etica e digitale

Passare dalla “scienza dei dati” a un vero sapere, per salvare l’umanità: la sfida del secolo

In un’epoca dominata dalla rivoluzione digitale, la sfida è trasformare la connettività sempre più ubiqua in veicolo di veri valori e relazioni umane. Senza questo sforzo collettivo, di cui l’etica è il faro, il rischio è quello di perdere tutto: prima la democrazia, poi l’umanità come specie e infine lo stesso pianeta

Pubblicato il 04 Mar 2019

Mario Rasetti

Presidente ISI, Professore Emerito Politecnico di Torino

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Internet in ogni angolo del Pianeta, i dati, i big data, la scienza dei dati, l’intelligenza artificiale, tutti gli oggetti e gli uomini connessi ad un’unica rete: potrebbero essere questi i presupposti per un futuro bellissimo, in cui tutti avremo la conoscenza – di ogni tipo – a portata di mano, povertà e intolleranza saranno lontani ricordi, i governi e le multinazionali faranno della trasparenza la loro bandiera.

Ma non tutto è così lineare come potrebbe sembrare: le connessioni, di fatto, ci isolano, la rete  in sostanza, trasforma ognuno di noi in un consumatore, l’innovazione sta esacerbando populismo e intolleranza, c’è la paura che i robot ruberanno il lavoro.

In questo complesso scenario, l’obiettivo è quello di passare dai dati al sapere, dalla ‘Scienza dei Dati’ alla ‘Big Science’ dell’IT, dando vita a più efficienti e significative scienze sociali e della salute, a nuovo lavoro, in una miriade di nuovi processi collettivi.

Ci troviamo, insomma, di fronte a scelte eticamente cruciali, e tutto dipenderà dallo sforzo collettivo che riusciremo a fare col fine di creare una “rete” di valori forti e condivisi.

Perché no, non è vero che le macchine prenderanno il sopravvento sulla società, e sì, il cervello umano resterà la più straordinaria macchina che esista nell’universo conosciuto. Sta all’uomo governarla non solo per progredire, ma per sopravvivere e trovare una soluzione alle principali sfide che ci toccherà vincere nei prossimi anni: i cambiamenti climatici, la crescita delle diseguaglianze, la scarsità di risorse.

La rivoluzione digitale in corso

Il dato da cui partire è che la rivoluzione digitale in corso ci coinvolge tutti. Per caratterizzarla bastano pochi numeri.

Il primo è il cosiddetto ‘tempo di raddoppio’, che misura in quanto tempo sulla Terra viene generata una quantità di dati uguale a quella prodotta in tutta la storia dell’umanità fino a quel momento. Nel 2018 il tempo di raddoppio è stato di un anno: nel 2018 abbiamo generato tanti dati quanti in tutta la storia fino al 2017.

Con l’Internet delle Cose (IoT) entro 5-7 anni avremo 150 miliardi di sensori – 20 volte il numero di persone sul pianeta – inseriti in rete, connessi fra di loro e con gli esseri umani. Allora il tempo di raddoppio sarà di 12 ore: in mezza giornata saranno creati tanti dati quanti in tutta la storia fino a quel giorno.

Tutto diventerà ‘smart’: intelligente; presto avremo non solo smart phones, ma smart cars, smart homes, smart factories, smart cities …. avremo anche ‘smarter people’?

È una rivoluzione diversa, perché si colloca al crocevia fra una rivoluzione culturale e una rivoluzione industriale. È una rivoluzione paragonabile da un lato a quella dell’invenzione della stampa – ma i bit faranno molto più di quanto i caratteri mobili di Gutenberg abbiano fatto in 560 anni in termini di spostamento degli equilibri del potere, di accesso alla conoscenza e del suo trasferimento dalle mani di pochi a comunità sempre più allargate, di cambiamento profondo delle nostre vite.

