giornalismo

Privacy, libertà d’espressione e diritto di cronaca: dopo il Gdpr, quali equilibri

Il bilanciamento degli interessi relativi al trattamento dei dati personali e all’attività giornalistica e dell’espressione accademica, artistica e letteraria è compito assai arduo. Se ne occupa l’art. 85 del Gdpr in attesa di un nuovo regolamento Ue che allinei la normativa che regolamenta l’attività giornalistica nella Ue

Pubblicato il 04 Apr 2019

Renato Goretta

Consulente GDPR - DPO

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Il diritto alla protezione dei dati personali non è un diritto assoluto, ma va applicato tenendo conto e bilanciando gli altri diritti in gioco. Tra questi, ad esempio, figurano il diritto alla libertà di espressione e di informazione e il diritto di cronaca.

A questo proposito, l’Art. 85 del Gdpr – rubricando queste fattispecie come specifiche situazioni – prevede esenzioni o deroghe a favore dell’attività giornalistica, ma anche a favore dell’espressione accademica, artistica e letteraria.

Perciò tali attività sono normalmente svincolate da alcuni limiti posti a tutela del trattamento dei dati personali. Le norme derogatorie previste si applicano a chiunque eserciti la libertà di manifestazione del pensiero (diritto tutelato come abbiamo visto dall’Art. 21 della Costituzione italiana) anche attraverso espressioni artistiche e letterarie, con gli adattamenti del caso.

Consapevoli della complessità e della vastità della materia ci limiteremo a parlarne, di seguito, “in punta di diritto”.

L’inquadramento della libertà di espressione nelle “leggi fondamentali” europee

In ambito europeo l’Art. 10 “Libertà d’espressione” della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) del 1950 stabilisce che «Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. Il presente articolo non impedisce agli Stati di sottoporre a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, cinematografiche o televisive» al comma 1 ma al comma successivo sancisce che «L’esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla Legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario».

La libertà d’espressione, sancita anche in ambito UE dall’Art. 11 della Carta europea dei diritti fondamentali (CDFUE o Carta di Nizza), è uno dei diritti che può entrare in conflitto con il diritto alla protezione dei dati personali. Tale diritto include al comma 1 dell’Art. 11 che «Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera.» e al comma 2 che «La libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati.».

Nella libertà di espressione e manifestazione del pensiero rientrano le deroghe per finalità giornalistiche – libertà di stampa – o di espressione accademica, artistica o letteraria, nella misura in cui esse siano strettamente necessarie.

La Corte europea dei diritti dell’uomo è intervenuta più volte nella materia della libertà di stampa precisando che per la corretta applicazione delle deroghe occorre che il fatto pubblicato dall’articolo rivesta un interesse generale, l’interessato sia un personaggio pubblico e occorre poter valutare oggettivamente come l’informazione sia stata ottenuta e se sia oggettivamente affidabile e documentabile.

Un altro criterio fondamentale è quello di stabilire se la forma di espressione oggetto di valutazione contribuisca o meno ad un dibattito di interesse generale.

Libertà di espressione e accesso civico

Nella libertà di espressione – come abbiamo detto – rientra anche il diritto a ricevere informazioni, quindi in termini generali l’accesso ai documenti. Oggi vi è, infatti, una crescente consapevolezza dell’importanza della trasparenza nel funzionamento degli organi di una una società democratica, per cui l’accesso ai documenti – cosiddetto accesso civico – in possesso della pubblica amministrazione è riconosciuto come diritto di tutti cittadini dell’Unione Europea.

Tale diritto è previsto dalla Convenzione 205 del Consiglio dell’Unione Europea sull’accesso ai documenti ufficiali, dal Regolamento n. 1049/2001 relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione, e anche da norme degli Stati membri, compreso, per il nostro Paese il cosiddetto Freedom of Information Act (FOIA) promulgato dal Consiglio dei Ministri con Decreto Legislativo n. 97 del 2016 “Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza, correttivo della Legge 6 Novembre 2012, n. 190 e del Decreto Legislativo 14 Marzo 2013, n. 33, ai sensi dell’Articolo 7 della Legge 7 Agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, è parte integrante del processo di riforma della pubblica amministrazione.

