tecnologia e geopolitica

Cina e innovazione, la corsa per la leadership mondiale passa (anche) dall’Italia: ecco i rischi e le opportunità

Il rapporto privilegiato che l’Italia sembra aver avviato con la Cina presenta rischi e opportunità, ma va sempre considerato nel complesso scenario geopolitico attuale, che vede l’innovazione tecnologica come leva per la leadership globale. Ecco perché l’Europa non può non presentarsi unita alla sfida

Pubblicato il 20 Mag 2019

Domenico Marino

Università Degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria

Pietro Stilo

Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria

Italian premier Giuseppe Conte (R) shakes hands with Chinese President Xi Jinping during their meeting at the Villa Madama in Rome, Italy, 23 March 2019. President Xi Jinping is in Italy to sign a memorandum of understanding to make Italy the first Group of Seven leading democracies to join China's ambitious Belt and Road infrastructure project. ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

La presenza cinese, in Europa e nel nostro paese, passa anche e forse soprattutto dalla sfida tra Cina e Stati Uniti per la supremazia mondiale nel campo delle tecnologie innovative ed emergenti.

Ed è questa solo la punta dell’iceberg di un confronto molto più ampio e complesso per la leadership globale che vede contrapposte le due potenze egemoni, una emergente e l’altra calante, in una sfida non solo per l’innovazione e l’economia, ma anche per la geopolitica mondiale.

Vediamo qual è il quadro della situazione e quali sono i rischi e le opportunità per l’Italia, che con la Cina sta instaurando un rapporto privilegiato.

Innovazione tecnologica, la corsa della Cina per leadership globale

Chi dominerà l’Intelligenza artificiale dominerà il mondo aveva sostenuto qualche tempo fa Vladimir Putin in una sua intervista, affermando implicitamente (ma non troppo) che la vera sfida per essere egemoni nel XXI° secolo passa per l’innovazione tecnologica.

Il leader cinese Xi Jinping, sembra averlo preso in parola, se ha più volte ribadito che per Pechino è fondamentale emergere in tale ambito, tanto è vero che la Cina negli ultimi anni ha aumentato in maniera sproporzionata l’investimento in tali settori. Infatti ha speso in R&S molto di più degli Usa (che attualmente rimangono però il paese a più alto tasso di innovazione al mondo). Si pensi che nel solo ambito dell’IA ha depositato circa 30.000 nuovi brevetti nell’anno appena trascorso. Il Dragone rosso sta investendo anche nelle nanotecnologie, così come nelle smart city (sempre più megacities) ed ha annunciato un investimento di oltre 400 miliardi di dollari, spalmato nei prossimi 10 anni, per innovare i sistemi di comunicazione con la nuova tecnologia 5G, della quale si avvia ad essere ormai essere la leader assoluta a livello mondiale.

Tutto ciò sta suscitando preoccupazione ed attenzione in Occidente, non solo negli Usa, ma anche in Europa, poiché forti sono gli investimenti nel settore digitale da parte di colossi come Huawei partecipati dallo Stato cinese. I successi della ricerca cinese stanno portando buoni risultati anche nella tecnologia blockchain che è alla base delle criptomonete, ma è utilizzabile in tantissimi altri settori, un successo viene anche dallo sviluppo della ricerca nel settore dell’informatica quantistica.

Le aziende cinesi del campo digitale sono molto presenti in Europa, dove operano, investono e acquistano imprese innovative. Un settore quello del digitale e delle innovazioni in generale che è fortemente sostenuto dal governo di Pechino, infatti l’elenco delle iniziative e dei progetti governativi a sostegno di tale politica dell’innovazione sono numerosi, tra essi: la Strategia di Informatizzazione Nazionale (2016-2020) che ha l’obiettivo di creare una “Via delle seta digitale”.

Quindi, come si può evincere da tale ragionamento, emergono 2 dati importanti:

  • La sfida cinese all’Occidente passa per l’innovazione e per le nuove tecnologie delle quali il 5G è solo l’esempio più conosciuto,
  • la presenza della mano dello Stato nell’economia cinese è un dato di fatto acclarato e probabilmente può costituire un elemento di vantaggio competitivo dell’economia cinese nei confronti dell’Occidente, ma anche nello stesso tempo un limite all’espansione di una vera economia di mercato.

