società digitale

Nella società globale, anche il male è globale e Parigi diventa Mumbai

Più che di analogie con gli attentati del 26 novembre 2008 a Mumbai possiamo parlare di un’importazione nel cuore dell’Europa di una collaudata strategia del terrore. Un quadro in cui le piattaforme tecnologiche hanno un ruolo in entrambi i sensi. Vediamo come

Pubblicato il 16 Nov 2015

Nicola Strizzolo

docente associato Sociologia Università di Teramo

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Lo stadio De France di Parigi ha un buona via di accesso e di fuga: un ponte pedonale che porta ad un parco davanti ad un quartiere attraversato da vie che sboccano in una strada più grande di facile percorrenza, luogo ottimo per disperdersi o per rintanarsi tra le case nella peggiore delle ipotesi.

Le petit Cambodge è un ristorante sulla Rue Alibert, ad un incrocio con 5 vie, su un piano con ampie vetrate, sparando da fuori si possono fare molte vittime.

Di fronte c’è Le Carillon, ristorante dove invece le finestre sono chiuse: se le persone escono per gli spari dalla porta le si possono facilmente colpire con il minimo spostamento, altrimenti entrando nel locale non hanno vie di fuga.

Da lì vi sono 3 percorsi, due di 7 minuti uno di 6, a piedi, per raggiungere la pizzeria La casa nostra che a sua volte offre 8 vie di fuga possibili.

Non conosciamo Parigi così bene, ma abbiamo ripercorso con la funzione Earth di Google Maps le prime mosse degli attentatori a Parigi, ottenendo immagini esterne ed interne degli obiettivi, panoramiche a 360 gradi, mappe dettagliate su come meglio raggiungere ed evacuare la zona.

Ma soprattutto abbiamo fatto quello che è già stato fatto a Mumbai nel 2008: abbiamo studiato attraverso Google Earth il territorio per un attentato (noi a posteriori) come hanno fatto i terroristi in preparazione della serie di attentati che misero a ferro e fuoco il centro finanziario dell’India con 10 attacchi simultanei che causarono 195 vittime e 300 feriti.

Furono colpiti la stazione, hotel e un centro di studio ebraico. Obiettivo principale gli stranieri britannici e statunitensi (cittadini di paesi impegnati in Afghanistan).

La rivendicazione, mediante posta elettronica ad agenzie di stampa, fu fatta da parte di un gruppo di Mujahideen non molto noto, l’attentato è stato poi accreditato ad al-Qaeda.

Più che di analogie potremmo parlare di un’importazione nel cuore dell’Europa di una collaudata strategia del terrore.

Il termine stesso di cyber terrorismo non è nuovo, eppure sembrano sorprenderci le ragazze fermate ai confini in procinto di arruolarsi nell’Is: I tradizionali metodi terroristici di propaganda, di reclutamento, formazione e azioni implicano alti costi e alti rischi. Le ICT hanno abbattuto entrambi. Ideologi e jihadisti hanno abbracciato il medium come primaria piattaforma per l’organizzazione delle loro campagne del terrore – effettivamente usandole per aumentare la percezione di vulnerabilità e per promuovere la loro retorica di una comunità globale. Di fatto, Internet è diventata una base per la formazione di jihadisti ufficialmente sostenuta da leader terroristi [Britz 2011].

In Internet, terroristi ed estremisti di ogni nazione e ideologia reclutano, diffondono materiale, organizzano azioni, divulgano manuali per la fabbricazione di ordigni e di veleni, per il loro utilizzo [Wall 2007] e per l’uso di armi, pubblicizzano le loro gesta attraverso filmati di uccisioni che inviano anche alle testate giornalistiche, fanno controinformazione divulgando azioni discutibili delle forze loro nemiche non diffuse dai mezzi di comunicazione mainstream [Yar 2006; Britz 2011]

Per mezzo di Internet si sono attivati network in grado di mutare con eventi drammatici il corso della storia, permettendo: la segretezza delle cellule coinvolte, la pianificazione dei voli, l’acquisto dei biglietti aerei per l’11 settembre; altrettanto si può dire per l’attacco alla rete metropolitana di Londra del 7 luglio 2005 [Strizzolo 2012].

Se per Parigi le rivendicazione dell’attentato sono avvenute via twitter, anche le risposte della società civile sono state immediate e tecnologiche: su twitter, l’hashtag ha raccolto la disponibilità ad offrire rifugio nelle case per le persone in fuga dalle sparatorie; è partito il Security Check di FaceBook che rintraccia le persone che potrebbe essere coinvolte geograficamente in disastri e che avvisa la rete della loro incolumità; Google ha offerto gratuitamente il servizio di comunicazione di hangouts per raggiungere la Francia; twitter ha attivato il suo tool Moments per aggiornare in tempo reale sugli avvenimenti in corso, attraverso le testimonianze dirette, coprendo le notizie con rapidità maggiore rispetto a grandi network TV; Banjo ha condiviso le foto delle persone che erano sul luogo degli eventi durante il loro accadimento [Francesco Marino].

Non c’è purtroppo da stupirsi della fragilità di fronte a questi attacchi di società basate sulla globalizzazione, sulla libertà di movimento, sulla comunicazione e pertanto aperte: il male è sempre esistito e rendendo il mondo un villaggio globale, non possiamo illuderci della non condivisione delle piaghe che affliggono una parte di umanità sempre a noi più vicina, piaghe visibili e che sentiamo, in maniera unita e condivisa, come non accettabili quando colpiscono i nostri.

Riferimenti

Francesco Marino, http://www.digitalic.it/wp/web-social/internet/attentati-a-parigi-cosa-stanno-facendo-facebook-google-twitter-e-banjo/93492

Britz M.T. (2011), “Terrorism and Technology: Operationalizing Cyberterrorism and Identifyng Concepts”, in Holt T.J (a cura di) (2011), Crime On-line. Correlates, Causes, and Context, op. cit., pp. 193-219.

Nicola Strizzolo, Criminalità informatica in Cipolla Costantino (a cura di, 2012,), La devianza come sociologia, Milano, Franco Angeli.

Wall D.S. (2007), Cybercrime, Polity Press, Cambridge, UK.

Yar M. (2006), Cybercrime and Society, Sage, London.

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