Adeguamento italiano

Clausola interpretativa a valenza generale nel Gdpr, ecco i problemi che causa nelle controversie

Nel recepimento del regolamento Ue viene introdotta una “clausola interpretativa a valenza generale” che in caso di controversie solleva più di una problematica. In ballo l’eventuale obbligo per lo Stato di risarcimento danni. E l’ipotesi di “violazione manifesta” e “colpa grave” con cui un giudice può dover fare i conti

Pubblicato il 29 Mag 2019

Ione Ferranti

Studio legale Ferranti

privacy ai

In sede di adeguamento della normativa italiana alle disposizioni dettate dal GDPR – Regolamento (Ue) 2016/679 il legislatore ha introdotto una clausola interpretativa a valenza generale (comma 1 dell’art. 22 d.lgs n. 101/2018).

Clausola che però introduce molte problematiche nel nostro ordinamento, come andremo a vedere di seguito.

Cos’è la clausola interpretativa a valenza generale

Il comma 1 dell’art. 22 (rubricato Altre disposizioni transitorie e finali) del Capo VI (Disposizioni transitorie, finali e finanziarie) del d.lgs n. 101/2018 [Disposizioni per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati)] recita:

1. Il presente decreto e le disposizioni dell’ordinamento nazionale si interpretano e si applicano alla luce della disciplina dell’Unione europea in materia di protezione dei dati personali e assicurano la libera circolazione dei dati personali tra Stati membri ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, del Regolamento (UE) 2016/679.

Dall’esame della Relazione illustrativa dello schema del d.lgs n. 101/2018 emerge quanto segue:

  1. la norma contiene “una clausola interpretativa a valenza generale”, la quale impone di interpretare e di applicare il d.lgs n. 101/2018 e le restanti norme nazionali alla luce della disciplina Ue in materia di protezione dei dati personali, assicurando la libera circolazione dei dati nell’Ue, come previsto dall’art. 1, par. 3, Reg. (Ue) 2016/679 (pp. 37 e 79);
  2. tale “clausola di salvaguardia interpretativa” esprime in legge “un canone interpretativo desumibile anche dalla gerarchia delle fonti del diritto, mira a evitare ogni possibile controversia o antinomia in sede applicativa, garantendo alle norme dell’ordinamento coerenza e conformità al quadro giuridico europeo” (pp. 37 e 79).

Due problemi sollevati dalla clausola interpretativa

Il giurista Francesco Pizzetti ha subito sottolineato che la norma va ben oltre la novella del c.d. Codice privacy[1]; opinione, questa, condivisa da chi scrive.

Scopo del presente articolo è di accennare soltanto (senza alcuna pretesa di completezza) ad alcune delle numerose problematiche che solleva l’introduzione della clausola interpretativa a valenza generale nel nostro ordinamento. L’indagine è limitata al principale destinatario della norma: il giudice italiano.

Conseguentemente, la prima questione che la disposizione pone concerne i rapporti con l’art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale.

Una seconda questione che il comma 1 dell’art. 22 d.lgs n. 101/2018 fa sorgere riguarda le implicazioni sul piano della teoria generale del diritto del recepimento legislativo della c.d. interpretazione adeguatrice o conforme (al diritto Ue), frutto dell’elaborazione giurisprudenziale. Una terza questione concerne il rapporto fra la norma predetta e il concetto di “violazione manifesta della legge nonché del diritto Ue” che integra una delle fattispecie di “colpa grave” del giudice, foriera di responsabilità civile dello Stato-giudice, ai sensi dell’art. 2 l. n. 117/1988. In questa sede non è possibile segnalare tutte le problematiche che l’introduzione della clausola interpretativa a valenza generale fa sorgere, né è possibile approfondire compiutamente le questioni appena abbozzate.

GDPR, il superamento dell’art. 12 delle disposizioni sulla legge

Nel nostro ordinamento vige, tuttora, una norma legale, specifica sull’interpretazione della legge: l’art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale (o Disposizioni preliminari al Codice civile o Preleggi). L’art. 12 disp. prel. c.c. (da molti considerato avente per oggetto le regole dell’interpretazione concernenti gli interpreti in genere), in realtà, ha per oggetto il modo di decidere le controversie da parte del giudice[2]. Ça va sans dire, le Disposizioni sulla legge in generale sono state emanate in un’epoca molto anteriore al d.lg.s n. 101/2018. Ma il punto è: quale significato attribuire all’art. 12 dopo l’emanazione della norma oggetto di riflessioni.

L’art. 12 al primo comma dispone che “Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”. Il secondo comma del medesimo stabilisce che “Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i princìpi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato”.