L’occidente fatica a stare al passo coi ritmi cinesi

Un Occidente che sembra far fatica ad inseguire il colosso asiatico che in pochi anni ha anche aumentato fortemente il numero di startup innovative, che ha tra le sue imprese innovative alcune delle importanti al mondo sia per capitalizzazione, che per capacità innovativa e per produzione di brevetti. Da ciò deriva la necessità di rilanciare un’alleanza tra Europa e Usa in ambito digitale e delle tecnologie emergenti, tra imprese innovative e ricerca universitaria per poter riaffermare la leadership globale di un vecchio mondo che ormai sembra perdere colpi rispetto alle economie emergenti.

Questo scenario ripropone, anche se con aspetti differenti il tema dominante della geopolitica del XX secolo e cioè il confronto non solo militare fra Stati Uniti e Unione Sovietica che si estendeva anche al campo economico con il confronto fra un’economia di mercato di tipo capitalistico e un’economia pianificata.

Statalismo vs libero mercato

Nel nuovo scenario competitivo mondiale l’economia cinese sta giocando il ruolo dell’outsider che mira contendere la supremazia agli Stati Uniti, all’Europa e al Giappone. E la sfida è tra un’economia a forte trazione statale rispetto ad un’economia di mercato. Si ripropone il confronto fra sistemi economici del XX secolo, ma con aspetti completamente diversi.

L’economia occidentale non è molto diversa da quella del secolo scorso, ma l’economia cinese è diversa dall’economia sovietica, perché pur essendo un’economia molto con forte controllo da parte dello Stato non è una vera e propria economia pianificata. È una economia che ha iniziato da tempo la sua transizione verso un’economia di mercato e che costituendo un quinto della popolazione mondiale, rappresenta il più grande mercato potenziale al mondo.

Un paese la Cina che presenta ancora fortissimi squilibri territoriali, ma che nelle aree più avanzate è già in grado di competere alla pari con le economie occidentali. È un’economia ricca di contraddizioni, ma vitale e con margini di crescita che le economie occidentali non hanno più. I due modelli economici sono già entrati in rotta di collisione, le politiche protezionistiche americane sono il primo segnale di quella guerra economica che rischia di scoppiare e tenere la scena dei prossimi dieci anni.

Rischi e opportunità della posizione italiana

L’Italia è stata scelta come partner privilegiato nell’area europea, anche per la posizione geopolitica nel Mediterraneo che ne fa naturalmente la porta dell’Europa per i traffici sulla direttrice Est-Ovest. La scelta dell’Italia di avere delle relazioni più forti con la Cina ha creato una frattura sia con l’Europa, sia con gli Stati Uniti.

È una situazione questa che presenta rischi ed opportunità.

Il rischio è di trovarsi emarginati dalle scelte geopolitiche dei paesi europei e degli Stati Uniti e, quindi, troppo esposti rispetto al potere economico della Cina.

L’opportunità è quella di penetrare per primi un mercato fra i più promettenti al mondo. Separare, però, il proprio destino da quello degli altri paesi occidentali può essere un errore che può avere forti ripercussioni politiche.

L’Italia non può sostenere una politica di differenziazione dagli altri paesi europei nei rapporti con i cinesi, perché ne verrebbe velocemente fagocitata. Non abbiamo più un vantaggio tecnologico, le misure protezionistiche sarebbero un danno e abbiamo un mercato domestico troppo piccolo per non essere fagocitati.

Nell’Arte della Guerra viene riportata una massima che recita: “il più grande condottiero è quello che vince senza combattere”. Gli accordi sulla Via della Seta sembrano, da parte cinese, il primo passo ispirato a questa strategia che mira ad avere una posizione di vantaggio nel confronto fra sistemi economici che acuirà nei prossimi anni.

Se l’Europa non si presenterà unita sarà l’anello debole di questo conflitto economico.

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