Cosa dice l’Art. 85 del Gdpr

Vale la pena di ricordare in apertura che l’Art. 85 GDPR è figlio dell’Art. 9 della Direttiva 95/46/CE “Trattamento di dati personali e libertà d’espressione” che sanciva «Gli Stati membri prevedono, per il trattamento di dati personali effettuato esclusivamente a scopi giornalistici o di espressione artistica o letteraria, le esenzioni o le deroghe alle disposizioni del presente capo e dei capi IV e VI solo qualora si rivelino necessarie per conciliare il diritto alla vita privata con le norme sulla libertà d’espressione.» recepito, prima dalla Legge 675/1996 “Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali” e poi trasfuso nel c.d. Codice della privacy (D. Lgs. 196/2003 “Codice in materia di protezione dei dati personali”.

L’Art. 85 titolato “Trattamento e libertà d’espressione e di informazione” afferma che «Il diritto degli Stati membri concilia la protezione dei dati personali ai sensi del presente regolamento con il diritto alla libertà d’espressione e d’informazione, incluso il trattamento a scopi giornalistici o di espressione accademica artistica e letteraria» e prosegue al secondo comma prevedendo, ai fini del trattamento effettuato con gli scopi di cui al comma 1, tutta una serie di esenzioni o deroghe qualora siano necessarie per conciliare il diritto alla protezione dei dati personali e la libertà d’espressione e di informazione – rispetto ai Capi: II (Principi); III (Diritti dell’interessato); IV (Titolare del trattamento e responsabile del trattamento); V (Trasferimento di dati verso paesi terzi o organizzazioni internazionali); VI (autorità di controllo indipendenti); VII (Cooperazione e coerenza); IX (Specifiche situazioni di trattamento di dati).

Quindi sette Capi su undici normando inoltre l’obbligo per ogni Stato membro di notificare alla Commissione le disposizioni di Legge adottate in merito alle esenzioni e deroghe e alle successive ulteriori modifiche. Qualora tali esenzioni o deroghe dovessero differire da uno Stato membro all’altro, dovrebbe applicarsi il diritto dello Stato membro cui è soggetto il Titolare del trattamento dei dati personali (Considerando 153).

Il medesimo Considerando raccomanda inoltre di interpretare in modo esteso i concetti relativi alla libertà d’espressione e di informazione sottolineando l’importanza del diritto alla libertà di espressione in tutte le società democratiche. Per altro, questa interpretazione è conforme alla giurisprudenza europea di riferimento (Corte EDU, 16 Dicembre 2008, Satakunnan Markkinapörssi contro Santamedia).

Quindi una delicata operazione di bilanciamento che dovrà introdurre esenzioni espresse o specifiche deroghe ai capisaldi del GDPR.

Diritto di cronaca e doveri del giornalista

Venendo specificatamente al diritto di cronaca, essendo essenziale per informare i cittadini al fine dell’esercizio della sovranità popolare (i cani da guardia della democrazia), in molti casi prevale sulla tutela dei dati personali.

Le disposizioni relative all’attività giornalistica (compreso i codici deontologici) si applicano al trattamento effettuato da: giornalisti professionisti, pubblicisti o praticanti giornalisti; lavoratori occasionali che svolgono attività finalizzata esclusivamente alla pubblicazione o diffusione di articoli, saggi e altre manifestazioni del pensiero come cineoperatori, artisti, letterati, accademici.

Dobbiamo altresì considerare che dal 3 Febbraio 2016 (aggiornato il 22 Gennaio 2019) è in vigore il “Testo unico dei doveri del giornalista“, nato dall’esigenza di armonizzare i precedenti documenti deontologici afferenti all’attività giornalistica che all’Articolo 4 “Regole deontologiche relative al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica” riporta «Nei confronti delle persone il giornalista applica le “Regole deontologiche relative al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica pubblicate, ai sensi dell’articolo 20, comma 4, del decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101 (Delibera n. 491)”», previste dal Decreto Legislativo 196/2003 e s. m. e i. sulla protezione dei dati personali, che fanno parte integrante del Testo unico dei doveri del giornalista al quale viene allegato.

Vale la pena di ricordare che le regole dei codici deontologici costituiscono vere e proprie norme secondarie (soft law) del sistema giuridico, in base alle quali anche i Giudici decidono della legittimità del trattamento di dati personali effettuato per finalità giornalistica o di manifestazione del pensiero.