Tale norma oggi è priva di significato. Il procedimento per gradi previsto dall’art. 12 già da molti anni oggetto di relativizzazione – da settembre 2018 è stato infranto anche dal Legislatore italiano (con riferimento alla normativa in materia di protezione dei dati personali). In effetti, tale norma ha un significato solo se si tiene fermo il procedimento per gradi ivi previsto, altrimenti risulta inutile. Infatti, il concetto di interpretazione della legge delineato dall’art. 12 era particolarmente rigido: l’attività logica del “giudice funzionario” era regolata da una logica precostituita con un procedimento per gradi, in cui ogni stadio era preclusivo rispetto a quelli successivi[3]. In realtà, l’interpretazione e l’applicazione della legge non può essere ridotta a mera operazione con cui un soggetto (giudice) riferisce un segno al suo oggetto[4]. Il tema della natura parzialmente creativa e parzialmente dichiarativa della giurisprudenza è solo il punto di partenza da cui muovere per la comprensione delle numerose e complesse problematiche che investono lo svolgimento della funzione giurisdizionale.

I passaggi del processo dell’integrazione europea

L’obbligo di interpretazione adeguatrice o conforme al diritto Ue è frutto dell’elaborazione giurisprudenziale della Corte di Giustizia Ue[5]. L’integrazione europea è un processo che passa soprattutto per la costruzione di un sistema integrato di tutela dei privati e una cultura giuridica condivisa[6]. Al fine di comprendere completamente le implicazioni dell’introduzione della clausola interpretativa a valenza generale è opportuna una breve digressione per illustrare le tappe salienti dell’orientamento giurisprudenziale recepito dal Legislatore. Ai fini del nostro discorso viene in considerazione il principio dell’effettività del diritto Ue, richiamato dalla Corte di giustizia fin dalle prime sentenze in chiave di tutela giuridica dei diritti che le norme Ue riconoscono ai singoli. Per quanto di interesse, la giurisprudenza della Corte di Giustizia Ue, fra l’altro, distingue fra:

  1. il diritto Ue primario: le norme dei Trattati (cfr. CGUE 5.3.1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93, Brasserie du Pêcheur e Factorame, in Racc., p. I-1029);
  2. il diritto Ue derivato:
    1. le direttive. Con la sentenza Adeneler, la Corte stabilisce che, nell’ipotesi di tardiva attuazione di una direttiva nell’ordinamento dello Stato membro interessato e in mancanza di efficacia diretta delle disposizioni rilevanti di quest’ultima, i giudici nazionali devono interpretare il diritto interno (a partire dalla scadenza del termine di attuazione) alla luce del testo e della finalità della direttiva di cui trattasi al fine di raggiungere i risultati perseguiti da quest’ultima, privilegiando l’interpretazione delle disposizioni nazionali che è maggiormente conforme a tale finalità (cfr. CGUE Grande Sezione 4.7.2006, causa C-212/04, Adelener, in Racc., p. I-06057, punti 122-123; in senso conf. CGUE sentenza 5.10.2004, cause riunite da C-397/01 bis a C-403/01, Pfeiffer e a., in Racc. pag. I-8835, punti 113 e 114; CGUE sentenza 10.4.1984, causa C-14/83, Von Colson e Kamann, in Racc. p. 1891, punto 26);
    2. le decisioni quadro: il giudice nazionale è tenuto a prendere in considerazione le norme dell’ordinamento nazionale nel loro complesso e a interpretarle, per quanto possibile, alla luce della lettera e dello scopo della decisione quadro (cfr. CGUE, 16.6.2005, causa C-105/03, Pupino, in Racc. p. I-5285, punto 34);
    3. le raccomandazioni. Le raccomandazioni non sono vincolanti e non hanno effetto diretto: i giudici nazionali sono tenuti a prendere in considerazione le raccomandazioni ai fini della soluzione delle controversie sottoposte al loro giudizio, in particolare quando esse sono di aiuto nell’interpretazione di norme nazionali adottate allo scopo di garantire la loro attuazione, o mirano a completare norme comunitarie aventi natura vincolante (cfr. CGUE sentenza 13.12.1989, causa 322/88, Grimaldi in Racc. p. 4407, punto 18).

Il principio di leale cooperazione, di cui all’art. 4 § 3 TUE impone al giudice statale di assicurare la corretta esecuzione delle norme Ue, di conformare la propria decisione al diritto Ue e alla sua interpretazione indicata dalla Corte di Giustizia. Dalla violazione dell’obbligo di interpretazione adeguatrice o conforme al diritto Ue può derivare l’obbligo per lo Stato membro di risarcimento dei danni, a condizione che:

  1. la norma Ue violata attribuisca diritti ai singoli;
  2. esista un nesso di causalità diretta fra la violazione e il pregiudizio subito;
  3. la violazione sia sufficientemente caratterizzata.

L’obbligo risarcitorio dello Stato membro può derivare anche dalla violazione del diritto Ue commessa dal giudice nazionale (cfr. la nota giurisprudenza Köbler)[7]. Al fine di determinare il carattere “manifesto” della violazione commessa dal giudice si deve tener conto di una pluralità di elementi, fra i quali:

  1. il grado di chiarezza e di precisione della norma violata;
  2. il carattere intenzionale o involontario della violazione;
  3. la scusabilità o meno dell’errore di diritto;
  4. la posizione eventualmente fatta propria da un’istituzione Ue;
  5. la mancata osservanza, da parte dell’organo giurisdizionale di ultima istanza, dell’obbligo di rinvio pregiudiziale.

