dematerializzazione

Big Data/eData in Sanità, questi i principali usi in Italia

Perché il 2019 sia l’anno zero degli eData e dei big data in sanità occorre cominciare a sfruttare le enormi potenzialità derivanti dall’utilizzo della massa di dati digitali già disponibile, proveniente dal FSE, dalle cartelle cliniche digitali, dalle ricette. Ecco cosa serve e perché è importante vincere questa sfida

Pubblicato il 14 Gen 2019

Mauro Moruzzi

Dipartimento Trasformazione Digitale-Presidenza del Consiglio dei Ministri, Scuola di Welfare Achille Ardigò

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Per la sanità italiana il 2019 potrebbe diventare l’anno zero dell’eData e dei big data. Ma per giungere a un livello medio-alto di dematerializzazione servono strumenti e tecnologie nuovi, la piena valorizzazione e la riorganizzazione delle competenze digitali del territorio e la costituzione di centri di competenza sui big data ad alto valore scientifico. E, ancora, servono algoritmi complessi e certificati. Estrapolando di valore dall’enorme mole di dati sanitari, sarebbe possibile, ad esempio, non solo offrire un corredo informativo del tutto nuovo alla presa in carico dei pazienti con patologie croniche – come già accade in alcuni paesi del nord Europa – ma, soprattutto, passare finalmente alla tanto attesa sanità pro-attiva, preventiva, predittiva.

Sfruttare i dati disponibili

Col passare del tempo, la massa immensa di dati sanitari e della PA dematerializzati e stivati nei data center e nel cloud non migliora, come succede col vino. Anzi, degrada e con il tempo diventa inutilizzabile. Oggi, quindi, non è sufficiente completare correttamente la dematerializzazione di tutte le informazioni che si generano nell’organizzazione sanitaria e nella PA, con architetture e reti eHealth e eWelfare di ultima generazione (interoperabili, generative, patient e citizen centered). Occorre, soprattutto, poter sfruttare, per i servizi, per la governance e per la ricerca, le enormi potenzialità derivanti dall’utilizzo della massa di dati digitali già disponibile. Questi dati dematerializzati sono un grande patrimonio che è cresciuto nella sanità con la diffusione del FSE, delle cartelle cliniche elettroniche e della dematerializzazione delle ricette e delle prescrizioni mediche. L’evoluzione dei sistemi di cura e assistenziale richiede un sostanziale arricchimento delle informazioni ricavabili da questi eData e un’integrazione con quelle estrapolabili dai Big Data sul web e riferite, in particolare, ai comportamenti dell’utente e alle sue emozioni (sentiment analysis).

Definizione e classificazione dei dati in sanità

C’è però una certa confusione nella conoscenza e classificazione del mondo dei dati e degli eData. Vorrei richiamare alcuni concetti chiave. Il dato è una delle componenti di base dell’informazione. Quel 37 di temperatura del nostro corpo in giorni freddi come questi è un dato – non l’unico – per ottenere un’informazione sul nostro stato di salute. L’informazione si trasforma poi in conoscenza scientifica (professionale, come quella medica) e ambientale o emotiva (non professionale, della persona, del cittadino-utente-paziente).

Premesso ciò, si possono classificare i dati come personali (relativi al corpo, all’individualità e al comportamento della persona) o organizzativi (relativi all’attività e all’identità di un’organizzazione, come ad esempio di una Asl). È ovvio che le due categorie di dati sono di natura completamente diversa e non possono essere confuse o mischiate (cosa che avviene spesso, quando ad esempio, un amministratore pretende di parlare di salute citando i conti economici della sua azienda).

Mentre i dati organizzativi sono prodotti dalle stesse organizzazioni e dai loro apparati, quelli individuali possono essere generati direttamente dall’utente (autoprodotti, come avviene nel web, ma anche nel Taccuino del FSE) o dai professionisti, come i medici, nell’ambito di una interazione medico-paziente; o dalla burocrazia che accerta l’identificazione dell’assistito e un suo comportamento amministrativo.

La dematerializzazione dei dati

La prima categoria di dati è sempre di natura emotiva (come i PROMS patient reporter outcome experience measures) e non potrebbe essere diversamente, perché la gente si esprime emotivamente e l’emotività è alla base di ogni informazione prodotta dal genere umano su se stesso (stare bene o stare male, essere d’accordo o meno, nonché attestarlo, è sempre un fatto emotivo). Queste informazioni ‘emotive’ si differenziano da quelle cosiddette scientifiche, che attestano l’intervento di un professionista o di un tecnologo. Solo i tecnologi, infatti, sono in grado di trasformare datin e informazioni ‘vive’ (emozionali: di gente che sta bene o male) in informazioni ‘reificate’, classificate, come, ad esempio, quelle per diagnosticare una malattia.

