Stephanie&Teo, il lavoro su Bitcoin e open source

Due ragazzi hanno trovato la propria strada lavorando su software open source e investendo in criptovalute. Due storie che è la storia di una coppia ed è la storia di tanti giovani, nel presente digitale dell’Italia

Pubblicato il 18 Apr 2014

Continua il viaggio nel mondo dei giovani social. Più mi addentro nelle loro relazioni e più scopro che ogni categoria per definirli sarebbe riduttiva, solo attraverso questo viaggio relazionale potrò forse, ascoltando la loro quotidianità, capire in parte chi sono.

Oggi incontriamo due ragazzi che da tempo vivono in Italia, Teo&Stephanie.

Teo non ha carta e penna sulla scrivania del suo home office
Stephanie legge libri soltanto come ebook sul suo Kindle

Teo non è un mio studente, tanto più che da lui avrei soltanto da imparare. Teo tiene a precisare la sua identità di cittadino Europeo, Stephanie proviene dalla Croazia. Teo, concordano gli amici di Stephanie, mia studentessa e sua moglie, sa tutto.

L’ho soprannominato l’uomo Google, perché quello che non sa cerca, studia, analizza e, a richiesta, anche insegna. Eppure quando ascolta lo fa con un umiltà, ma alla fine, dopo aver sentito, sorride, e arrivano le informazioni, aggiornate. Se invece non conosce, lo ammette semplicemente, ma la seconda volta, non si farà cogliere impreparato: perché se la diffusione di una tecnologia sviluppa un bisogno latente secondo precise analisi di mercato che predispongono e pianificano il lancio di quella tecnologia, la curiosità e la sete di informazioni sono caratteristiche che i giovani social hanno interiorizzato con l’avvento del web.

Mi racconta infatti Stephanie che la presenza del digitale nella loro vita è pervasiva e impatta direttamente il modo in cui pensano: «sapendo che possiamo accedere a qualsiasi informazione in qualsiasi momento, il problema non è mai memorizzare qualcosa, ma semplicemente gestire il rapporto segnale-rumore nelle nostre vite per trovare l’informazione che ci serve in quel momento, e che sappiamo essere disponibile da qualche parte».

Si sono sposati giovanissimi. Perché? «Perché ci amiamo», lo dicono in sincrono, come se fossero interconnessi, con una luce negli occhi immutata dal tempo che non ricordo di aver visto molte altre volte. Anche in questo caso, la tecnologia li completa, nel loro lavoro, nella loro comunicazione, e non solo perché hanno iniziato utilizzando ICQ per comunicare e poi Skype negli anni in cui erano lontani, ma anche per le diverse abilità che ciascuno di loro possiede.

Teo non ha potuto immergersi assiduamente nella rete fino al 2005, anno nel quale inizia a vivere a Trieste. Ciononostante, in breve tempo, Teo è diventato un esperto di informatica:

nel 2009 si laurea in Informatica nella triennale e poi, nel 2012 nella laurea magistrale in Bioinformatica.

Ora ha 27 anni e lavora come Ingegnere del Software, «Software Engineer», anche se lui ama definirsi un artigiano «Craftsman», perché anche quello che per noi è riduttivamente meccanico e ripetitivo in realtà è frutto di creatività, soluzioni innovative e originali: quello che rende competitiva la tecnologia è l’uomo, la persona, in questo caso l’utilizzo di giovani, crea la differenza nel prodotto.

Di base è un libero professionista, anche se il suo cliente principale è un’azienda tedesca con uffici a Barcellona. Questo committente «si occupa di software libero e open source, e sostanzialmente sponsorizza il mio tempo, da spendere sviluppando software open source di scelta mia o loro, previo accordo. Ho speso gran parte dell’anno scorso sviluppando Tomahawk (www.tomahawk-player.org), un music player basato interamente sul cloud e condivisione social. Adesso invece sto sviluppando alcune componenti di KDE Plasma (kde.org), l’ambiente desktop più usato sui sistemi Linux e affini.