Sarà un percorso analogo a quello che ha pavimentato la strada che dal Medio Evo e dal Rinascimento ci ha portati alla rivoluzione industriale e dall’Encyclopédie illuminista di Diderot e d’Alembert è arrivato fino a Wikipedia.

Ma dall’altro è una rivoluzione confrontabile con l’invenzione della macchina a vapore di Watt, con tutto quanto questo comporta in termini di tecnologia ma anche di lavoro.

Il cervello collettivo del Pianeta

Il secondo numero è invece una misura assoluta dei dati prodotti: quanto big sono i Big Data?

La nostra società è totalmente basata sui dati e quindi quelli generati sono davvero tanti: 5.1 miliardi di persone – su 7.2 miliardi che popolano il pianeta – hanno almeno un cellulare. La connettività è cresciuta in modo vertiginoso.

Ogni minuto vengono inviati 29 milioni di messaggi Whatsapp e 156 milioni di e-mail; postate 243 mila foto su Facebook e 65 mila scatti su Instagram; si pubblicano 350mila ‘cinguettii’ su Twitter e si caricano 210 mila snap su Snapchat; si effettuano 3,8 milioni di ricerche su Google e 2 milioni di minuti di chiamate su Skype; si creano 120 nuovi account su LinkedIn, si fanno 25 mila post su Tumblr e 18 mila abbinamenti sull’app di incontri Tinder; gli utenti di Spotify ascoltano 1,5 milioni di canzoni e quelli di Netflix guardano 87mila ore di filmati; oltre 16 mila video vengono guardati su Vimeo, mentre su YouTube gli utenti scaricano 400 ore di filmati. Manca il fiato solo leggendoli, questi numeri che diventano più stupefacenti se si ricorda che corrispondono a 1022 byte – o, in modo più immaginifico, a una quantità di byte che equivale a 340 miliardi di volte il corposo ‘Guerra e Pace’ di Tolstoj – all’anno!

Questa connettività quasi illimitata fa sì che è come se il pianeta stesse sviluppando un suo cervello collettivo; in un progetto che determinerà il futuro dell’umanità; con un processo che sta accelerando a dismisura. Sarà questo lo strumento che farà crescere la sua intelligenza?

Un esperimento sociale senza precedenti

Le più grandi corporation nel mondo – spazio e telecomunicazioni – hanno ormai consolidato investimenti multimiliardari per portare entro una decina d’anni Internet a banda larga in ogni metro quadrato del pianeta, e stanno costruendo – a velocità mozzafiato e su scala globale – le autostrade della società dell’informazione del XXIo secolo.

Così stanno per accedere alla rete oltre tre miliardi di nuovi utenti, per lo più tramite smartphone sempre più economici e accessibili. E, contrariamente ai due miliardi e mezzo che li hanno preceduti, la loro prima esperienza con Internet non sarà attraverso testi un po’ primitivi, scritti in tremolanti caratteri verdi, ma tramite video ad altissima risoluzione e connessioni veloci che daranno loro accesso a qualunque cosa solleciti la loro immaginazione. È un esperimento sociale che non ha precedenti nella storia, dove ciò che conta è che mentre la maggioranza di noi ha costruito le proprie abitudini in Internet avendo alle spalle anni di esposizione critica a giornali, libri, radio e TV, il 30% dei nuovi arrivati saranno, in qualche modo, ‘analfabeti’. Chi riuscirà a catturare la loro attenzione; come e con quali conseguenze? Lo scenario delle risposte possibili a questa domanda mostra una pericolosa dicotomia.

È possibile immaginare un futuro bellissimo, dove per la prima volta nella storia ogni essere umano potrà accedere ai più grandi maestri al mondo, della filosofia, della scienza, della letteratura, di ogni possibile sapere, e nella propria lingua, perché l’AI lo consentirà; e ognuno disporrà di strumenti per sconfiggere povertà e intolleranza; mentre la crescente, inevitabile trasparenza imporrà a corporation, governi e partiti un comportamento migliore: così il mondo beneficerà della connessione in rete di miliardi di nuove menti che, alleate, possono creare insieme un futuro straordinario e condiviso. Le interconnessioni globali inizieranno a sconfiggere il nostro modo di pensare tribale.

