Il dottor Annthok Mabiis ha annullato tutte, o quasi, le memorie connesse della galassia per mezzo del Grande Ictus Mnemonico. “Per salvare uomini e umanidi dalla noia assoluta” perché le memorie connesse fanno conoscere, fin dalla nascita, la vita futura di ciascuno, in ogni particolare. La Memory Squad 11, protagonista di questa serie, con la base di copertura su un ricostruito antico bus rosso a due piani, è incaricata di rintracciare le pochissime memorie connesse che riescono ancora a funzionare. Non è ancora chiaro se poi devono distruggerle o, al contrario, utilizzarle per ricostruire tutte quelle che sono state annientate, se devono cioè completare il lavoro del dottor Mabiis o, al contrario, riportare la galassia a “come era prima”.
“Rotoleranno”.
“Prendetevi una serata libera agenti… ve la meritate.!” La comandante Akila Khaspros affastellava pensieri nella propria bonomia. Si liberava una serata sguarciata. Scese dal bus rosso a due piani, sede di copertura della Memory Squad 11. Fermo a prender fiato. Col colosso a vista. Tre secoli e mezzo d’età. Spalti sempre gremiti. Li portava bene.
Gli agenti dispersero verso la metropoli. Appollaiata sul fiume. Risparmiata sulle colline. Sconsolata sulle spiagge. La comandante s’ingorgava nei fiumi di dadomani in arrivo dal Pianeta e dalle colonie astrali vicine. La seguiva invisibile. Un impermeabile nocciola. S’imbambolava di spintoni. S’adorava di voci. Seguiva i richiami. Non suoi, non per lei. Rimbalzava i sussurri di scommesse, contro sé stessa. Come sempre. Akila lo cercava. Lo sguardava. Non lo trovava. Rantolava la sua solitudine. A comporre la folla. La seguiva invisibile. Un impermeabile nocciola.
Prima dei dadi la partita. Come da rito consolidato. Le due squadre allargate. Quelle da 17. Schierate. Gli inni mai dimenticati della storia d’un tempo. Lo stadio a sguarciagola. Il fischio d’inizio. Ottanta minuti di fila. Centoventimila a guidare i trentaquattro robocalciatori. Metà stadio contro metà stadio. Akila si distraeva un poco. Ma pensava a dopo. All’incontro a dadi.
Lo stadio imponeva la pioggia a dirotto. Poi la grandine. L’erba azzollava. Lo stadio guidava il vento. Spirava dalla porta perdente. Lo giravano da quella vincente. Il vento inzaccherava. Lo stadio esigeva una breve bufera di neve. “Lo stadio esagera sempre!” squaqquerava Akila. Vinceva il Ba. 14-9.
Ora i dadi rotolavano. I dadi fiereggiavano. Sbandavano. Assolavano. Annottavano. Scrocchiavano. Cloccavano. Scontravano. Respingevano. Immensi. Rotolavano sul verde ammaccato. Dilaniato. Sfregiato. I numeri assommavano. I numeri vincevano. Perdevano. Deliravano. Squassavano. Annichilivano. Stralunavano. Assuefavano. Schiavizzavano. Svuotavano. Riscuotevano. Assassinavano.
Le stelle perforavano la volta. Nera. Le bandierine discutevano le scommesse. Le urla riscuotevano le promesse. Le facce assommavano le esistenze. Le braccia strattavano. I piedi percuotevano. Le braccia pugnavano. L’arbitro silenziava il delirio.
Akila annotava. Statisticizzava. Algoritmava. Verificava. I dadi e la loro intelligenza. Lo stadio li sbandava. Li torceva. Li svoltolava. Li abbrancava. Akila capiva. Funzionavano con due memorie connesse. Akila provò la presa. Lui la seguiva invisibile. Un impermeabile nocciola.
Akila fiutava l’occasione. Fuori servizio. Fuori comando. Fuori compenso. Con memorie connesse a portata di mano. Akila aspetta il rotolio dei dadi. Lo stadio si piegava per piegarli. Lo stadio si accaniva per voltarli. Akila intercetta la piega. Dove le memorie connesse si esibivano.
La comandante Akila Khaspros afferrava. Stringeva sfamata le memorie connesse. Il pollice e l’indice strepitavano.
Lui la seguiva invisibile.
Il vento sfollava il bavero. Nocciola.
Lui agguantava le memorie.
Akila perdeva.
Con quei due dadi, dalle sette facce.
(114 – continua la serie. Episodio “chiuso”)