Il Premio Scuola Digitale per le scuole secondarie di II grado, indetto dal Miur sul finire dell’anno scolastico 2017-2018 è stata l’occasione per testare il livello di interazione tra le scuole e le realtà territoriali di cui fanno parte e anche per riflettere su come il digitale abbia in un certo senso sdoganato il rapporto – non sempre accettato di buon grado – tra didattica e imprenditorialità.
Dalla mia posizione privilegiata di presidente di giuria in sei province del Veneto e nella competizione regionale seguente ho potuto anche constatare come i progetti del Premio Scuola Digitale abbiano evidenziato proprio la capacità di sviluppare vere competenze che possono essere sottoposte a certificazione, ma che al contempo risultano aperte all’integrazione con forme di creatività e con elementi di conoscenza ed abilità nuovi rispetto agli indirizzi professionali e ai percorsi di formazione tradizionali delle scuole secondarie di II grado.
Riporto qui le riflessioni che i progetti delle scuole mi hanno suggerito, senza nessuna pretesa di esaurire l’analisi dei risultati che la complessiva competizione nazionale potrà fornire, ma individuando solo alcune linee di sviluppo della digitalizzazione delle scuole e della didattica che il Piano Nazionale Scuola Digitale ha promosso e fatto emergere.
Un premio e una rete di competenze per l’innovazione
Il Premio Scuola Digitale è una competizione su progetti di innovazione digitale caratterizzati da un alto contenuto di tecnologie, ma anche da un’impostazione imprenditoriale. Essa si svolge attraverso una prima fase provinciale i cui vincitori passano ad una regionale dove chi vince parteciperà alla finale nazionale. Attualmente si sono concluse le competizioni regionali: le scuole partecipanti sono state oltre 1500 e le gare provinciali e regionali sono state un centinaio.
Alcune gare provinciali hanno avuto luogo all’interno di eventi dell’iniziativa Futura Italia che ha proposto un tour dell’Italia alla ricerca dell’innovazione, volto ad “incoraggiare gli studenti, i docenti e gli innovatori della scuola italiana ad essere cittadini consapevoli, partecipativi e protagonisti attivi della rivoluzione economica, culturale e tecnologica in atto”.
Futura Italia chiama dunque la scuola a costruire il futuro, facendo sintesi tra territorio, processi di innovazione ed internazionalizzazione della società.
L’iniziativa è stata contenitore, oltre che del Premio Scuola Digitale, anche di molti altri eventi espressione del fervore innovativo dei territori coinvolti: un insieme di fiere del digitale che ha messo in connessione gli innovatori di diversi settori della produzione, della cultura e della società.
La stessa logica connettiva ha ispirato la composizione delle giurie: si sono ritrovati insieme a valutare rappresentati dell’Università, di FabLab ed imprese 4.0, di centri studi ed enti culturali, di amministratori pubblici e docenti. Una rete di competenze e professionalità per individuare l’innovazione e promuoverla nella cooperazione per la costruzione del futuro.
I criteri di valutazione
I criteri di valutazione del Premio sono stati fissati dal MIUR in coerenza con le finalità espresse:
- valore e qualità del contenuto digitale/tecnologico presentato, in termini di vision, strategia, utilizzo di tecnologie digitali innovative;
- significatività dell’impatto prodotto sulle competenze degli studenti e integrazione nel curricolo della scuola;
- potenzialità di sviluppo e ambizione del progetto, attrattività nel settore di riferimento, fattibilità/realizzabilità/replicabilità;
- capacità di coinvolgimento della comunità scolastica e locale;
- qualità e completezza della presentazione e dei materiali a supporto.
Le esperienze premiate sono state dunque quelle delle scuole che hanno espresso maggiore capacità sistemica di promuovere un cambiamento nell’azione didattica, una trasformazione dei curricoli in linea con le richieste della società, la capacità di interagire con le realtà economiche e culturali del territorio e di coinvolgere le comunità scolastiche e i cittadini.
Un specifica valutazione è stata formulata anche per le modalità stesse di presentazione dei progetti secondo la formula prescelta del pitch che integra materiali multimediali brevi in una comunicazione orale di forte sintesi che mira secondo i criteri della comunicazione del mondo digitale a presentare rapidissimamente gli elementi di qualità e di preferibilità di un prodotto e/o di un servizio.