Ma affinché questo abbia una probabilità di accadere, gli uomini – tutti – devono essere pronti ad affrontare quella che è la madre di tutte le guerre; una guerra di ‘impegno morale’, una guerra etica in cui ogni company, ogni governo, ogni ideologia dovranno essere disposti a mettere in gioco la propria esistenza. Se così non sarà gli esiti possono essere diversi; alcuni molto brutti, perché la rete è in ultima analisi una macchina disegnata per trasformare ognuno di noi in un consumatore e non smetterà certo di essere cinica nell’inventare il linguaggio capace di affascinare queste persone così fragili.

Alla ricerca dei principi dell’intelligenza

Ciò che è significativo e unico, e ci fa sperare, è che la scienza ha pronta una ‘roadmap’, che tocca le radici stesse della conoscenza. Sta infatti prendendo vita uno sforzo per identificare i ‘princìpi’ – forse le leggi – dell’intelligenza. L’idea è che, proprio come Newton scoprì princìpi e leggi del moto, quando sembrava irragionevole che ci fosse un legame – diciamo – fra il moto dei pianeti e la turbolenza, oggi è agli albori ma in forte crescita una ricerca, ugualmente audace, dei princìpi generali, forse le leggi, dell’intelligenza; irragionevolmente condivisi – sia pure in piccola misura – da esseri umani e robot.

Tre sono dunque le questioni chiave cui la scienza deve dare una risposta convincente per essere davvero di aiuto alla Società globale:

  • i Big Data;
  • il codice dell’Intelligenza Artificiale (AI) (perché sarà lo strumento dell’AI che trasformerà radicalmente il modo in cui la nostra società è organizzata);
  • l’Imperativo Etico.

Per definire quest’ultimo non posso che citare Immanuel Kant: “Gli esseri umani occupano un posto speciale nel mondo e la moralità si può sintetizzare in un unico imperativo etico, comandamento ultimo da cui derivano tutti i doveri e gli obblighi … il libero arbitrio è la sorgente di tutte le azioni razionali, ma trattarlo come fine soggettivo è negare la possibilità stessa della libertà in generale”.

L’inganno della connessione e le scelte etiche ineludibili

Purtroppo, proprio questo fanno le tecnologie digitali: ci inducono a credere di essere meno isolati in questa battaglia perché connessi, sempre e sempre di più. Eppure, questa immensa intimità è solo un’illusione; l’illusione che i nostri ‘profili online’ abbiano un valore intrinseco, funzione esclusivamente del numero dei contatti; mentre, invece, tanto più questi sono numerosi, tanto più di fatto essi acuiscono la nostra solitudine. Così, paradossalmente, se gli ‘amici’ in rete sono presenze sempre più effimere, prive come sono di ‘anima’ e sostanza, con una sorta d’inquietante contrappasso lo spettro dei nostri rapporti con i robot si allarga, fino a toccare scelte eticamente cruciali: da affidare loro la sicurezza e l’educazione dei figli o la cura dei genitori, che solo a noi spettano, a farne dei veri e propri partner cui attribuire emozioni e passioni umane.

La sfida è far diventare quella straordinaria, incredibile connettività veicolo di veri valori e relazioni umane.