In realtà mi occupavo di tutto questo ancora prima del mio ingaggio ufficiale: la mia tesi di laurea magistrale era su Tomahawk e spendo su Tomahawk e KDE anche il mio tempo libero. Sono un membro del core team di Tomahawk e un developer nella comunità KDE ancora dal 2008. Sono anche stato uno studente sponsorizzato da Google Summer of Code per 3 anni».

Per intenderci: Google Summer of Code è un programma mondiale per lo sviluppo di open source pagato da Google.

Teo mi spiega che utilizza Internet Relay Chat (IRC) per comunicare con i suoi colleghi e che di fatto, seppur può sembrare datato, è il canale più utilizzato nelle comunità di software libero e open source e aziende affini, perché «è molto affidabile, è un protocollo aperto, multipiattaforma, fa il suo dovere, e non dipende da software proprietario di terze parti». Per le comunicazioni asincrone si appoggia all’email «che condivide con IRC le caratteristiche di essere aperto, affidabile, sicuro e semplice». Utilizza i social network online nel suo lavoro più che altro per comunicazioni off-topic tra membri della comunità, una volta diventati amici, e per l’interazione con gli utenti e aggiunge che «la cosa più simile a un social network per open source hackers (qua si intende hacker nel significato degli anni ’70) è GitHub (https://github.com/teo), strumento molto comodo per “social coding”, per condividere facilmente il proprio codice, i propri “hacks”». Aggiunge ad esempio che tutto il codice di Tomahawk è pubblicato su GitHub (https://github.com/tomahawk-player/tomahawk). Il paradosso è che «seppure molti di noi finiscono per lavorare per i social newtork main stream, pochi di noi li usano per contenuti importanti e sensibili».

Il mondo open source invece offre già di per sé una continua condivisione, dove tutti vedono il codice immediatamente, per cui ogni commit («modifica al codice») si confronta con tutti coloro che stanno lavorando a quel progetto: «tanti occhi sul codice rendono il prodotto migliore».

Oltre a questo lavoro di ingegnere- artigiano del software, Teo insegna a corsi di formazione tecnica superiore per software developer e sistemisti: programmazione C++, Java, applicazioni web, ingegneria del software, amministrazione di sistemi Linux e UNIX.

E anche in questa attività ci mette passione: «Mi piace insegnare, ho cominciato quando avevo 21 anni e sono contento di farlo quando capita un corso».

L’elemento più significativo per comprendere l’ambiente della conoscenza nel quale sono immersi questi social giovani è che per loro l’apprendimento non è qualcosa di extra: «essere sempre aggiornati è la mia normalità, sia per quanto riguarda il mio lavoro che per assolutamente tutto il resto. Per esempio la settimana scorsa mi sono trovato a usare per un nuovo progetto di lavoro il linguaggio Python, che anche se è molto comune, non ho mai avuto bisogno di impararlo prima d’ora. Dopo qualche oretta di ambientamento procedevo già normalmente con il mio lavoro in Python. La mia figura professionale, quella dello scienziato informatico (ben diversa dal tecnico programmatore), richiede un sapere molto generale sulla natura della computazione, che poi posso applicare per capire e usare, al bisogno, qualsiasi attrezzo».

Accanto ad una persona speciale, spesso c’è un’altra persona speciale. Anche questa volta è così: Stephanie, la mia studentessa che sorrideva sempre quando parlavo di Open Source e Bitcoin, come chi la sapeva lunga.

Un giorno mi disse: «prof, io saprei già tutte queste cose, sono tecnologie che uso ogni giorno, se vuole gliele spiego». Ecco una buona occasione.