La scuola parte integrante del territorio
Il modello di scuola che la valutazione dei progetti da parte delle giurie ha fatto emergere è quello di una scuola aperta che interagisce con la realtà territoriale per essere parte delle scelte e del cambiamento che le comunità attuano. Gli studenti conseguono l’apprendimento nello sviluppo di compiti di realtà in cui vengono costruite competenze a partire da conoscenze, abilità e da analisi dei bisogni espressi dalla comunità locale. Il riesame dei prodotti e dei servizi predisposti, la riflessione sui processi attivati, sul cambiamento ottenuto, sulle modalità di pensare ed agire acquisite in una dimensione di forte socialità tra studenti, docenti e cittadini supera la semplice simulazione ed educa a vivere la complessità.
In alcuni casi la scuola stessa è stata individuata come destinataria di servizi (ad esempio, un blog di supporto all’orientamento degli studenti, Liceo Ugo Morin di Venezia-Mestre).
Ma più spesso, progetti di Alternanza Scuola Lavoro, rapporti con imprese del settore di riferimento professionale, con Enti Locali e soggetti sociali hanno portato gli studenti in situazioni extra-scolastiche specifiche (ad esempio, il progetto di servizi domotici dedicati alle case di riposo del Liceo Fermi di Padova) ed anche ad affrontare interventi sistemici complessi di livello territoriale molto ampio (ad esempio, le boe intelligenti progettate dell’ISS di Vittorio Veneto (TV) per essere distribuite lungo i fiumi per il monitoraggio della qualità ambientale).
La presenza della scuola nel territorio è stata una costante dunque, sia per le scuole ad indirizzo tecnico e scientifico che hanno sviluppato servizi e dispositivi basati sull’Internet of Things, sia per l’indirizzo umanistico e turistico che ha espresso la tradizionale attenzione ai beni culturali, attraverso la produzione di guide ed audioguide fruibili attraverso dispositivi mobile (come i percorsi veneziani e sulla tradizione nautica dell’IIS “Francesco Algarotti” di Venezia) ed applicazioni di Realtà Aumentata (come nel progetto Creative “Game” of Art dell’IIS “Benedetti Tommaseo” di Venezia).
La didattica per progetti, risultati e criticità
Quella che emerge dai progetti presentati nel Veneto è una scuola che agisce una didattica per progetti: una metodologia che possiamo far risalire addirittura al 1918 ( W.H. Kilpatrick) e che apparentemente non ha avuto molto successo, ma che che è più volte riemersa nel tempo; si pensi in particolare alla Key School ispirata alle teorie delle intelligenze multiple di Howard Gardner, per non dimenticare poi che dal 1994 è stata introdotta negli Istituti Tecnici un’Area di Progetto che mette insieme più discipline e coinvolge anche soggetti esterni alla scuola in percorsi pluriennali.
Non si può non constatare poi che questo tipo di didattica consegue notevoli risultati. Lo dimostrano le esperienze del Premio Scuola Digitale, ma anche tante altre che mostrano una diffusa adesione delle scuole a tale impostazione metodologica, che peraltro ha suscitato anche diverse critiche che hanno messo in discussione anche il concetto di competenza.
I risultati dei progetti delle scuole, a mio avviso sconfessano le critiche sollevate, che pure mettono in allerta rispetto a rischi reali ed hanno dei fondamenti corretti, ma solo nei casi in cui le progettualità siano improntate alla ricerca dei processi di apprendimento e di costruzione della conoscenza in forma slegata dalla realtà del mondo del lavoro e delle problematiche sociali.
La progettualità deve essere legata ai cosiddetti compiti di realtà per non risultare un mero esercizio formale e con il digitale si è sempre fortemente legati alla realtà e alle problematiche di vita.
La competenza risulta così non l’invenzione astratta di un pedagogismo fine a se stesso, ma il vero motore e fine dell’apprendimento “dell’uomo e del cittadino”. La competenza, interpretata correttamente, ha attenzione a tutta la persona nella sua complessità; ha una componente agentiva, che comprende un fare motivato, una componente cognitiva che intreccia conoscenze, abilità disciplinari e soft skills, una dimensione relazionale che attiva la cooperazione, il lavoro di squadra ed anche la gestione dei conflitti e la dimensione metariflessiva che consente di elevare l’esperienza ad oggetto di studio per il miglioramento continuo, per la sua ricontestualizzazione in ambienti diversi e su scala più ampia e per la generazione di nuove idee (da Fiorino Tessaro, Il valore delle competenze per l’apprendimento universitario. Indicatori, processi, situazioni).