I progressi mozzafiato dell’intelligenza artificiale

Anche l’intelligenza artificiale – che mira a decodificare il codice dell’intelligenza umana (e che, come quest’ultima, impara e si addestra da sé – Machine Learning, Deep Learning, Topological Data Aanalysis) – sta facendo progressi mozzafiato, soprattutto per il tramite dell’automazione dell’analisi dei dati, e si automigliora a ritmo frenetico. Oggi sono standard algoritmi in grado di riconoscere la scrittura manuale e i pattern, descrivere il contenuto di fotografie e video, e completare compiti che richiedono ‘intelligenza’, meglio degli uomini. Ormai il 70% di tutte le transazioni finanziarie è effettuato da algoritmi, e il 20 % del contenuto delle News è generato automaticamente.

Dal 2020 i super-computer sorpasseranno le capacità umane in molte applicazioni, ed entro 5-7 anni il lavoro ‘intellettuale’ sarà in buona parte sostituito dalla tecnologia e oltre metà dei lavori di oggi saranno scomparsi.

Rivoluzione digitale, lavoro e disuguaglianze

E il lavoro? Quella digitale è una rivoluzione in cui l’innovazione si trova alla radice della più aggressiva delle diseguaglianze; quella che spinge oggi parte del ceto medio (gli «scartati» di Papa Francesco I) alla protesta, al populismo, all’intolleranza, tutte alimentate dalla paura, perché globale e digitale sono irreversibili.

Occorreranno enormi investimenti su scala globale in cultura e istruzione, con incentivi alla creatività, la riqualificazione degli espulsi dal sistema produttivo e nuove, diverse modalità di formazione, per chi ha un patrimonio condivisibile di esperienza professionale. Non si tratta dunque solo di ridistribuire il reddito, ma il lavoro; di creare nuove fonti di conoscenza, per generare nuovo ‘sapere’ e al contempo reinserire nella macchina sociale chi è stato espulso dal mondo del lavoro: creare nuovo lavoro con lavori nuovi.

I progressi indotti dall’AI daranno sì vita a una lunga epoca di prosperità, di benessere e di conoscenza senza precedenti, ma il transitorio a questo stato può essere lungo e brutale se non sapremo adattarvi, e da subito, economia, politiche sociali, comportamenti collettivi. L’alternativa è una nuova forma di ‘luddismo’ di reazione al digitale, che potrebbe portare – come quello seguito alla rivoluzione industriale nell’Inghilterra del XVIII secolo – a gravi tensioni, instabilità e scontri sociali; perché fra pochi anni oltre la metà dei lavori di oggi non saranno più svolti da uomini ma da macchine intelligenti. Lavori che non generano altro lavoro (come accade invece per i robot).

Sarà crisi, non delle ‘tute blu’ (la vecchia cara classe operaia) ma dei ‘colletti bianchi’ (la classe media), per di più accompagnata, a livello globale, dalle crescenti diseguaglianze nell’accesso alla tecnologia fra paesi sviluppati e non.

La grande sfida dei big data: dai dati al sapere

La grande sfida dei Big Data è di estrarre valore dai dati – la grande quantità d’informazione che fluisce dentro e fuori dai sistemi complessi con cui conviviamo ed entro cui viviamo – e farne fonte di nuove opportunità e ricchezza.

I Big Data hanno una varietà di caratteristiche diverse: ci sono quelli della scienza (Hubble, Progetto Genoma, CERN): tipicamente organizzati in basi di dati ben strutturate e più facili da interpretare con le teorie scientifiche, e quelli relativi alla società, che se li sapessimo gestire permetterebbero di realizzare una vera e propria ‘tomografia’ della società stessa, rendendo possibili predizioni fino ad oggi impensabili (le pandemie: aviaria, H1N1, Ebola; la ‘sentiment analysis’; la medicina di precisione,…). Inoltre hanno diverse strategie e obiettivi: l’hardware (l’High Performance Computing; l’informazione quantistica; la computazione ‘non-Turing’); nonché quello che è il più difficile problema mai affrontato dalla computer science: il ‘data mining’; appunto, estrarre valore dai dati.