Limiti e prerogative dell’attività giornalistica

Il trattamento di dati operato dal giornalista è sostanzialmente libero. Il giornalista può trattare e pubblicare anche dati particolari e giudiziari senza dover ottenere il consenso dall’interessato, purché ricorrano due essenziali requisiti:

Il giornalista è responsabile innanzitutto verso l’opinione pubblica, che ha il diritto di essere informata. Spetta quindi a lui valutare in prima battuta se la pubblicazione di “dati personali” è lecita o meno, rispettando i principi in materia di GDPR e la dignità della persona.

Il principio di essenzialità prevede che i dati pubblicati devono essere necessari rispetto alla notizia, quindi, l’interesse pubblico alla notizia non giustifica la pubblicazione di tutti i dati personali relativi a quella notizia. Il giornalista deve evitare artifici e pressioni indebite nel momento in cui raccoglie le informazioni e ambiguità – l’abusato dico ma non dico – nella redazione dell’articolo.

Nella valutazione della legittimità della pubblicazione della notizia è importante anche il “come” la notizia è stata cercata. Infatti, è nel momento in cui raccoglie le notizie, che deve fornire le informazioni (l’equivalente dell’informativa) agli interlocutori/interessati: identità, professione – il giornalista può non rivelare la propria professione se ciò può porre in pericolo la propria incolumità o lo svolgimento della funzione informativa – e finalità della raccolta delle informazioni. Tale presupposto deve essere valutato caso per caso, verificando se le modalità di raccolta e diffusione siano proporzionate rispetto allo scopo informativo perseguito e non altrimenti conseguibile.

Altra prerogativa dei giornalisti è la tutela del segreto professionale. Infatti, l’Articolo 200 “Segreto professionale” del Codice di procedura penale, e l’Articolo 138 “Segreto professionale” del Codice della privacy così come modificato dal D. Lgs. 101/2018, riconoscono il diritto del giornalista professionista iscritto all’Albo, di astenersi dal divulgare il nome delle fonti della notizia. Tuttavia, se le notizie sono indispensabili ai fini della prova del reato per cui si procede, e la loro veridicità può essere accertata solo attraverso l’identificazione della fonte della notizia, il Giudice ordina al giornalista di indicare la fonte. In tal modo si bilanciano i diritti in gioco, cioè la tutela della riservatezza dell’informatore e le esigenze di giustizia.

Esistono, inoltre, una serie di norme che prevedono obblighi specifici di riservatezza nell’esercizio dell’attività giornalistica. Ad esempio, è vietato pubblicare:

  • l’identità delle vittime di violenza sessuale (Art. 734 c.p.p. “Deliberazione della Corte d’Appello”, dove l’Art. 114, comma 6, c.p.p. “Misure coercitive e sequestro” vieta la divulgazione di elementi che anche indirettamente possano portare alla loro identificazione)
  • gli atti giudiziari coperti da segreto istruttorio (Art. 329 c.p.p. “Obbligo del segreto”, su questo vedi anche la posizione della CEDU)
  • i nomi di persone malate di Hiv
  • i nomi delle donne che interrompono la gravidanza
  • le generalità di minori coinvolti in procedimenti giudiziari (Art. 13 c.p.p. “Ricostruzione di atti”, e Art. 50 Codice della privacy così come modificato dal D. Lgs. 101/2018 “Notizie o immagini relative a minori)
  • il nome della donna che ha dato in adozione il proprio figlio dopo il parto chiedendo di non essere nominata.

Cronaca giudiziaria

Relativamente alla cronaca giudiziaria, un aspetto estremamente rilevante è l’interesse a garantire il controllo pubblico sull’operato delle Autorità giudiziarie e delle forze di polizia. Ciò comporta la soggezione a un regime di pubblicità degli atti processuali, delle udienze e dei provvedimenti di un Giudice con esclusione di atti e investigazioni soggette a segreto istruttorio.

Ovviamente per non incorrere in un illecito occorre sempre, a prescindere, che vi sia un interesse pubblico, che il fatto sia vero e l’esposizione abbia una forma civile. Nella pubblicazione di dati relativi ad arresti e condanne, il rispetto del principio dell’essenzialità dell’informazione è decisivo. Occorre infatti valutare attentamente quali sono i dati davvero rilevanti per il pubblico e limitarsi a pubblicare solo questi ultimi.

