Il principio della supervisione umana sulle decisioni dell’intelligenza artificiale va e andrà sempre più salvaguardato se non si vuole creare un ulteriore strumento in grado di portare alla fine dell’Umanità.
Non parliamo qui di scenari distopici ma ci chiediamo: è possibile prefigurarsi un futuro in cui la spinta del pensiero dell’uomo verso la conquista di spazi sempre più ampi di libertà perderà vigore in modo proporzionale rispetto allo sviluppo della tecnologia e dove l’essere umano cederà progressivamente una porzione delle proprie libertà e capacità ad un simulacro di se stesso (l’intelligenza artificiale), con conseguenti rischi di estinzione[1] o quantomeno di trasformazione in termini riduzionistici?
Lo sviluppo della tecnologia potrebbe determinare il regresso del genere umano sotto due profili differenti ma convergenti: da un lato si sta sviluppando l’ intelligenza artificiale capace di esercitare tutte le funzioni dell’uomo, che lascia però all’uomo l’esclusiva capacità creatrice derivante dal mondo irrazionale e l’esclusiva capacità di percepire la propria esistenza (coscienza di sé), dall’altro lato stanno progredendo le ricerche per rendere l’uomo più efficiente grazie al potenziamento dei suoi organi vitali.
Quest’ultimo aspetto è quello più rischioso per la sopravvivenza del genere umano, perché, anche se esso sembrerebbe condurre a un allungamento della vita e allo sviluppo di prestazioni superiori del corpo umano, in realtà potrebbe provocare la trasformazione artificiale (per via esogena) dell’uomo in un essere così diverso da quello attuale da non poter essere probabilmente più definito uomo.
Umano, trans-umano e e post-umano
In tale cornice si inserisce una parte della bioetica moderna che sta studiando i primi segnali di tale trasformazione che potrebbe avvenire lungo un percorso che vedrebbe l’human being mutarsi in un quid definito transhuman per poi giungere ad un quid definito posthuman[2].
Quest’ultimo termine si presta a numerosi equivoci perché sembrerebbe richiamare il concetto di Superuomo di Nietszche, ma in realtà il significato di posthuman è diametralmente opposto rispetto a quello elaborato dal filosofo tedesco.
Il posthuman dovrebbe essere qualcosa che nasce dalla applicazione di tecnologie avanzate che esaltano le funzioni dell’uomo, ma che allo stesso tempo imprigionerebbero l’essere che ne viene fuori in una serie di condizionamenti e di percorsi obbligati (dettati dalle tecnologie applicate) che ne depotenzierebbero le facoltà intellettive e ragionative fino quasi ad annientarle. Tale essere infatti sarebbe così potente sotto il profilo fisico (un superman?) che molto probabilmente avrebbe poca necessità di utilizzare le facoltà mentali per raggiungere determinati scopi. Un posthuman contro Polifemo molto probabilmente non avrebbe bisogno della astuzia di Ulisse per sconfiggere il ciclope.
Tutt’altra cosa è il Superuomo di Nietzsche, essere umano che senza alcun intervento esterno supera se stesso riuscendo a camminare sulla corda tesa sopra gli abissi grazie solo alle proprie capacità di affrontare la vita in tutti i suoi aspetti sia apollinei, sia dionisiaci. Il Superuomo è colui che dice un sì incondizionato alla vita in tutte le sue forme nascenti dal caso senza alcun timore di vivere i suoi molteplici lati imprevedibili. È dunque espressione della più ampia libertà e volontà di potenza che imprimono al divenire il carattere dell’essere, facendo percepire all’uomo il senso dell’eternità (eterno ritorno dell’uguale).
Ciò si collega alla concezione dell’Io nel pensiero di Fichte, secondo cui l’Io ha il compito infinito di togliere ciò che gli è assolutamente opposto, ossia ha il compito infinito di diventare Dio. A tale concezione dell’Io si avvicinano le forme allegoriche del Prometeo e del Faust, che sprigionano le proprie libertà e le proprie capacità genuine a autentiche (cioè senza innesti artificiali derivanti da tecnologie ante litteram) fino all’estremo coraggioso tentativo di avvicinarsi alla verità, l’uno mediante il furto del fuoco agli dei (fuoco da intendere quale arché di tutte le cose e quindi quale verità assoluta) e l’altro mediante un patto con Satana per conoscere ciò che attraversa tutte le cose generandole e tenendole unite nel Logos eterno.
