Le tensioni tra Usa e Cina in ambito tecnologico – sfociate in episodi quali la messa al bando (di breve durata) dei prodotti ZTE e l’arresto in Canada di Meng Wanzhou, direttore finanziario di Huawei – mettono a rischio lo sviluppo del 5G e riportano alla ribalta il tema della sovranità tecnologica, che era stato sollevato da una mia proposta di legge del 2014.
Tra le altre cose la proposta prevedeva, per i soggetti pubblici, il divieto di acquisto di servizi di connettività da operatori che utilizzassero dispositivi privi di una “attestazione di sicurezza” e forniti da produttori provenienti da paesi ove si praticano controlli di massa. L’acquisto sarebbe stato invece consentito laddove venissero utilizzati apparati con software aperto e quindi ispezionabile.
In questo modo, gli operatori di telecomunicazioni avrebbero evitato di utilizzare apparati “potenzialmente a rischio”, per non perdere il business della Pubblica Amministrazione.
Se cinque anni fa i tempi non erano maturi per una riflessione politica su questi temi, oggi, anche alla luce dei fatti di cui ci occuperemo di seguito, appare assai ragionevole quanto proposto da Deutsche Telekom, ovvero che venga consentita la realizzazione di reti che utilizzino di dispositivi accompagnati da una attestazione di sicurezza e i cui codici sorgenti siano disponibili ad un organismo di controllo.
Le accuse a Huawei
Da quanto riportano le cronache, Huawei avrebbe messo in atto pratiche di spionaggio industriale tra il 2012 ed il 2013 per copiare un robot utilizzato da T-Systems negli USA per collaudare i touch screen dei telefoni mimando dita umane. La proverbiale predisposizione alla copia da parte di industrie cinesi era confermata.
Il caso si chiuse nel 2017 con il patteggiamento tra le due parti ma oggi viene riaperto dal procuratore USA per aspetti penali collegati: il furto di segreti commerciali, l’atto di trasmettere via rete informazioni oggetto di reato (è esso stesso un reato), aver spostato dei dipendenti coinvolti dagli USA alla Cina, fatto che può configurare il reato di ostruzione alla giustizia.
La seconda vicenda ha invece portato all’arresto in Canada di Meng Wanzhou, direttore finanziario di Huawei e figlia del fondatore Ren Zhengfei: una azienda controllata da Huawei nel 2013 ha intermediato la vendita di materiale HP verso l’Iran, paese sottoposto a sanzioni commerciali.
Usa Vs Cina, tensioni tecnologiche di lunga data
Le tensioni tra USA e Cina in materia tecnologica non sono nuovissime.
Nel 2012 il Congresso aveva accusato i cinesi della ZTE (altro produttore di dispositivi di TLC) di spionaggio perché i loro apparati, secondo gli americani, sarebbero stati un cavallo di Troia del governo cinese. Anche in quel caso furono denunciati i rapporti dell’azienda con l’Iran e con la Corea del Nord.
Cinque anni dopo, nel marzo 2017, il Dipartimento del Commercio ha detto che “Zte ha acconsentito a una pena combinata civile e penale e alla confisca di 1,19 miliardi di dollari dopo aver spedito illegalmente attrezzature per telecomunicazioni in Iran e Corea del Nord, rendendo dichiarazioni false e ostacolando la giustizia” e “oltre a queste sanzioni pecuniarie, ha anche concordato un divieto di esportazione per sette anni di sospensione dei privilegi di esportazione, che potrebbe essere attivato se non fosse rispettato qualche aspetto dell’accordo”.
Fatto sta che nell’aprile 2018 il Presidente Trump ha messo ZTE fuori legge, bloccandogli le forniture di componenti da parte di aziende USA. Tra queste, la Qualcomm che fornisce chip utilizzati nell’80% dei prodotti ZTE.
Il blocco è durato poco, visto che a metà maggio il Presidente Trump twittava: “Io e il presidente Xi stiamo lavorando insieme per garantire alla società di telecomunicazioni cinese Zte un modo per tornare velocemente alla sua attività. Troppi posti di lavoro si stanno perdendo in Cina” e poco dopo le sanzioni sono state rimosse.
Lo schema pare simile, ovvero un riscontro di attività illecite cinesi con una successiva condanna ed una riapertura delle vicende a distanza di qualche anno.