I nomi degli indagati e degli arrestati possono essere pubblicati se vi è un interesse pubblico e se non esistono specifici divieti di identificazione imposti dal Giudice, in particolare con riferimento alle vittime (es.: minori, vittime di violenza sessuale). Occorre comunque che la notizia sia stata lecitamente acquisita da una parte che ha già la legale conoscenza dell’atto. Il giornalista deve sempre valutare l’opportunità della diffusione dei dati personali, quando ci si trova in una fase iniziale del procedimento e rispettare il principio costituzionale di non colpevolezza, per cui sarà sempre necessario chiarire bene lo stato o il grado nel quale si trova il procedimento giudiziario.

A tal proposito, il Garante ha vietato la pubblicazione delle foto segnaletiche e la pubblicazione di immagini di persone con le manette ai polsi in considerazione dello stato del procedimento, mentre la diffusione dei nomi di persone condannate e dei destinatari di provvedimenti giurisdizionali si inquadra nel generale regime di pubblicità dei provvedimenti giurisdizionali, per cui potranno essere pubblicati i dati del condannato maggiorenne: l’identità, l’età, la professione, il capo di imputazione e la condanna irrogata dove risulti la verità dei fatti, la forma civile dell’esposizione e la imprescindibile rilevanza pubblica della notizia.

Il giornalista dovrà inoltre verificare di volta in volta se la pubblicazione dei dati identificativi del condannato può comportare l’identificazione dell’eventuale vittima del reato o di altre persone meritevoli di tutela e quindi rischi per questi soggetti. La scelta dei dati da pubblicare dovrà essere improntata a maggiore riservatezza nel caso in cui la vittima abbia subito conseguenze di carattere permanente sulla salute, fisica o psicologica, o quando si tratta di episodi di cronaca del passato anche per evitare il riproporsi della sofferenza patita.

Il giornalista dovrà anche tenere conto dell’eventuale volontà della vittima del reato, in merito alla non pubblicazione dei propri dati, in considerazione del fatto che è ammissibile opporsi per motivi legittimi alla pubblicazione.

Riguardo ai nomi di familiari e conoscenti di persone interessate da vicende giudiziarie, il giornalista dovrà generalmente astenersi dal diffondere nomi o dati di persone che non risultano coinvolte nelle indagini e che appaiano collegati ai protagonisti solo in ragione di precedenti relazioni o di mere circostanze di fatto.

Tecniche invasive, tutela del domicilio e intercettazioni

La normativa in materia cerca di bilanciare l’uso di tecniche aggressive (es.: il teleobiettivo) con la tutela dei diritti delle persone, e in particolare del domicilio e del luogo di residenza. Riprendere immagini all’interno di luoghi di privata dimora è vietato dalla Legge, in considerazione dell’inviolabilità del domicilio previsto dalla Costituzione (Art. 14 sull’inviolabilità del domicilio). L’Autorità Garante della privacy ha però ritenuto pubblicabili le foto riprese in luoghi liberamente osservabili dall’esterno.

Relativamente alla pubblicazione delle intercettazioni è del tutto evidente che essa può avere un impatto pesante sulla privacy delle persone, in particolare se si tratta di soggetti estranei alle cronache pubbliche. I giornalisti sono tenuti a selezionare il materiale da pubblicare alla luce del principio di essenzialità dell’informazione, evitando riferimenti a persone non interessate ai fatti giudiziari e comunque garantendo sempre la dignità delle persone. Insomma, occorre valutare l’interesse pubblico dei singoli dettagli dell’informazione, non della vicenda nel suo complesso in continuo bilanciamento con i diritti dell’interessato.

Per quanto riguarda le persone note al pubblico, o che rivestono una posizione di particolare rilevanza sociale o pubblica, è evidente che abbiano una tutela ridotta della privacy, ma comunque deve essere rispettata la loro sfera privata con riferimento ai dati che non hanno alcun rilievo sul loro ruolo o sulla loro vita pubblica.

Il Garante ha pubblicato un provvedimento generale che riepiloga i limiti posti dalla Legge e dal Codice deontologico alla pubblicazione di intercettazioni (Provvedimento Autorità Garante trattamento dei dati personali del 21 Giugno 2006 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 147 del 27 Giugno 2006).

Il Provvedimento fa una premessa. Considera che «dagli atti al momento disponibili […] non risulta comprovato che le più recenti pubblicazioni giornalistiche delle predette trascrizioni siano avvenute violando il segreto delle indagini preliminari o il divieto di pubblicare atti del procedimento penale […]».