E così una mia studentessa mi da ripetizioni, utilissime, per le prossime lezioni: «il software libero (noto anche con il nome open source) è software rilasciato con una licenza che ne incoraggia la redistribuzione, lo studio e le modifiche. Specificamente, un software è libero o open source se garantisce all’utente le “quattro libertà”: 0) eseguire il programma per qualsiasi scopo, 1) studiare e modificarlo 2) ridistribuire copie 3) ridistribuire le proprie modifiche in modo che tutti possano trarre beneficio. Il fatto di essere spesso gratis è soltanto un piacevole effetto collaterale, poiché le forze di mercato fanno tendere naturalmente a 0 il costo di qualcosa che può essere copiato liberamente a costo quasi nullo. La diffusione dell’open source ha seguito di pari passo la diffusione del web, e chi usa internet inevitabilmente usa anche software open source, spesso senza rendersene conto, magari perché i server usano software open source. Molti usano software libero anche direttamente sul proprio PC: per esempio Firefox, Chrome, VLC, Tor, Linux…

Il software libero è spesso di altissima qualità, sviluppato sotto l’occhio attento di tanti membri della comunità. Alcuni sviluppatori sono volontari, ma molti vengono anche pagati per il loro lavoro, come Teo. Di solito il business model nel mondo open source non si basa sulla vendita di software ma sul mercato libero del supporto. Red Hat Inc. è un esempio di azienda di 6100 persone e 2.5 miliardi di dollari di asset il cui business model si basa quasi esclusivamente su contratti di supporto e sviluppo di software open source.

Le rivelazioni di Edward Snowden hanno dimostrato che con ogni probabilità gran parte delle piattaforme chiuse comunemente usate hanno codice backdoor richiesto dall’NSA. Nel caso del software open source è molto più difficile inserire codice malizioso che lavora segretamente contro gli interessi dell’utente senza che la comunità se ne renda conto. È la nostra più forte linea di difesa contro la sorveglianza invasiva delle agenzie big brother dei nostri governi: il software open source è l’unica categoria di software veramente affidabile, l’unica sulla quale possiamo ragionevolmente contare che tuteli la nostra privacy».

Come se non bastasse, la giovane coppia è esperta in investimenti in valuta digitale. Di fatto è sempre Stephanie a dirmi che ci sono molte altre valute oltre al Bitcoin. Dal 2013 hanno investito acquisendo e assemblando «due miner, cioè computer configurati in tal modo da essere adatti alla generazione di criptomoneta. Le transazioni delle criptovalute vengono processate in maniera distribuita da tutta la rete peer to peer. Questo lavoro è svolto dai miner. Ogni tanto, un miner viene “premiato” per il proprio lavoro e riceve un po’ di criptomoneta».

Stephanie e Teo hanno investito in Litecoin e altre criptovalute, in quanto il Bitocoin «non si può più minare con un miner “fatto in casa”. Per minare Bitcoin esistono chip appositi, molto più efficienti dei miner fatti in casa, che hanno reso il mining con hardware comune troppo inefficiente».

Nel corso degli ultimi mesi hanno minato molte criptovalute: Dogecoin, Feathercoin e Vertcoin, poi le hanno vendute per accumulare Bitcoin. Hanno così recuperato l’investimento iniziale.

Per loro è un passatempo, un modo «per smanettare ed imparare qualcosa di nuovo»

Per loro il rischio fa parte dell’investimento. Riflettiamo insieme sul problema del riciclaggio di denaro sporco: «Le criptovalute sono potenzialmente anonime, ma anche tracciabili: le transazioni sono sempre pubbliche, ma può essere facile, difficile o impossibile scoprire chi sono gli estremi».

Teo e Stephanie sono sempre insieme: lui le chiede spesso consigli, per un progettista e sviluppatore è spesso utile il punto di vista di un utente. Lei controlla invece il mercato, lo aiuta ad indirizzare la creatività per risolvere i problemi reali, sempre dal punto di vista degli utenti. Stephanie legge libri soltanto come ebook sul suo Kindle e Teo non ha carta e penna sulla scrivania del suo home office.

Special thanks to

Stephanie Lerotic, 24 anni, laureanda in Scienze della Comunicazione, Università degli Studi di Trieste

Teo Mrnjavac, 27 anni, dottore magistrale in Bioinformartica, Università degli Studi di Trieste

Link:

www.tomahawk-player.org

kde.org/

github.com

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