Il Governo trascura le competenze digitali: come rimediare

Dal Desi 2016 la situazione italiana sulle competenze digitali si mostra disastrosa e non ci sono azioni di sistema che la stiano affrontando con l’adeguato commitment politico. Una task force può essere il primo passo per la soluzione. Ecco come

Pubblicato il 31 Mar 2016

competenze-140228140124

La rilevazione 2016 del DESI (Digital Economy and Society Index) ci ha mostrato una realtà disastrosa ed evidente: l’Italia è regredita all’ultimo posto in Europa per quanto riguarda l’indice composito sull’utilizzo di Internet e con il 43% della popolazione tra 16 e 74 anni con competenze digitali almeno basiche o superiori stiamo peggio della gran parte dei Paesi della UE e oltre dieci punti percentuali sotto la media europea. Non a caso Agid sottolinea come dal DESI emerga che “uno degli interventi strategici più urgenti per accelerare il processo di trasformazione digitale del nostro paese è quello di ridurre il gap in termini di competenze digitali”.

La situazione

Del rapporto DESI sull’Italia credo siano da sottolineare due passaggi, che in qualche modo devono suggerire priorità, urgenza e impatto delle iniziative necessarie:

  • il primo è quello in cui si afferma che “l’Italia non può sperare di cogliere pienamente i benefici dell’economia digitale finchè un terzo della popolazione si tiene lontano dall’utilizzo regolare di Internet”;
  • il secondo è quello che mette in relazione le scarse competenze digitali con lo scarso livello medio di istruzione “la causa maggiore di questa mancanza di competenze digitali è da ricercare nel basso livello di istruzione (i due sono altamente correlati) della popolazione italiana (solo il 42% della popolazione ha un livello di istruzione superiore a quello della secondaria inferiore, il quarto livello più basso nell’UE28), e con una percentuale importante sulla popolazione più anziana”.

La correlazione tra basso livello di istruzione e basso livello di competenze digitali è non solo ovvia ma evidente anche a livello regionale, dove le percentuali vedono una differenza importante tra Nord, Centro e Mezzogiorno (anche per più di dieci punti percentuali).

Ma se la situazione è questa, è difficile pensare che senza interventi mirati si possa intraprendere con sufficiente rapidità un percorso di miglioramento che riporti il livello delle competenze digitali della popolazione a una proporzione adeguata.

Né bastano gli investimenti e gli sforzi in atto in ambito scolastico, soprattutto con il Piano Nazionale Scuola Digitale, che certamente creano le migliori condizioni per l’Italia del 2030, ma ben poco possono influire sulla situazione dei prossimi anni.

E non bastano nemmeno azioni indirizzate a incentivare fenomeni di punta e di avanguardia, se allo stesso tempo non si mettono in piedi azioni di sistema per lo sviluppo delle competenze digitali, a partire da quelle di base. Le stesse iniziative di innovazione nel mondo lavorativo, come quelle che sono in atto, a livello legislativo, in tema di lavoro agile, rischiano di non avere nessun effetto significativo, per mancanza di competenze adeguate sia dei lavoratori sia dei manager delle organizzazioni.

Credo che il problema delle competenze digitali sia da affrontare:

  • con interventi diretti e mirati, non si risolve per influenza da altri fattori, ma anzi è in grado di effettuare influenza negativa (la scarsa competenza è tra le maggiori cause di ritardo nell’uso della banda larga dei territori che sono coperti);
  • in modo sistemico sia rispetto al tema della formazione e delle competenze funzionali sia rispetto agli ambiti di vita e di lavoro;
  • in un quadro organico che correla competenze di base, specialistiche, per il lavoro, di e-leadership, come nel modello messo a punto con il coordinamento di Agid nel 2014.

La disattenzione del Paese e della politica rispetto a questi temi è altissima. Con poche eccezioni, quando si tratta di iniziative per la trasformazione digitale (in cui comunque l’Italia è in ritardo, anche se dentro un percorso di miglioramento) il tema delle competenze non è affrontato, o citato solo a corredo, come se sempre qualcun altro dovesse provvedere, o se potesse avere una evoluzione “fisiologica”.

Cosa fare

Credo sia utile chiedersi, allora, come agire per sperare di ottenere risultati concreti in tempi brevi per questa che è una delle principali emergenze del Paese: penso siamo tutti consapevoli che con questo livello di competenze digitali è irrealizzabile qualsiasi prospettiva di crescita, di cui è naturalmente condizione necessaria ma non sufficiente.