Competenze, creatività e nuovi curricoli
Un compito di realtà quindi motiva l’acquisizione di conoscenze e la competenza necessaria a svolgere un compito di realtà dà un senso all’acquisizione di contenuti organizzandoli in forma utile, ma come sanno bene coloro che si occupano da tempo di tecnologie e di digitale, non ci si può limitare a raccogliere informazioni e ad acquisire conoscenze e abilità strettamente convergenti rispetto allo specifico scopo; le soluzioni innovative richiedono creatività, capacità di ristrutturare il campo della conoscenza, di integrare in esso nuovo elementi, di cambiare punto di vista e modalità di pensiero. La componente relazionale della competenza fa mettere insieme le conoscenze e le abilità di più persone e quella metariflessiva mette in relazione gli elementi dell’esperienza con altri esterni ad essa per attivare il riesame e proseguire il processo di innovazione.
E’ proprio il lavorare per progetti, nella costruzione di competenze in compiti di realtà che porta alla realizzazione di bagagli culturali individuali e collettivi ampi ai quali gli studenti, progressivamente nella loro crescita e nel divenire adulti, potranno attingere secondo modalità convergenti rispetto ai compiti richiesti, ma anche attivando il pensiero divergente con creatività e persino capacità serendipica per realizzare soluzioni innovative.
Tale approccio si spinge fino a far ipotizzare profonde riformulazioni e forme di flessibilità dei curricoli e dei profili professionali. Particolarmente interessante in tal senso è l’esperienza dell’ITIS “G. Marconi” di Verona, accuratamente documentata anche attraverso un pregevole ebook che ha spinto l’apprendimento della programmazione informatica ad entrare nei territori dell’espressione e della produzione artistica, portando al successo formativo anche studenti in difficoltà. Un momento fortissimo di innovazione scolastica che, invertendo il consueto flusso di attenzione, può essere di riferimento per il mondo del lavoro.
La scuola tra problemi sociali ed imprenditorialità
L’attenzione della scuola al territorio è cosa di vecchia data. Comincia ad esprimersi negli anni ’70 su spinte di natura politica e urbanistica. Più recentemente l’attenzione si è spostata su elementi di definizione dell’identità culturale e sul tessuto produttivo a fini di orientamento e di gestione dei progetti di Alternanza Scuola Lavoro.
Complessivamente possiamo dire che “storicamente” il territorio è stato visto dalla scuola come un oggetto di studio.
Nei progetti del Premio Scuola Digitale la scuola comincia con più consapevolezza a sentirsi parte del territorio e vuole che gli studenti si sentano partecipi delle scelte delle comunità locali e propongano soluzioni per i problemi e le necessità che esse manifestano.
Da un lato il territorio viene visto come bene comune da promuovere nei progetti relativi alla gestione dei beni culturali, dall’altro proprio le esperienze di Alternanza Scuola Lavoro hanno evidenziato l’emergere di momenti di agire condiviso per procedere sulla via dell’innovazione, verso nuovi prodotti, nuovi sistemi di organizzazione, produzione e distribuzione e verso nuove professioni.
In questo il digitale sembra aver sdoganato un concetto che nella scuola ha come minimo sempre suscitato sospetto, se non addirittura una sottintesa riprovazione: l’imprenditorialità.
Siamo di fronte alla prima generazione di studenti che non sono stati tenuti distanti da essa, ma che sono stati invece esplicitamente sollecitati a formarsi in merito delle competenze (ISFOL, 2013). L’input è stato decisamente recepito: una parte significativa di progetti sono stati dedicati a produrre oggetti e dispositivi che rientrano nell’Internet of Things e nella domotica ed altri hanno esplorato le modalità di avvio di una startup.
Un’imprenditorialità diffusa
In ogni caso, anche i progetti destinati alla attivazione di servizi per la scuola, quelli rivolti alla soluzione di problemi di rilevanza sociale (ad esempio, il controllo dei consumi elettrici delle abitazioni finalizzato al risparmio e a politiche di sostenibilità come nel caso dell’ITIS “Alessandro Rossi” di Vicenza che ai dispositivi Internet of Things ha abbinato il ricorso all’Open Source) e quelli centrati sulla valorizzazione dei beni culturali, hanno messo in gioco approcci imprenditoriali nella definizione dell’organizzazione delle risorse umane e delle procedure attuative, nell’analisi dei bisogni, nello studio di fattibilità, nel calcolo dei costi e nell’analisi delle potenzialità e modalità di distribuzione e commercializzazione, nei rapporti con i partner e le aziende dei prodotti prescelti e delle piattaforme web.
