“Sono Gossip Girl la vostra sola e unica fonte di notizia sulle vite scandalose dell’èlite di Manhattan”. E’ questa la frase iniziale di ogni puntata di Gossip Girl, la serie tv che dal 2007 al 2012 ha fatto breccia nei cuori di milioni di teen, e non solo, in tutto il mondo.
Gossip Girl è una blogger la cui identità resta un’ incognita per chiunque; è sua la voce fuori campo che accompagna ogni mossa dell’alta società di Manhattan, in particolare dei giovani rampolli dell’Upper East Side, rendendo pubblici online pettegolezzi e scandali di ogni tipo e servendosi costantemente di prove inconfutabili come foto, video, audio o conversazioni private collezionate misteriosamente.
Il telefilm mostra la vita quotidiana di persone fuori dagli standard: un mondo sfarzoso fatto di feste inimmaginabili, vestiti d’alta moda, dove tutto è patinato e brilla in superficie. Ma mostra anche i suoi lati oscuri, quelli più trasgressivi, più mediocri.
Ed è proprio durante questo alternarsi di dolce e amaro che una concatenazione di squilli di smartphone fa tremare gli scheletri in tutti gli armadi di Manhattan.
Tutto ruota intorno all’insaziabile curiosità dell’essere umano che, nel momento in cui gli viene offerta un canale visivo dal quale poter spiare l’altro, non resiste.
Il canale più frequentato oggi è certamente Facebook.
Il meccanismo del social network più famoso al mondo è simile a quello del telefilm più social finora mai andato in onda. Una sorta di voyerismo orwelliano si è insinuato sempre più prepotentemente nelle abitudini degli utenti social; Facebook è diventato un motore di ricerca per rintracciare persone più o meno note e per reperire informazioni sulla loro vita privata.
La serie tv statunitense in questo senso è la metafora del ruolo pervasivo dei social. Ma anche denuncia il fattore compulsivo del pettegolezzo digitale odierno, quello che assottiglia sempre più il confine tra ciò che vogliamo rimanga privato e quello che invece ci piace condividere.
E’ proprio dal fenomeno generazionale Gossip Girl, diventato quindi prodotto culturale, che sono nate le pagine “Spotted” all’interno di Facebook. Si tratta di pagine amministrate da studenti in anonimato che si occupano di pubblicare gli “avvistamenti” – questo è appunto il senso tradotto del termine spotted, quello letterale è “macchiato” – tra studenti in università. Solitamente si tratta di vere e proprie dichiarazioni d’amore nei confronti di qualche collega, o di proposte per conoscere persone nuove, ma su queste pagine anche si sparla, si spettegola, si fanno allusioni sessuali più o meno velate, si provoca. Il tutto, sia per quanto riguarda interventi positivi che negativi, avviene nell’anonimato più assoluto per il mittente dell’avvistamento, mentre le persone destinatarie dei post possono venire nominate o comunque riconosciute. Sembra non esserci un limite neanche in questo caso di non-comunicazione cybernetica, partito da La Sapienza di Roma e dilagato in tempo record in tutto il resto d’Italia.
Ormai i social media sono diventati parte integrante della vita di qualsiasi navigatore della rete che rivoluziona le relazioni, i valori, i costumi:
«Ogni invenzione o tecnologia è un‘estensione o un’autoamputazione del nostro corpo, che impone nuovi rapporti o nuovi equilibri tra gli altri organi e le altre estensioni del corpo.» (M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare, p. 55).
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Su questa nuova rubrica, a cura di Alice de Gregori*, di volta in volta si alterneranno giovani digitali che racconteranno la loro personale fruizione ed interpretazione di prodotti dell’industria culturale, in chiave 2.0.
Questo vuole essere un ulteriore canale partecipativo per i giovani, perché intendiamo conoscere i loro gusti, le loro idee su quello che l’industria culturale (dalla letteratura al cinema) propone loro.
La rubrica è aperta alla collaborazione di tutti coloro che, under 30, desiderano portare il loro contributo, la loro recensione, di una qualche esperienza testuale (e per testo intendiamo tutte le sue possibili declinazioni multimediali ed interattive) che li ha formati culturalmente in chiave 2.0.
Anche la rilettura di un classico, gadamerianamente, può riservare delle sorprese se a farlo è un giovane digitale (confesso che ho sempre visto la Divina commedia come il più grande ipertesto di tutti i tempi capace di collegare dottrine, filosofi e fatti storici e politici in un visionario viaggio virtuale tra cielo e terra).
La giovane autrice di questa recensione è Joan De Monte, 24 anni, laureanda magistrale in Comunicazione integrata per le imprese e le organizzazioni. Laureata in Relazioni Pubbliche presso l’Università degli studi di Udine con una tesi su “La comunicazione del dono del sangue nell’era dei social network”, ha svolto il ruolo di Assistant Teacher presso l’Università di Ottawa
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*Alice Gregori, 31 anni, laureata in comunicazione integrata per le imprese e le organizzazioni all’università di Udine. Per lavora si occupa di web, grafica, comunicazione e video. Per passione di politica (è portavoce in regione FVG per il Movimento Cinque Stelle), cinema e Milan. Da qualche anno è finita nel tunnel delle serie tv, che studia con meticolosa precisione. Al momento non intende uscire da quel tunnel. Scrive saltuariamente su un giornale locale di approfondimento, la Gazzetta Giuliana.