Penso che si possano porre alcuni elementi di attenzione sui vari livelli di azione:

  • politiche e programma – un’azione forte e incisiva deve essere innanzitutto organica e sistemica. Ferme restando le specificità sui diversi ambiti (scuola, università, imprese, settore pubblico, …), è indispensabile non solo una visione organica, ma anche un programma di sistema, recuperando e consolidando quanto fin qui portato avanti con il programma per le competenze digitali da parte di Agid;
  • governance – occorre stabilire che questa è una priorità politica strategica e che quindi l’indirizzo deve essere definito, organicamente, a livello di coordinamento interministeriale. In altri termini, bisogna rispondere alle questioni: chi è il process owner politico? Come si coordinano gli altri attori? Forse l’attuale ministro delegato per l’Innovazione (il Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione) non può giocare un ruolo così pervasivo sulla società italiana e sulle azioni dei diversi Ministeri. Dovrebbe assumere il ruolo un delegato diretto del Presidente, capace anche di rapportarsi in modo efficace con le Regioni, che a livello operativo, all’interno della Commissione Agenda Digitale, hanno riconosciuto un ambito specifico per le competenze;
  • coordinamento operativo – abbiamo la grande opportunità dei fondi europei, da sfruttare al massimo, e le Regioni si stanno strutturando con i Centri per le Competenze Digitali. La grande opera fin qui portata avanti da Agid dovrebbe essere accompagnata con un’organizzazione operativa che faccia da soggetto attuatore degli indirizzi politici, armonizzando gli sforzi dei ministeri, del settore privato, degli enti territoriali. Con obiettivi comuni, chiari, misurabili, condivisi, partendo da quelli espressi nella Strategia 2016 della Coalizione per le competenze digitali;
  • metodoDigcomp ed e-CF sono modelli riconosciuti a livello europeo e con applicazioni significative anche nel nostro Paese (soprattutto sul fronte dei profili professionali ICT basati su e-CF). L’e-leadership vede uno sforzo interessante di modellazione e applicazione soprattutto, ma non solo, in ambito di pubblica amministrazione (vedi ad esempio il recente MOOC realizzato da FormezPA). Digcomp è il modello utilizzato per la rilevazione del DESI sulle competenze digitali di base. Per avviare rapidamente iniziative di sviluppo dobbiamo utilizzare le linee guida già presenti e in corso di aggiornamento da parte di Agid, basarci su questi modelli e condividere le esperienze di attuazione, in regime permanente di co-progettazione e co-produzione, tra tutti gli attori pubblici e privati.

Questi sono solo alcuni spunti, ma è sempre più urgente e necessario uno scatto in questa direzione, agendo in stretta correlazione con i programmi di sviluppo sul digitale e con interventi di switch-off. Si potrebbe partire dall’istituzione di una task force (interministerale e con presenza degli enti territoriali) presso la Presidenza del Consiglio, che definisca gli obiettivi da raggiungere (tra quanti anni vogliamo essere a livelli di media europea?) e come, in una sorta di masterplan da cui possano derivare e raccordarsi le iniziative operative, in parte, ma solo in parte, già in atto.

Perché una task force specifica? Per spingere ad un’azione organica da definire in tempi brevi. Per non continuare a pensare che sia un tema da confinare nell’ambito del tecnologico, di nicchia e accessorio. Per non pensare che sia un tema collaterale alla “digitalizzazione” e che, dopotutto, può essere ovviato da una buona e sempre più florida intermediazione. Per rendere evidente che su questo tema ci si gioca non tanto e non solo la “faccia”, ma il futuro.

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

EU Stories - La coesione innova l'Italia

Tutti
Iniziative
Video
Analisi
Iniziative
Parte la campagna di comunicazione COINS
Interviste
Marco De Giorgi (PCM): “Come comunicare le politiche di coesione”
Analisi
La politica di coesione europea: motore della transizione digitale in Italia
Politiche UE
Il dibattito sul futuro della Politica di Coesione
Mobilità Sostenibile
L’impatto dei fondi di coesione sul territorio: un’esperienza di monitoraggio civico
Iniziative
Digital transformation, l’Emilia-Romagna rilancia sulle comunità tematiche
Politiche ue
Fondi Coesione 2021-27: la “capacitazione amministrativa” aiuta a spenderli bene
Finanziamenti
Da BEI e Banca Sella 200 milioni di euro per sostenere l’innovazione di PMI e Mid-cap italiane
Analisi
Politiche di coesione Ue, il bilancio: cosa ci dice la relazione 2024
Politiche UE
Innovazione locale con i fondi di coesione: progetti di successo in Italia
Iniziative
Parte la campagna di comunicazione COINS
Interviste
Marco De Giorgi (PCM): “Come comunicare le politiche di coesione”
Analisi
La politica di coesione europea: motore della transizione digitale in Italia
Politiche UE
Il dibattito sul futuro della Politica di Coesione
Mobilità Sostenibile
L’impatto dei fondi di coesione sul territorio: un’esperienza di monitoraggio civico
Iniziative
Digital transformation, l’Emilia-Romagna rilancia sulle comunità tematiche
Politiche ue
Fondi Coesione 2021-27: la “capacitazione amministrativa” aiuta a spenderli bene
Finanziamenti
Da BEI e Banca Sella 200 milioni di euro per sostenere l’innovazione di PMI e Mid-cap italiane
Analisi
Politiche di coesione Ue, il bilancio: cosa ci dice la relazione 2024
Politiche UE
Innovazione locale con i fondi di coesione: progetti di successo in Italia

Articoli correlati