Soluzioni tecnologiche e normative sono ormai “pronte”: negli ultimi anni si sono evolute, anche profondamente, al punto che è ormai concretamente possibile – e non solo suggestivo – ipotizzare di mettere a terra veri e propri modelli di “Digital B2b Transformation”, per fare efficienza in modo significativo nella gestione delle relazioni verso clienti e/o fornitori. Eppure le dinamiche orientate a tradurre in pratica questo cambiamento risultano ancora lente: a frenarle c’è spesso un vincolo di carattere “culturale”. Un vincolo che trova le proprie radici da un lato nella poca sensibilità verso il digitale, che si riflette nello scetticismo sul valore generabile ridisegnando in elettronico i processi “tradizionali”; dall’altro nella complessità organizzativa che questi interventi implicano. Perché per fare davvero un po’ di sana Digital B2b Transformation occorre affrontare il ciclo dell’ordine nel suo insieme, adottando una vista di processo – da come si sceglie il fornitore per arrivare a come si gestiscono ordini, conferme d’ordine, fatture e pagamenti. Una sfida organizzativamente impegnativa perché spesso può richiedere la presenza di un commitment condiviso in sistemi complessi (tra Acquisti o Commerciale e Logistica in/out e Amministrazione e Tesoreria).
Ben vengano, allora, tutti gli incentivi esterni che possono accelerare le dinamiche digitali nel B2b, e tra questi un ruolo non trascurabile spetta alle iniziative del legislatore. Per esempio, con la Fatturazione Elettronica verso la PA è stato introdotto un obbligo per PA e imprese che ha implicato uno switch-on drastico che non solo non ha creato particolari problemi ma ha addirittura dimostrato che – anche in Italia… – si può provare a cambiare accettando dinamiche coraggiose. Tuttavia quest’obbligo, alla prova dei fatti, per ora solo in parte è stato in grado di stimolare le imprese verso riflessioni costruttive nella direzione della digitalizzazione dell’intero ciclo dell’ordine, come evidenzia una recente ricerca dell’Osservatorio Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione del Politecnico di Milano
Particolarmente interessante, oggi, sembra essere l’attenzione che il legislatore pone al sistema di incentivi per stimolare il ricorso alla Fatturazione Elettronica anche nelle relazioni tra imprese. Accedere a dati affidabili e intercettati “sul campo” può aiutare il Fisco a conoscere meglio i contribuenti, con l’intento ultimo di trasformarlo da temuto controllore a erogatore di servizi. E la prospettiva di questa metamorfosi viene accompagnata da incentivi, per spingere il contribuente – senza dubbio quello che “non ha nulla da nascondere” – a fare un passo che sia per lui anche un’opportunità concreta. Ottimo modello, a patto, però, che gli incentivi si dimostrino “veri”: cioè, effettivamente invoglianti e non nello stile “altrimenti sarai penalizzato”(come ben espresso da Paolo Colli Franzone nel suo recente contributo – ), perché rischiano di non essere incentivanti. E che gli incentivi si dimostrino realmente “raggiungibili”: cioè, non richiedano di stravolgere le logiche di relazione che si sono consolidate negli anni in diversi settori tra partner di business.
Attenzione, dunque, a salvaguardare le “regole del gioco” (non mi riferisco agli strumenti, che senza dubbio e rapidamente devono diventare digitali): non si deve dare per scontato che per tutte le imprese emettere fatture verso altre imprese sia sempre identico a fatturare alle PA; non va ipotizzato che incassi e pagamenti tra imprese possano seguire logiche coerenti con quelle di una PA; non è opportuno porre enfasi solo sulla digitalizzazione delle fatture, perché i benefici risulterebbero davvero limitati. Tra imprese – ma questo non dovrebbe stupire nessuno – “settore che vai, usanza che trovi”: per esempio, in alcuni settori – in particolare nelle relazioni tra Produzione e Distribuzione – è naturale non avere coerenza tra quanto viene inizialmente fatturato e quanto poi viene effettivamente pagato. Nessun illecito, anzi, è semplicemente usanza che si proceda al pagamento solo dopo aver stornato sconti, promozioni, “incentivi alla vendita” ecc. e in seguito aver emesso una sorta di fattura di compensazione che dal Distributore va verso il Produttore. È pertanto inopportuno pensare che alcuni incentivi fiscali possano rendere rapidamente obsolete abitudini consolidate negli anni, che oggi sono veri e propri modelli di relazione e rispecchiano elementi intangibili ma tutt’altro che secondari, come i poteri contrattuali in gioco o le scelte strategiche (dal grado di relazione esistente, alla rilevanza del partner…).