Le azioni sarebbero motivate dal rischio di spionaggio delle comunicazioni da parte dei cinesi, ragione per cui è stato vietato l’utilizzo di apparati cinesi per la costruzione della rete 5G Usa.
Il caso Huawei pare più serio della vicenda ZTE, aperta e richiusa dal Presidente Trump in poche settimane. Gli USA hanno richiesto al Canada l’arresto di Meng Wanzhou nella zona franca dell’aeroporto di Vancouver mentre stava effettuando uno scalo tra Hong Kong ed il Messico e successivamente ne ha chiesto l’estradizione.
Non è fatto da sottovalutare: una simile azione potrebbe esporre gli uomini d’affari statunitensi ad azioni simili da parte di altri paesi, per una varietà di motivazioni.
Uno scontro geopolitico
Come fa notare il Prof. Sachs, raramente gli USA arrestano top manager di aziende che commettono violazioni delle sanzioni nei confronti di altri paesi. Nel 2011 JPMorgan Chase ha pagato 88,3 milioni di multa per violazione delle sanzioni contro Cuba, Iran e Sudan senza che il suo CEO o CFO ne rispondesse personalmente.
“Dal 2010 i seguenti grandi gruppi finanziari sono stati multati per avere violato sanzioni USA: Banco do Brasil, Bank of America, Bank of Guam, Bank of Moscow, Bank of TokyoMitsubishi, Barclays, BNP Paribas, Clearstream Banking, Commerzbank, Compass, Crédit Agricole, Deutsche Bank, HSBC, ING, Intesa Sanpaolo, JP Morgan Chase, National Bank of Abu Dhabi, National Bank of Pakistan, PayPal, RBS (ABN Amro), Société Générale, Toronto-Dominion Bank, Trans-Pacific National Bank (ora Beacon Business Bank), Standard Chartered, e Wells Fargo”. In tutti i casi sono sempre state sanzionate le aziende ma nessun top manager è stato ritenuto responsabile.
Numerosi paesi alleati degli USA hanno successivamente imposto limitazioni alla commercializzazione ed all’utilizzo di dispositivi Huawei. La questione, se esaminata da questo punto di vista, assume dei contorni di sapore geopolitico. Forse va letta anche in questo senso la recente notizia di un ripensamento circa l’insediamento in USA di Foxconn, il colosso cinese produttore di elettronica di consumo.
Questi eventi, oltre a contribuire a rendere più tesi i rapporti tra le superpotenze, non sono privi di conseguenze dirette anche sul mercato delle TLC.
La GSMA ha proposto un meeting urgente per discutere la crisi con Huwaei che impatta fortemente sullo sviluppo delle reti 5G (ma anche quelle in fibra ottica). Nokia ed Ericsson ne verrebbero beneficiate, dato che congiuntamente controllano il 30% del nascente mercato 5G ma si creano anche spazi per produttori emergenti in questo mercato come Samsung.
Seconda legge di Moore e selezione naturale dei produttori
C’è una implicazione della legge di Moore, chiamata talvolta Seconda legge di Moore: cresce in maniera esponenziale anche l’investimento necessario per realizzare una fabbrica che produce una nuova tecnologia di processori.
In modo simile e analogo a quanto avviene in campo aerospaziale, ciò comporta una selezione naturale dei produttori: il livello di investimenti necessari non è più alla portata di tutti e solo le grandissime imprese, sostenute da una politica industriale e di spesa dei propri paesi (tipicamente per ragioni militari), possono permettersi di continuare la corsa.
Ipotizziamo però che si sbagli una generazione di impianti. Ossia che l’investimento non sia in grado di produrre la nuova generazione di tecnologie desiderata. In questo caso, l’investimento sbagliato potrebbe avere effetti esiziali sul produttore.
Lo sviluppo dell’elettronica porta con sé una concorrenza industriale tra Paesi, come una volta fu l’aerospazio.
In un mondo altamente interconnesso in cui sono elevatissimi i costi industriali per la produzione di dispositivi, dal silicio fino all’apparato ed il relativo software, è impensabile che vi siano una molteplicità di produttori nazionali, come ai tempi delle centrali elettromeccaniche.
USA e Cina: la guerra senza limiti impone il primato tecnologico