La ‘Scienza dei Dati’ può diventare la ‘Big Science’ dell’IT, nuovo settore della scienza che, accoppiando immensi insiemi di dati con metodi (algoritmi, anche predittivi), teorie e modelli, fornirà all’Information Technology strumenti sempre più efficienti per trasformare: dati in informazione, informazione in conoscenza e infine conoscenza in ‘sapere’, integrandola senza soluzione di continuità nel tessuto di natura e società – in un mondo, non dimentichiamo, nel quale in parallelo all’immenso flusso di dati descritto circolano ogni anno 1.4 miliardi di automobili e oltre 2.7 miliardi di persone volano sugli aeroplani, mentre la crescita di popolazione, urbanizzazione, scambi commerciali, migrazioni globali si intreccia sempre più con quella della tecnologia.

Un mondo abitato ormai da una società che di fatto è un sistema interconnesso ‘socio-tecnico’.

Cos’è la scienza dei dati

Che cos’è questa Data Science che chiamiamo in aiuto? È una nuova disciplina scientifica (se si può chiamare così un’attività del pensiero scientifico che è inter-disciplinare, oltre che multi-disciplinare, per definizione), che scaturisce da un processo articolato. Da un lato c’è la Scienza dei Sistemi complessi – un pezzo di scienza nato laddove il riduzionismo prendeva atto dei suoi limiti – che studia sistemi costituiti da un gran numero di componenti (gli ‘agenti’), che interagiscono fra di loro, in modo non lineare, nell’ambito di una gerarchia di scale (temporali e spaziali) accoppiate, auto-organizzanti e capaci di mostrare proprietà emergenti.

“Complesso” è molto più che “complicato” perché significa la fine del pensiero lineare, è un approccio sistemico a tutta la realtà, cambia il problema dell’inferenza causale ed è conoscibile soltanto attraversi ai dati. Dall’altro lato c’è un intreccio metodologico senza precedenti. La fenomenologia contenuta nei dati (sotto tanto rumore!), tradizionalmente è affrontata con metodi mutuati da informatica, matematica e statistica: se però utilizziamo solo questi strumenti, ci ritroviamo in una zona a rischio, il rischio di dare una rappresentazione della realtà falsa e inconsistente (è successo all’economia o alle scienze della vita). La Scienza dei Dati combina i metodi della ricerca tradizionale con strumenti dell’intelligenza artificiale modellati su altre scienze (cognitive, del linguaggio, della logica, della fisica) e con queste nuove armi affronta con successo i sistemi complessi, prevedendone i comportamenti.

In questo modo le tracce digitali che gli uomini lasciano dietro di sé, pur essendo non riproducibili, ci permettono di coniugare la storia con il futuro. Le Reti Complesse (Internet) e l’IoT (l’Internet delle cose; dispositivi messi in rete) diventano così strumento attivo dei processi decisionali, capace di tenere in conto nuove interazioni fra persone, oggetti, luoghi e di analizzarne i flussi, anche se sensibili alla localizzazione, dando vita a una nuova scienza dell’organizzazione, a più efficienti e significative scienze sociali e della salute, a nuovo lavoro, in una miriade di nuovi processi collettivi.

Ecco perché i robot non prenderanno il sopravvento

Una domanda che spesso viene posta è: corriamo rischi con l’AI – ad esempio di essere sopraffatti da macchine più intelligenti di noi, capaci di prendere il sopravvento sulla nostra società? Di fatto non c’è alcuna indicazione che ci faccia pensare di poterci trovare ad avere un problema nel tenere le nostre macchine al guinzaglio, nel caso si comportino male: siamo davvero ben lontani dall’avere squadre di robot spavaldi, imprevedibili, machiavellici, con disturbi attitudinali e una gran voglia di riprodursi; ma, anche al di là di questo, la mia risposta è: no, nessuno!