Dunque, la storia dell’uomo sembrerebbe giunta ad un bivio: il rischio di generare un essere posthuman con conseguente probabile estinzione del genere umano o quantomeno sviluppo di una miniatura di essere umano ridotto ad una macchina multitasking, oppure l’alternativa di recuperare i valori umanistici che esaltano l’intelletto, la ragione e lo spirito dell’uomo e le sue facoltà creatrici, rendendolo capace di tendere realmente ad un miglioramento piuttosto che ad uno scivolamento verso la sua riduzione o autosoppressione.
Il rapporto tra etica e intelligenza artificiale
Un’importante ricaduta di questo ragionamento potrebbe consistere nell’analisi del rapporto fra etica ed intelligenza artificiale. Da diversi anni è stato introdotto il concetto dell’etica della tecnologia, ossia di un set di paradigmi o valori che il progresso tecnico e scientifico deve seguire per non costruire un progresso disumanizzato o peggio ancora non porre le basi per la distruzione dell’umanità.
Il XX secolo è stato il momento in cui l’uomo ha acquisito anche la capacità di autodistruzione. Fino ad allora aveva sempre la possibilità di creare grandi danni e tragedie, ma mai di attentare alla sopravvivenza dell’umanità. Le armi nucleari, le manipolazioni genetiche ed il progressivo degrado dell’ambiente costituiscono delle minacce alla sopravvivenza dell’umanità, minaccia che può assumere il volto di una guerra termonucleare, di un virus mutato letale rispetto al quale non abbiamo difesa, di un disastro ambientale che coinvolge l’intero pianeta.
Questo enorme potere ha posto le basi per la creazione di un’etica della tecnologia che deve tenere conto del principio di precauzione quando si rapporta con questi ambiti estremamente pericolosi, del principio dell’equità e delle pari opportunità, cioè del far sì che gli sviluppi tecnologici si inclusivi, facciamo diminuire le diseguaglianze e tengano conto anche dell’equità procedurale, del principio del massimo benessere sociale, ossia che ad uno sviluppo tecnologico debba corrispondere una massimizzazione del benessere sociale.
L’etica della tecnologia nel mondo attuale caratterizzato da un crescente peso dell’intelligenza artificiale deve evolversi verso una trans-etica della tecnologia che deve aggiungere nuovi pilastri a quelli precedentemente esposti che costituivano la struttura dell’etica della tecnologia. I nuovi valori sono l’alto score reputazionale che deve contraddistinguere le azioni e gli individui e la trasparenza nel senso che gli algoritmi e i processi devono essere conosciuti da tutti coloro che subiscono le conseguenze del processo decisionale.
Questi driver etici devono essere veicolati anche alle intelligenze artificiali, ipotizzando un’interazione uomo AI in cui sia sempre l’uomo a dettare le regole del gioco e la macchina sia un utile strumento per la risoluzione di problemi. Lo strumento tecnologico, quale può essere una macchina è eticamente neutro. Non è buono, né cattivo. Un drone dotato di AI può essere usato per l’agricoltura di qualità, ma anche per bombardare un ospedale.
Lo strumento raggiungerà nel modo più efficiente possibile il risultato che l’uomo gli ha impostato. Per evitare rischi occorre dunque che la macchina per quanto dotata di intelligenza artificiale sia sempre supervisionata dall’uomo perché, ad esempio, un’intelligenza artificiale non sarà mai in grado di cogliere, sulla base delle osservazioni che derivano dal suo sistema di sensori, la differenza sostanziale che esiste fra una bomba e i fuochi d’artificio. Questo task oggi è abbastanza semplice, diventerà sempre più difficile quando le capacità di calcolo e le potenzialità delle AI diventeranno molto superiori a quelle attuali, quando nasceranno le super intelligenze artificiali di cui oggi non possiamo ancora neanche intuire le capacità.
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- Sul tema dell’estinzione del genere umano è interessante un articolo pubblicato sul New York Times il 17 dicembre 2018, scritto da Todd May, Professor of philosophy at the Clemson University, in cui ci si chiede se effettivamente l’estinzione dell’uomo possa considerarsi una tragedia per il mondo o piuttosto una salvezza, considerato il confronto tra i valori e le opere dell’ingegno umano da un lato e la devastazione dell’ambiente e del mondo animale causata dall’uomo dall’altro (https://www.nytimes.com/2018/12/17/opinion/human-extinction-climate-change.html). ↑
- Bioethics and Transhumanism by Allen Porter The Journal of Medicine and Philosophy: A Forum for Bioethics and Philosophy of Medicine, Volume 42, Issue 3, 1 June 2017, Pages 237–260, https://doi.org/10.1093/jmp/jhx001 Published: 11 May 2017↑