Attenzione dunque a non banalizzare questo e altri modelli di relazione, che esistono in molti settori (e in qualche caso già digitali), abbagliati dall’efficacia dimostrata dallo switch-on della Fatturazione Elettronica verso la PA: quest’ultima si è imposta grazie a un obbligo e non a più o meno blandi meccanismi di incentivo – peraltro, lato PA, richiederebbe ancora non poche “cure” per riuscire ad abbandonare definitivamente e ovunque le prassi di ricorso continuo alla carta.
Di conseguenza, attenzione anche a non cadere sui pericolosi temi del “fare”: chi si occupa da anni di EDI (n.d.a. scambio di dati transazionali in formato elettronico strutturato), sa bene che un elemento fondamentale è legato all’esistenza di un “indirizzo univoco” che riceve i documenti elettronici. Nell’esperienza della Fatturazione Elettronica verso la PA, questo aspetto è stato gestito – non senza complessità organizzative e con forte impegno da parte di AgID – con IPA e codici ufficio: in apparenza banali codici, che però hanno richiesto riflessioni organizzative su quali uffici dovessero ricevere fatture e rappresentano oggi l’esito di un censimento nella PA serio e pervasivo. Questo semplice aspetto – solo in apparenza un “dettaglio” – se sottovalutato, volendo entrare nel mondo delle imprese, potrebbe creare qualche significativo problema in più. Sottovalutando la complessità del B2b, non si abilita la cultura della Digital Transformation ma si suggeriscono manovre opportunistiche che (i) non generano miglioramenti reali, (ii) portano benefici limitati e (iii) nutrono scetticismo e diffidenza e non danno stimoli a digitalizzare per guadagnare in competitività.
Attenzione, infine, anche a non parcellizzare troppo il processo, dando eccessiva enfasi alla sola fase di Fatturazione. Il valore della digitalizzazione nella sola fase di Fatturazione, lo hanno dimostrato diverse ricerche negli anni, è a dir poco “timido”, soprattutto se confrontato con quello effettivamente coglibile adottando l’approccio esteso richiesto dai progetti di Digital B2b Transformation, che guardano alla digitalizzazione dell’intera relazione verso clienti o fornitori. Su questo tema, potrebbe valer la pena approfondire meglio l’approccio adottato dalla Regione Emilia Romagna, che accanto alla Fatturazione Elettronica ha deciso di rendere obbligatoria – ai fornitori di Sanità e Regione – la gestione elettronica anche di ordini e DDT.
In sintesi: avanti tutta con qualsiasi iniziativa sproni verso una digitalizzazione ulteriore e più pervasiva nelle relazioni di business, dal B2b alla PA. Il motivo è sempre quello: si ottengono importanti benefici, si snelliscono processi da attività non a valore aggiunto e si aiuta il sistema Paese a recuperare produttività e quindi competitività. A patto, però, di stimolare nella direzione giusta, che è quella della trasformazione in digitale di tutto il ciclo dell’Ordine con un processo orientato a “liberare le informazioni” dai documenti che le imprigionano per creare flussi di dati strutturati, non duplicati e nativamente corretti e condivisi (tra partner di business così come tra funzioni diverse della stessa azienda).
Infine un piccolo invito, soprattutto al mondo delle imprese: abbiate maggiore coraggio perché oggi digitalizzare le relazioni verso clienti o fornitori con approccio ampio e olistico è possibile e porta valore. Con o senza incentivi, è ormai finito il tempo dei progetti EDI, di Fatturazione Elettronica, di Conservazione Digitale, di Gestione Documentale separati tra loro e orientati a ottimizzare poche relazioni, alcune attività o specifici ambiti. È giunto il momento di avere chiaro il quadro d’insieme cui tendere, sviluppare progetti in chiave incrementale ma secondo un percorso strategico complessivo che porta a trasformare in digitale le attività interne e di relazione. L’avvento di una norma incentivante può senz’altro aiutare a partire ma, in generale, procrastinare la reingegnerizzazione digitale delle relazioni B2b significa soprattutto perdere terreno nei confronti di chi i processi li ha già ridisegnati digitali. Forse non molti, se guardiamo solo al nostro Paese, ma sempre di più se estendiamo il perimetro e guardiamo anche dove l’innovazione digitale rappresenta già da tempo un asset imprescindibile per crescere e fare business.