Il cervello umano – 1.5 kg di materia biologica fatta di 90 miliardi di cellule altamente specializzate [i neuroni] che comunicano fra di loro attraverso 100.000 miliardi di interruttori molecolari [le sinapsi] e una rete di nervi [gli assoni] che trasmettono gli impulsi, lunghi due milioni di chilometri (6 volte la distanza fra la Terra e la Luna!) – una macchina che usa 20 watt di potenza ma ha un potere computazionale enormemente superiore a quello di qualsiasi computer oggi immaginabile, è davvero la più straordinaria macchina che esista nell’universo conosciuto. non c’è nulla di paragonabile alla sua complessità e potenziale portata. Il cervello umano è capace in ogni istante di scegliere di utilizzare con efficienza solo i neuroni che gli servono in quel momento per svolgere la funzione che sta compiendo – in media molto meno del 10% di quelli disponibili – mentre gli altri continuano a stimolarsi a vicenda per far sì che esso sia anche predittivo e non solo reattivo. ‘Predittivo’ significa capace, apprendendo dall’esperienza di una vita intera, di miliardi di previsioni su ciò che accadrà – predizioni a livello micro (i piccoli bit di informazioni che vengono dai sensi) e macro (una danza vorticosa di previsioni e azione). E se le predizioni sono errate, il cervello sa correggerle e farne altre –se il cervello non fosse predittivo, non esisterebbero cose come lo sport e attraverseremmo la vita in uno stato di constante sorpresa.

Le capacità predittive sono alla base di come il cervello crea la ‘mente’. Pensieri, sentimenti, percezioni, memorie, decisioni, categorizzazioni, immaginazione – a lungo considerati come processi mentali distinti – possono essere unificati dal meccanismo di predizione nella più affascinante delle narrative: l’epica battaglia fra razionalità ed emozioni, che controlla il comportamento. Già nelle sue funzioni più semplici – come la semantica (la creazione di ‘simboli’ linguistici) – la sua complessità combinatoria è inimmaginabile: il numero delle configurazioni distinte potenziali ha oltre 700 cifre!! Eppure, il cervello svolge funzioni ben più complesse della semantica o della semiotica: l’estetica, l’etica, la capacità di prendere i miliardi di miliardi di decisioni che prendiamo continuamente senza accorgercene in tempi infinitesimi anche nei gesti più banali. E, infine, la più alta di tutte: l’autocoscienza, il fatto che in ogni istante della nostra vita, ogni cosa facciamo, anche insignificante, la facciamo essendo consapevoli che esistiamo per farla e che siamo noi a farla.

Le tre sfide per l’umanità negli anni a venire

Riusciranno la Scienza dei Dati, la Scienza dei Sistemi Complessi, con l’Intelligenza Umana e Artificiale, ad affrontare e vincere le tre grandi sfide che l’umanità subirà nei prossimi anni: il clima, le diseguaglianze sociali (le migrazioni), le risorse?

Certo la scienza può farlo, ma non da sola; occorre uno sforzo collettivo di tutti; i nostri cervelli devono imparare a operare insieme (non mettersi all’ammasso!) in una rete simile a un grande cervello planetario, con valori etici condivisi e forti, per non perdere tutto: prima la democrazia, poi l’umanità come specie e infine lo stesso pianeta Terra.

Tutte le specie, prima o poi, si estinguono e l’homo sapiens non farà certo eccezione: sapremo favorire la transizione evolutiva ad un homo sapiens sapiens sapiens, saggio e capace di plasmarsi un futuro lungo e felice, o porteremo il Pianeta alla rovina?

Guardiamo a che cosa ci dicono i dati di oggi rispetto al mondo di domani.

Fino al 2030 nessun paese sarà una grande potenza egemone, ma ci sarà una drammatica inversione di quella crescita storica dell’Occidente che ebbe inizio nel 1750, mentre sempre più si stabilizzerà il peso dell’Asia nell’economia globale.

