“L’illusione non è ciò che mi chiedete di farvi vedere, gentili signore ed egregi signori! L’illusione è la carne viva che mi forgio!” Sanji Benniz falcava i gradini verso la Trinità. Si bloccava all’ultimo. Alla ripida balaustra. Alle spalle la lapide bianca di Benedetto. Ruotava i fermi glutei di infaticabile saltimbanco. Si inchinava allo stuolo di volti verso la Spagna. Il rosa e il rosso dilagavano satolli di facciate.
“L’illusione è la vostra avidità!” declamava. Spavaldava. Assorbiva. Gli occhi astanti. Le brezze fuggivano dal tramonto volando verso la sera.
“L’illusione è la negazione dei vostri immobili sogni, squisite signore!” sfiancava. Sbracciava. Roteava. Le mani esplicanti. I profumi delle azalee ammorbidivano gli umori delle stanchezze. Rilassate sui gradini ancora caldi.
“L’illusione è l’affermazione dei vostri crudi spaventi, impeccabili signori!” ruggiva. Sforbiciava. Esplodeva. I piedi volanti. La doppia vasca mischiava i zampilli insieme ai pensieri.
Da una settimana il Grande Ictus Mnemonico aveva tolto le memorie all’umanità. “Anche agli illusionisti di strada…”, lamentava la gente. “Forse…” si sperava sulle morbide gradinate. Abbacinati dai volteggi: “Forse Benniz non ne ha bisogno…” esaltavano. “Forse Benniz ne ha alcune di riserva…” consolavano. “Forse Benniz si illude…” insidiavano.
Gli agenti della Memory Squad 11, molte strade più in là. In perlustrazione imbrunita. Il cielo dal violetto al nero. Nuvole gonfie da giorni di afa. “Un illusionista! Agenti c’è ancora un illusionista in circolazione! Non ci posso credere!…” sguàia Xina Shaiira, analista del terreno e dell’ambiente, seconda in comando. Il vecchio schermo si libra davanti alla sua bici. Offre stanco il tracciato. “È in esibizione con una spada!” plàtea Shaiira. “Ha sicuramente le dieci memorie standard!” incalza. “Sarebbe un bottino fantastico!” incita. “Va solo immobilizzato… mano sulla nuca ed è fatta!” ricorda. Le biciclette arrancano dal Tritone. Le biciclette accelerano.
La folla intensa. Al mercoledì. Da secoli. Anche alle finestre di Jhon, di Percey, di Mary e di Gorge.
Sanji Benniz si ferma. Immobile guarda il popolo aggradinato. Congiunge le gambe. Piega le ginocchia. Un poco. Le azalee si distraggono. Le braccia allargate. Come inchiodate ad una croce. Ora si abbassa. A terra. Ora impugna una Shinken affilata. Mortale. La scalinata brulica. La scalinata s’immòbila. La scalinata si tace. Mille teste si girano. La lama splende di lampioni della notte. Fende. La mano sinistra rotola. La folla si apre. Per liberare tutti i gradini del macabro rimbalzo. Fende. Il braccio sinistro. Le azalee si distraggono. Fende. Il piede. Le azalee si distraggono. Fende. L’altro piede. Le azalee si distraggono. Fende. La gamba. Le azalee si distraggono. Fende. L’altra gamba. Le azalee si distraggono. Fende. Il braccio destro. Le azalee si distraggono. Fende. Il busto. La testa. La mano destra stringe la spada. Rotolano giù fra mille schizzi. Aspergono la folla. In estasi.
Le biciclette frenano fra la fontana tiepida e la scalinata grondante. Nella pioggia potente. Improvvisa. Truculento lavacro. Una cascata di sangue. Porta via le illusioni.
“Non è un’illusione, agenti! Ogni pezzo ha una memoria!” urla Shaiira “Acchiappateli al volo!” La folla preme per afferrarne almeno uno. Un trofeo sublime del sublime Benniz. Un souvenir magnifico del magnifico Benniz. Un pezzo di carne fra i pezzi di carne. Rimbalzano. Gli spruzzi. Rimbalzano. I gradini. Rimbalzano. Si sbracciano. Rimbalzano. Scivolano dalla presa di mille mani. Si ammucchiano alla fine della lucida scalinata. Grondanti. Sfatti. Fetidi. Smembrati. Fumanti. Negli scrosci gelidi. Che puliscono. Precisi. Perfetti. Accurati. Composti. Ricomposti.
Benniz accoglie l’applauso infinito. Ringrazia con un profondo inchino.
(48-continua la serie. Ogni episodio è “chiuso”)