoriale (AFT) dei medici di medicina generale, in modo che ognuno di questi si occuperà specificatamente di una patologia, per agire da tramite tra i colleghi ed il relativo specialista;
- in alcune strutture di prossimità è prevista la co-presenza del medico di medicina generale per alcune ore a settimana, in cui possa prendere appuntamenti congiunti con gli specialisti per i propri pazienti più complessi;
- l’introduzione delle figure del “care manager” infermieristico e dell’infermiere di famiglia può permettere di raccordare tra loro i professionisti all’interno del sistema e di seguire proattivamente il paziente e il caregiver nell’autocura.
Ognuna di queste modalità può essere supportata da soluzioni tecnologiche, per aiutare a gestire meglio le distanze fisiche, la continuità di cura prolungata nel tempo oppure la tempestività degli interventi.
La prospettiva tecnologica: il diario di bordo
Una classe rilevante di fabbisogni informativi necessari per fare sistema riguarda la consapevolezza reciproca, tra i professionisti coinvolti, sui contatti e sui problemi di salute del singolo paziente.
La soluzione ideale sarebbe un “diario di bordo” digitale, per tenere traccia di tutti i contatti del cittadino con il sistema sanitario e sociale, per gestire tempestivamente il ciclo di vita delle attività (attese, ordinate, programmate, eseguite, segnalate, ecc.) e per seguire l’evoluzione dei problemi di salute.
Il diario sarebbe alimentato e utilizzato dagli operatori sanitari e sociali e dai cittadini stessi con i dati di routine, in modo complementare al Fascicolo Sanitario, alle cartelle cliniche ospedaliere e agli altri usuali strumenti operativi in corso di digitalizzazione (prescrizioni, referti, etc); ognuno potrebbe accedere secondo le proprie credenziali, nel rispetto delle normative sulla privacy, con viste adatte al proprio profilo.
Questo tipo di diario rappresenta il filo conduttore necessario per collegare in modo nativo i dati di routine con i piani di assistenza individuali (PAI), in quanto può facilitare il lavoro congiunto dei diversi operatori sanitari e sociali coinvolti nell’assistenza al cittadino e può aiutare a seguirlo nelle sue attività di autocura.
Le multinazionali della rete stanno sperimentando massicciamente sul campo delle efficienti “App del cittadino”, supportate dall’intelligenza artificiale, capaci di interagire con le diverse fonti primarie di routine.
A breve verranno introdotte sul mercato; tuttavia da una parte non potranno influire direttamente sulla generazione dei dati originali e quindi sulla loro qualità (vedi sopra), dall’altra rimane arduo ricostruire a posteriori i legami con lo svolgimento dei piani individuali, e si rischia che i dati rimangano frammentati: la App del cittadino ottimale deve essere gestita dal sistema sanitario pubblico in armonia con i cambiamenti strutturali intrapresi, come ad esempio nell’approccio della Cartella Clinica del Cittadino – TreC del Trentino.
I casi internazionali di eccellenza: ecco come sono nati
Nelle organizzazioni più reattive, come quelle mostrate nel servizio di Report, i processi di cambiamento strutturale, collegati al ripensamento organico dei sistemi informativi, sono iniziati circa 15 anni fa. Gli esempi più noti includono Kaiser Permanente e l’Amministrazione dei Veterani negli USA; CLARIT, Maccabi e Assuta in Israele; la Catalogna ed in particolare la città di Badalona.
Si tratta di processi molto lenti che hanno continuato a svilupparsi negli anni successivi, adeguando reciprocamente l’innovazione culturale, organizzativa e tecnologica.
Invece i tentativi di sovrapporre massicciamente e rapidamente la tecnologia su un “non-sistema” hanno portato a fallimenti clamorosi (per esempio in Inghilterra, con uno spreco di miliardi di sterline).
La giusta gradualità nell’introduzione dei cambiamenti permette di coinvolgere policy maker, professionisti e cittadini in un percorso culturale di consapevolezza e di motivazione, per assimilare l’innovazione anche dal punto di vista organizzativo e tecnologico.
Soprattutto permette al sistema di migliorare la salute dei cittadini e nello stesso tempo di ottimizzare gradualmente nel tempo una consistente riallocazione delle risorse, che in Italia può arrivare a diversi miliardi di euro/anno, dovuta al minore utilizzo.