È una premessa importante, in quanto fa luce su ciò che in molti ambienti non è chiaro: nel corso delle indagini preliminari, un’intercettazione non è più considerata segreta dal momento in cui viene portata a conoscenza dell’indagato tramite l’avviso di deposito dei relativi verbali presso la segreteria del Pubblico Ministero. Da quel momento il relativo contenuto può essere divulgato, poiché «È sempre consentita la pubblicazione del contenuto di atti non coperti dal segreto.» (Art. 114, comma 7°, c.p.c.).

Il vero problema, quindi, non sta nella divulgazione di notizie che a norma di Legge dovrebbero rimanere segrete ma nella divulgazione di fatti privati, come tali privi di un obiettivo interesse pubblico. Questo per altro potrebbe essere oggetto di reclamo o esposto all’Autorità garante per il trattamento dei dati personali o alternativamente al Giudice ordinario.

Tutela dei minori

Il Codice deontologico dei giornalisti (Art. 7 “Tutela dei minori”), nell’affermare che «il diritto del minore alla riservatezza deve essere sempre considerato come primario rispetto al diritto di critica e di cronaca», prevede un generale principio di preminenza dell’interesse del minore. Analogo principio è scolpito nella Carta europea dei diritti dell’uomo.
È comunque affidata al giornalista la responsabilità di valutare quando, in presenza di motivi di rilevante interesse pubblico e fermo restando i limiti di Legge, la pubblicazione di notizie o immagini riguardanti il minore sia davvero nell’interesse oggettivo dello stesso minore.

In tale prospettiva, in Garante ha precisato che «non devono essere diffuse informazioni che possano consentire direttamente l’identificabilità del minore», principio già previsto dalla Carta di Treviso (La Carta di Treviso è un protocollo firmato il 5 Ottobre 1990 da Ordine dei giornalisti, Federazione nazionale della stampa italiana e Telefono azzurro con l’intento di disciplinare i rapporti tra informazione e infanzia) e ora dal Codice deontologico già richiamato. L’identificabilità deve essere intesa non in senso meramente formale, per cui è illecito oscurare il nome del minore se poi si diffondono dati dei familiari tali da consentirne l’identificazione indiretta anche solo localmente.

Di contro deve ritenersi del tutto lecita la pubblicazione di immagini, non oscurate, del minore ritratto in luoghi pubblici insieme ai genitori in situazioni tranquille e positive per lo stesso. Non essendoci pericolo per lo sviluppo del minore non c’è necessità di oscurarne il volto. Purché, ovviamente, le immagini siano state acquisite in modo corretto e il minore stesso o i suoi genitori non si siano successivamente opposti alla pubblicazione.

Diritto all’oblio

Nell’attuazione del diritto all’oblio (Art. 17 GDPR “Diritto alla cancellazione” c.d. Diritto all’oblio) – anch’esso assoggettato a esenzioni o deroghe, anche in questo caso significative – occorre tenere distinte le varie ipotesi sempre in considerazione di quello che deve essere un preminente interesse, quello pubblico. Quindi nel caso di riproposizione di informazioni personali in ambito giornalistico a distanza di tempo il giornalista deve sempre valutare il permanere dell’interesse pubblico alla notizia, con riferimento al personaggio, quindi tenendo conto del suo ruolo, pubblico o meno.

Mentre, la ripubblicazione di vecchi articoli contenenti dati personali in archivi storici giornalistici messi a disposizione online comporta un mutamento della finalità. Dalla finalità giornalistica si passa ad una storica o statistica (che se riguarda dati anonimi o anonimizzati è libera), di documentazione o di ricerca, ecc.

Il problema principale è che a distanza di tempo le informazioni contenute negli archivi potrebbero essere diventate inesatte. Il Garante ha ottenuto che le informazioni presenti in detti archivi non siano consultabili attraverso i normali motori di ricerca generalistici, ma solo attraverso i motori di ricerca interni all’archivio (c.d. web tool box).

Concludendo la disamina relativa all’Art. 85 GDPR e al necessario bilanciamento degli interessi fra quelli relativi al trattamento dei dati personali e quelli relativi all’attività giornalistica e dell’espressione accademica, artistica e letteraria l’auspicio è quello che il legislatore europeo ponga fine, tramite un nuovo Regolamento dedicato alla professione, al disallineamento normativo riguardante la normativa che regolamenta l’attività giornalistica nei vari Stati membri della UE.

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