La dematerializzazione di tutti questi dati – un fatto epocale, che cambia il medium, come direbbe McLuhan, e permette la scomposizione e ricomposizione in bit o aggregati bit delle informazioni – apre un ulteriore problema di classificazione in base, appunto, alle caratteristiche tecnologiche del medium elettronico. I dati digitali che si conoscono sono, infatti, prodotti, a seconda delle necessità:

  • per ragioni amministrative o programmatiche (esempio: flussi delle SDO, della farmaceutica, ecc.);
  • per finalità di cura (CCE, Dossier, Work Flow di continuità assistenziale, come il PAI) o al fine di ricomporre la storia clinica del paziente (FSE);
  • per monitorare il comportamento dell’utente nei servizi (Cup);
  • infine, per ragioni relazionali soggettive (web).

Gli eData possono esser poi strutturati, cioè generati già in formato digitale standardizzato (HL7, ecc.), predefinito o comunque catalogati e indicizzati. Oppure semplicemente dematerializzati in vari formati (a volte solo in PDF) o estrapolati dal web con sistemi di web analisys. Inoltre la complessità del dato si accresce per la disponibilità non soltanto di informazioni diagnostiche, farmaceutiche, ma anche – come si diceva – autoprodotte dai pazienti o riferite al comportamento degli utenti (monitorati dai Cup di ultima generazione). La disponibilità di ‘dati emotivi’ e oggi, sempre più, di informazioni genetiche costituisce un fattore strategico di arricchimento del corredo informativo del paziente.

A cosa serve dematerializzare i dati

Oggi questa massa di dati dematerializzati è essenziale per rispondere a una domanda impellente di:

  • medicina di complessità e di precisione;
  • presa in carico dei pazienti, a partire da quelli cronici e comunque con particolari patologie e continuità assistenziale in generale;
  • medicina predittiva e di prevenzione;
  • continuità assistenziale socio-sanitaria;
  • riorganizzazione complessiva dei processi sanitari sulla base di a, b, c, d; f. governance real time della sanità locale, regionale e nazionale;
  • open innovation, per portare il mercato e l’insieme degli operatori del Welfare a concertare gli interventi in modo sinergico e a produrre innovazione.

Il passaggio ad un uso esteso degli eData e big data è quindi il tema più urgente nell’ambito della attuazione della Agenda Digitale italiana, particolarmente in sanità dove il processo di dematerializzazione ha raggiunto, con l’FSE, importati traguardi.

Il 2019 della sanità digitale

Perché l’anno appena iniziato sia davvero  l’anno 0 dell’ eData e dei Big Data servono nuovi strumenti e nuove tecnologie e occorre valorizzare e riorganizzare le competenze digitali del territorio – ad esempio del network delle società ICT in House, un patrimonio nazionale da non disperdere – nonché costituire centri di competenza sui Big Data ad alto valore scientifico, su cui stanno lavorando alcune realtà associative, aziendali e accademiche (Assinter con Lombardia Informatica, Arsenal, Cup2000, Cineca, DSI Piemonte, Politecnico di Milano e Torino, Bocconi, Dipartimento Giuridico del’’Università di Bologna).

Questi strumenti devono prevedere l’utilizzo di algoritmi sempre più complessi, in grado di estrapolare specifiche informazioni non solo dal web, ma da masse di eData a bassa strutturazione – come quelli del FSE e dei Dossier – o comunque non codificati secondo le metodiche tradizionali. Gli algoritmi stessi dovranno essere in qualche modo certificati sotto l’aspetto normativo, di rispetto della legislazione sulla tutela della privacy, ma anche per quello più propriamente etico, di attenzione generale alla persona e in particolare al sofferente. La complessità tecnologica e normativa degli algoritmi è un tema di studio e di applicazione tecnologica di grande attualità.

Il primo obiettivo, in sanità, potrebbe essere quello di offrire alla presa in carico dei pazienti con patologie croniche, un corredo esteso di eData-Big Data (il 21% della popolazione italiana ha una patologia cronica; il 9,3% degli italiani ne ha almeno due; questi assistiti assorbono una quota ingentissima delle risorse del SSN). Si tratta di un corredo informativo del tutto nuovo, composto di dati amministrativi strutturati, dati clinici dematerializzati, dati comportamentali e emotivi dei pazienti, ricavati anche dai numerosi device ormai in uso tra la popolazione. Si potrebbe estendere questo nuovo corredo informativo alle cinque principali patologie croniche già individuato dal Piano Nazionale della Cronicità, ma anche ai principali PDTA (piani diagnostici terapeutici assistenziali) attivati nelle regioni italiane.

La ‘base dati’ italiana presenta, sotto questo aspetto, una ricchezza particolare e forse unica nel contesto europeo, ma soltanto alcuni paesi del Nord Europa, come la Svezia, hanno attivato programmi di sensibile incremento del corredo di informazioni dematerializzate per i pazienti presi in carica. Vincere questa sfida significa porre le premesse per il passaggio effettivo e non solo declamato dalla sanità curativa-difensiva a quella pro-attiva, preventiva, predittiva: il passaggio epocale che tutti ormai attendono.

eData _Big DataFlussi amministraviFSECCE e Dossier SanitarioCup webWeb analyticsGenomaTaccuino

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