Le startup sono arrivate a predisporre forme di fundraising, il business plan e l’iscrizione al Registro Imprese (si veda ad esempio il puntuale progetto Level Up del Liceo “Enrico Medi” di Verona).
Interessante notare come le stesse tendenze siano rintracciabili nelle recenti esperienze di apprendimento basato sulla gestione di progetti di Service Learning.
Le tensioni ideologiche sulle competenze imprenditoriali sembrano dunque in via di superamento e le potenzialità del digitale in tutti i settori del lavoro e della vita della collettività ne promuovono naturalmente lo sviluppo sia nei settori della produzione orientati al profitto che nella gestione dei beni comuni e dei servizi alla società destinati al benessere dei cittadini.
Presentazioni video ed educazione all’immagine
L’unica nota poco positiva si ritrova nella gestione del marketing delle proprie realizzazioni, nonostante esso costituisse un criterio di giudizio dei progetti. Mi riferisco alla parte visibile alle giurie ed espressamente richiesta nel bando e cioè la gestione del pitch del progetto: si tratta, in questo caso, di una presentazione di tre minuti che doveva inglobare anche la visione di un video di altri 3 minuti al massimo.
I video, in genere, hanno evidenziato una buona fattura tecnica, ma non hanno mostrato particolare creatività e capacità di fare presa sullo spettatore, pur illustrando spesso adeguatamente il progetto. Si è notata una forte aderenza a format e stereotipi aziendali e pubblicitari e non quella capacità di utilizzare i mezzi digitali per catturare veramente lo spettatore, anche con soluzioni originali che fu propria dell’”era degli audiovisivi” che si protrasse nella scuola dalla fine degli anni ’80 alla fine degli anni ’90 e coincise con l’acquisita fruibilità di massa della registrazione con videocamere a cassetta (nei vari formati: VHS, Betamax, Video2000, …).
In effetti, è da rilevare come i docenti che promossero allora l’uso di quelle tecnologie, fossero particolarmente esperti dal punto di vista delle tecniche, della gestione dei dispositivi, ma anche del linguaggio audiovisivo.
I docenti che si occuparono successivamente di “computer”, “internet” e digitale in buona parte furono altri e venivano da esperienze di informatica, di office automation e di fruizione di software didattico. L’educazione all’immagine perse da allora buona parte del terreno che aveva conquistato nella scuola e questo oggi si nota nelle produzioni audiovisive digitali degli studenti che probabilmente ricevono meno specifica formazione linguistica su ciò.
Nel momento in cui la possibilità di produrre specifici oggetti di comunicazione diviene accessibile a tutti, bisogna dedicare del tempo alla formazione ai relativi linguaggi: tutti disponiamo di dispositivi fotografici e di videoregistrazione (negli smartphone soprattutto), ma la loro diffusione non determina un‘automatica diffusione delle specifiche competenze linguistiche.
I limiti della scuola rispetto alla comunicazione orale
Anche la presentazione orale non è sembrata aver ancora raggiunto una qualità adeguata. Qui il problema è ancora più chiaro: la scuola italiana ha storicamente un approccio alla comunicazione ben diverso da quella anglosassone. C’è una prevalenza della comunicazione scritta su quella orale e solo da poco si è cominciato a sviluppare forme di comunicazione breve sulla scorta dei format proposti dagli ambienti digitali.
Bisognerà lavorare ancora su questo terreno anche con una specifica azione orientata al public speaking (anche in lingue straniere) ed educare alle nuove forme di comunicazione in presenza che il digitale propone, ad esempio l’Ignite, che fornisce più tempo al dibattito e al confronto rispetto alle presentazioni individuali, il citato pitch, che nella brevità vuole trovare l’essenziale delle proposte e il debate che sviluppa direttamente il confronto tra tesi opposte.
Si tratta, probabilmente, di un ritardo strutturale che la scuola potrà colmare abbastanza rapidamente se continueranno a svilupparsi, come sembra, forme di didattica cooperativa e di didattica per progetti, unitamente alla volontà di essere protagonisti nel proprio territorio, nonché di intessere relazioni internazionali.