Slerd

Agenda 2030, gli ecosistemi di apprendimento smart

Per fornire un percorso educativo in grado di sviluppare le competenze per il lavoro e favorire la cittadinanza attiva serve una profonda riflessione sui problemi che affliggono i nostri ecosistemi di apprendimento e la loro governance. L’occasione sarà offerta dalla IV edizione del convegno SLERD il 22 maggio 2019

Pubblicato il 15 Gen 2019

Carlo Giovannella

Università di Roma, Tor Vergata

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L’obiettivo numero 4 dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile si pone come traguardo quello di “fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti”. Ciò vuol dire in grado di avviare sin dalle scuole secondarie il percorso di acquisizione delle competenze necessarie per il lavoro e lo sviluppo delle basi culturali imprescindibili per produrre comportamenti sostenibili e favorire la cittadinanza attiva.

Come sarà possibile raggiungere tale obbiettivo? Sicuramente servono nuove armi, ma prima di programmare nuove azioni, e quindi nuovi finanziamenti, sarebbe utile e coraggioso riflettere sui reali, profondi e atavici problemi – anche culturali – che affliggono i nostri ecosistemi di apprendimento e la loro “governance”: dalla primaria all’università.

Il destino degli ecosistemi di apprendimento

Quali saranno le trasformazioni e il destino a cui andranno incontro gli ecosistemi di apprendimento nel prossimo futuro: in cosa evolverà la loro smartness? Quale saranno i contributi dell’ICT? In cosa consisterà la loro “e-maturity” e, soprattutto in che modo potrà essere garantita la loro sostenibilità?

Alla luce dell’esplosione tecnologica degli ultimi decenni che ha generato profonde mutazioni, e di fronte a una percezione di crescente gap tra esiti dei processi educativi, aspettative dei contesti lavorativi, e salvaguardia di un’etica sociale e ambientale è inevitabile porsi tali interrogativi per contribuire a comporre una “future vision” e, quindi, per immaginare azioni da porre concretamente in essere.

Non è difficile rendersi conto che l’avvento dell’era organica dell’interazione, che è stata connotata, tra l’altro, dallo sviluppo di internet e degli ambienti-servizi “social”, non ha modificato soltanto il nostro modo di rapportarsi gli uni agli altri, ma ha offerto anche dei modelli alternativi di sviluppo in cui il virtuale da una parte aggiunge una quarta elica – quella delle community – ai modelli di sviluppo tradizionali e dall’altra globalizza, ridisegnandole, le funzioni delle altre tre eliche (poli di acquisto, MOOC e “democrazia” diretta).

Contemporaneamente, questo nuovo millennio con le sue parole d’ordine – velocità, parallelismo, condivisione, libero accesso, ecc. – ha svuotato di senso i luoghi dell’apprendimento formale, anche nella loro forma digitale, ma non li ha ancora ridisegnati. Al momento possiamo porci solo in uno stato di osservazione, fase essenziale del problem setting. Se da una parte non è più un problema accedere ai contenuti per chi sa come sfruttare al meglio i motori di ricerca e/o ipersocializzare virtualmente grazie all’utilizzo (spesso compulsivo) della messaggistica istantanea che fa essere onnipresenti seppure confinati nella propria bolla spaziale, dall’altra l’operare all’interno di quelle che una volta erano chiamate “piattaforme” on-line è diventato per gli studenti un peso insostenibile e l’utilizzo degli applicativi di produzione personale è visto ormai quasi come un orpello del passato, immersi come sono nel mondo dell’istantaneità a cui si accede dallo “smartphone”.

Tsunami digitale e erosione del metodo

Il quadro che sembra profilarsi è quello di uno tsunami digitale che si infrange con forza contro le trincee del “metodo” sottoposte, inevitabilmente, a lenta (nemmeno troppo) e continua erosione. Gli effetti di tale erosione, prorompenti nella secondaria di primo grado, si propagano senza grandi attenuazioni, anzi a volte potenziate, sino al dottorato e ormai si osservano anche nelle più giovani generazioni che si occupano di project management, persino a livello europeo.

Senza timore di essere smentiti si può parlare di amplificazione digitale del pensiero debole, di non-luoghi mentali, capaci di albergare nell’essenza individuale e, quindi, di andare ben oltre la dimensione degli spazi vissuti o del tempo del loro transito, con il conseguente annullamento del rateo di accrescimento della stratificazione identitaria.

In questa situazione come si può combattere l’erosione del metodo e, al contempo, raggiungere il più alto livello di smartness di un ecosistema di apprendimento, ovvero ciò che non solo garantirebbe il benessere degli attori (tutti) del processo di apprendimento ma li condurrebbe allo stato di “flow” e all’autorealizzazione?

Come raggiungere un’educazione di qualità

Come sarà possibile raggiungere nel 2030 il “sustainable development goal (SDG)” N.4, che prevede?

Ha ancora senso arroccarsi a difesa di una scuola che pensa di poter “combattere” il “digital deluge” con le baionette delle lim, del registro elettronico, di corsi di pseudo-aggiornamento che sino ad ora si sono dimostrati poco significativi e incapaci di produrre integrazione di ruoli e significative azioni su scala territoriale, l’unica dimensione in grado di combattere l’arroccamento difensivo delle 8000 e più “signorie” rappresentate dalle nostre scuole?

Quali i percorsi da disegnare per raggiungere le SDG 4 affinché, finalmente, l’alternanza scuola lavoro possa sviluppare, in armonia con i percorsi curriculari, reali competenze trasversali, professionali (ad includere anche le digitali) e di cittadinanza?

Senza un adeguata presa di coscienza – pensare che per quel che riguarda le tecnologie non si è ancora riusciti a definire una misura della maturità digitale di un ecosistema di apprendimento (che non è solo infrastrutturale) – è inutile impiegare risorse finanziarie in azioni che, fatte salve alcune eccezioni, quando va bene sono inefficaci e quando va male producono danni culturali a cui è difficilissimo porre rimedio. Si pensi alle mode tecnologiche e metodologiche che si ripropongono ad ondate continue, anche per sostenere improbabili mercati.

Una visione italiana degli ecosistemi di apprendimento del futuro

Ovviamente, quanto sopra, richiederebbe anche una riflessione sulla reale sostenibilità di ciascuna delle possibili vision, soprattutto se sono coinvolte le ICT.

Non è nostra intenzione fornire qui suggerimenti o soluzioni; vogliamo solo stimolare un dibattito costruttivo nella speranza che questo possa svilupparsi e vedere il proprio apice il 22 maggio mattina in una mezza giornata “open” dedicata al confronto, organizzata dall’ASLERD presso il CNR di Roma, in occasione della IV edizione del convegno SLERD (Smart Learning Ecosystems and regional Development – slerd2019.uniroma2.it).

Sono tutti invitati a fornire un contributo costruttivo per far emergere una visione italiana degli ecosistemi di apprendimento del futuro, visione che auspicabilmente possa accompagnarsi a ipotesi di azioni strategiche che possano essere portate a realizzazione lungo un percorso sufficientemente resiliente da resistere ai monsoni della politica.

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