La percentuale dei consumi della classe media, che nel 2000 vedeva circa l’80% attribuito a Europa (40%), Stati Uniti (30%) e Giappone (10%), nel 2050 vedrà la somma di questi tre ridotta a poco più del 10%, mentre Cina e India saliranno insieme al 50% (rispettivamente 20% e 30%); il 15% sarà Asia (Korea, Singapore) e il 25% Sud America (Brasile) e Australia.

I consumi e la ricchezza della classe media

Aumenteranno quasi esponenzialmente la domanda di cibo (35%), acqua (40%) ed energia (50%), vuoi per la crescita della popolazione che per i cambiamenti nella distribuzione dei consumi legati alla crescita della classe media nei paesi emergenti.

Nel mondo del 2030 – in cui la popolazione globale avrà raggiunto gli 8.3 miliardi di persone (oggi è di 7.2 miliardi) – tre fattori demografici fondamentali contribuiranno a dar forma alle condizioni economiche e politiche dei paesi e alle relazioni fra paesi: l’invecchiamento, una caratteristica dell’occidente ma sempre più di gran parte dei paesi emergenti; le migrazioni; l’urbanizzazione crescente.

I cambiamenti climatici peggioreranno le prospettive di disponibilità di queste tre risorse critiche. L’analisi dei cambiamenti nel clima mostra che la severità delle variazioni climatiche attuali s’intensificherà: le aree ‘bagnate’ diverranno sempre più umide e quelle secche sempre più aride.

Il clima: speranza o catastrofe imminente?

L’agricoltura, infatti, dipende dall’accessibilità di risorse adeguate, in particolare acqua e fertilizzanti ricchi di energia. Fonti energetiche come quella idrica o i bio-combustibili, di fatto minacciano di esacerbare la potenziale mancanza di cibo.

Nella geopolitica, la distribuzione del potere nei e fra i paesi avrà una svolta drammatica: entro il 2030 l’Asia avrà sorpassato la somma di America del Nord ed Europa per indice di sviluppo.

Quanto alle risorse, l’OD, l’“overshoot day” (il “giorno del debito ecologico”) – il giorno nell’anno in cui abbiamo esaurito tutte le risorse che il pianeta Terra mette a disposizione dell’uomo per quell’anno – e non di più per permetterne il rinnovo, per il 2018 è stato il 6 agosto: una data di presagi non buoni, l’anniversario di Hiroshima!

Se non prenderemo provvedimenti adeguati,nel 2030 l’OD sarà il primo gennaio: avremo bisogno di due Terre per mantenere il nostro tenore di vita.

Quanto al lavoro, non è certo l’AI che ha generato quanto vediamo intorno a noi:

o quello che la storia ci insegna:

e non solo la storia più recente:

A noi ‘umani’ toccherà di gestire e mantenere sotto controllo questa nostra preziosa ineguagliabile macchina, il cervello, per imparare a usare sempre meglio – collettivamente e a beneficio di tutti – le nuove connettività, per progredire, evolvere e sopravvivere come specie. Sarà l’AI ad aiutarci a far questo. Ma sarà solo insieme che gli umani con le loro estensioni elettroniche – protesi tecnologiche; macchine (quasi) ‘pensanti’ – continueranno ad evolvere reti sempre più articolate e complesse, asservite al principale, glorioso scopo dell’universo: la creazione di nicchie dove l’informazione non si riduce ma cresce; in una lotta senza fine contro l’entropia.

Anche qui l’etica sarà fondamentale. Stabilito che in realtà non saremo probabilmente mai in grado di costruire una macchina simile al cervello, supponiamo però di riuscire a costruire almeno una ‘AI machine’ che uguagli tutte le capacità intellettuali di un uomo e in alcune magari lo superi: come la tratteremo se non è capace di gioia e sofferenza – se non ha autocoscienza? potrebbe avere gli stessi diritti di un essere umano? E doveri?

Grandi questioni, che ci dicono che in realtà è dell’uomo che dobbiamo preoccuparci; non delle macchine.

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