Con la presentazione ufficiale di quello che assume formalmente il nome di “Fondo Nazionale per l’Innovazione”, effettuata lunedì 5 marzo a Torino dal Ministro Luigi Di Maio in persona, si è data finalmente l’ufficialità a tutte quelle che fino ad oggi sono state solo delle letture tra le righe, fatte in modo più o meno informato, sulla strategia del Governo per quel che riguarda l’economia dell’innovazione. E’ pur vero che il quadro era già abbastanza chiaro, ma l’ufficialità è sempre una cosa buona per convincere gli scettici, e quindi andiamo a ricapitolare quello che questo primo scampolo di legislatura andrà a regalare alle imprese innovative.
Ufficializzazione dei Business Angels
Innanzitutto l’ufficializzazione dei Business Angels, quelli che negli USA sono semplicemente gli individui nell’elenco degli investitori tenuto dalla SEC: queste figure, di cui non si conosce ancora il percorso di qualificazione per l’Italia, saranno elencate in un albo ad hoc tenuto da Banca d’Italia. Il vero vantaggio dell’aver ufficializzato la figura è quello di poter andare a proporre loro degli investimenti senza ricadere nel reato della sollecitazione del pubblico risparmio, ma al momento non avranno vantaggi fiscali particolari se non il godere – come tutti i piccoli investitori – della nuova percentuale di incentivo fiscale sugli investimenti, portata al 40%.
I Business Angels potranno però rientrare tra i sottoscrittori delle Società di Investimento Semplici (SIS), veicoli che il Governo intende inserire sul campo per favorire la nascita di piccoli “fondi” che non abbiano l’onerosità di gestione dei fondi tradizionali.
La nascita di queste società è stata recentemente stralciata da un veicolo legislativo, ma la volontà di istituirla è forte e la rivedremo a breve.
E’ rilevante che i Business Angels inizino a questo punto a diffondersi in modo articolato sul territorio, raggruppandosi in BAN territoriali all’interno dei quali ci sia una leadership basata sulla condivisione incondizionata delle pratiche internazionali: un persistere di gruppi di pseudo-investitori fermamente convinti nell’attuare modelli di valutazione dei progetti di impresa inventati di sana pianta e inadeguati al venture business è non solo un male per loro stessi, ma un problema che danneggia l’intera filiera.
Una asset class autonoma per il venture capital
Veniamo poi alle misure che aprono i rubinetti del capitale di rischio: innanzitutto si è creata la asset class autonoma del “venture capital”, che ora esiste per legge mentre prima era un sottocapitolo del Private Equity: già questa è una rivoluzione copernicana che espone questa opzione di destinazione a tutti i gestori di casse ed enti con grandi patrimoni che fanno puntualmente asset allocation, mettendo un po’ di massa in ciascun asset, e che da oggi hanno a disposizione anche il venture capital.
Prima di questa azione, per investire in Venture si doveva allocare i soldi in Private Equity, con il risultato che solo una frazione di questi finisse effettivamente in vc, Ma siccome aprire l’opzione non basta, il Governo ha optato per un aiutino ed ha dato un incentivo fiscale anche ai gestori di grandi patrimoni che mettano qualche soldo in questa nuova asset class: la Legge di Bilancio 2019 ha incrementato dal 5% al 10% la quota patrimoniale investibile in esenzione fiscale, purché il 5% addizionale venga investito in azionario, in fondi PIR (Piani Individuali di Risparmio) o in fondi di venture capital.
A questo si sono aggiunti i PIR, i Piani Individuali di Risparmio, dei fondi dedicati a piccoli risparmiatori che godono di esenzione dalla tassazione sul capital gain: per godere di questa esenzione, dal 2019 i gestori di fondi PIR devono obbligatoriamente allocare il 3.5% della loro raccolta in Venture Capital.
Il Fondo Nazionale per l’Innovazione
Infine lo strumento principe di tutta l’architettura, il Fondo Nazionale per l’Innovazione: quel Fondo di Fondi (ma non solo) che veniva richiesto a gran voce da tutto l’ecosistema italiano da quasi un decennio. Il FNI opererà come fondo di fondi – e qui altro grande cambiamento – non più sotto la gestione del Fondo Italiano di Investimento, storicamente legato al mondo bancario, ma all’interno di Invitalia Ventures, che viene trasferita sotto l’ombrello di Cassa Depositi e Prestiti. Il FNI, oltre che da una parte dei flussi generati dalle misure sopracitate, verrà alimentato da un versamento annuale stabilito per legge, e corrispondente al 15% del ricavato dai dividendi delle partecipate statali. A questi flussi, evidentemente ricorrenti, viene aggiunta una dotazione iniziale di 400 milioni di euro come contributo di Cassa Depositi e Prestiti.
La somma di tutte queste misure, per chi ancora non l’avesse compreso, determina una rivoluzione copernicana nella creazione d’impresa italiana: si abbandona la via del debito, verso la quale erano state forzosamente ed indebitamente spinte le startup fino ad oggi attraverso il fondo di garanzia del MiSE ed i prestiti a medio termine di Invitalia Smart&Start, e si opera per decuplicare la massa di investimenti in VC operati nel paese, che tra il Fondo Nazionale per l’Innovazione e i soldi a leva che verranno scaricati sulle imprese, passerà velocemente ad almeno 2 Miliardi di euro di investimenti annui.
Ora servono gli investitori
Il collo di bottiglia, in questo scenario, diventano gli operatori del Venture Capital: i 15 micro VC esistenti non sono neanche lontanamente in grado di gestire ed investire ogni anno una simile massa, per cui la prossima mossa del Governo dovrà necessariamente passare per attrarre dall’estero un elevato numero di investitori internazionali di primo e secondo livello, in grado di portare nel paese quelle buone pratiche in grado di farci fare davvero il salto di qualità che gli imprenditori di questo paese attendono e meritano da troppo tempo.