Nel caso Traghetti del Mediterraneo, la Corte di Lussemburgo affronta direttamente la questione della compatibilità con l’ordinamento Ue della l. n. 117/1988 (Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati), eliminando la c.d. norma di salvaguardia (nella parte in cui escludeva la responsabilità dello Stato italiano per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto Ue imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado per il motivo che la violazione controversa risulta da un’interpretazione delle norme giuridiche o da una valutazione dei fatti e delle prove operate da tale organo giurisdizionale).

L’interpretazione delle norme rientra nell’essenza vera e propria dell’attività giurisdizionale, perché il giudice dovrà normalmente interpretare le norme giuridiche – nazionali e/o Ue – al fine di decidere la controversia sottoposta al suo esame. Se il g. nazionale, nell’esercizio di una tale attività interpretativa, per esempio, dà alla norma Ue una portata manifestamente erronea – in quanto contrastante con la pertinente giurisprudenza della Corte di giustizia – lo Stato membro dovrà rispondere dell’operato del proprio funzionario. Del resto, l’esonero di responsabilità non ha senso nei riguardi dello Stato-giudice, essendo la tutela del giudice la ratio della norma di salvaguardia. A seguito di tale giurisprudenza, nel 2015, il Legislatore italiano riforma la l. n. 117/1988.

Adeguamento GDPR, la “violazione manifesta”

Ai fini del nostro discorso interessa soprattutto la riformulazione della colpa grave del giudice di cui al novellato art. 2 l. n. 117/1988 e, in particolare, la fattispecie della violazione manifesta della legge nonché del diritto Ue[8]. Il nuovo comma 2 dell’art. 2 l. n. 117/1988 dispone che ‒ fatti salvi i commi 3 e 3-bis e il caso di dolo ‒ nell’esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove. Pertanto, nei casi previsti dai commi 3 e 3-bis l’attività interpretativa e valutativa del magistrato può essere foriera dell’obbligo risarcitorio dello Stato.

I lavori parlamentari precisano che i comportamenti del magistrato che costituiscono “colpa grave” sono tali ope legis, essendo stato soppresso il riferimento alla negligenza inescusabile. Il nuovo comma 3-bis dell’art. 2 è una disposizione chiarificatrice, la quale detta una casistica non esaustiva ma meramente esemplificativa. La stessa prevede che ai fini della determinazione dei casi in cui sussiste la violazione manifesta della legge nonché del diritto dell’Ue si tiene conto:

  1. del grado di chiarezza e di precisione delle norme violate,
  2. dell’inescusabilità e della gravità dell’inosservanza;
  3. in caso di violazione manifesta del diritto dell’Ue, si deve tener conto anche della mancata osservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale (ex art. 267, paragrafo 3, TFUE) nonché del contrasto dell’atto o del provvedimento con l’interpretazione della Corte di Giustizia Ue.

Al riguardo, va rilevato che, ai fini della responsabilità dello Stato, la giurisprudenza Traghetti del Mediterraneo ha rigettato l’assimilazione fra “violazione manifesta” e “colpa grave”, richiedendo la sussistenza di tre note condizioni (già accennate), le quali sono “necessarie e sufficienti” e non possono richiedersene di ulteriori. Da questo punto di vista, meglio avrebbe fatto il Legislatore a eliminare ogni collegamento fra la responsabilità dello Stato-giudice e responsabilità civile del magistrato, ancorando la responsabilità del primo alla violazione del diritto da parte del giudice tout court. Il criterio della “violazione manifesta” gioca un ruolo importante nel bilanciamento fra principio di effettività e peculiarità della funzione giurisdizionale. La giurisprudenza Köbler è già molto restrittiva, qualificando la “violazione manifesta” come caso eccezionale e raro.

Peraltro, nel trattare della responsabilità civile del giudice (anche prima della riforma del 2015), la dottrina più attenta rileva che per gli errores in procedendo non vi può essere esonero da responsabilità per il giudice[9]. In tali casi, il giudice non giudica in senso proprio, in quanto non è terzo e imparziale ma è il principale soggetto interessato all’esito del proprio operato.

Premesso che la responsabilità disciplinare del giudice è autonoma e diversa dalla responsabilità civile, il comma 3 dell’art. 9 l. n. 117/1988 dispone che la disposizione di cui all’art. 2, che circoscrive la rilevanza della colpa ai casi di colpa grave ivi previsti, non si applica nel giudizio disciplinare. Ai sensi della lett. g) dell’art. 2, co. 1°, d.lgs n. 109/2006, può dar luogo a responsabilità disciplinare, per quanto di interesse, la grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile.

Quando si raggiunge l'”equità” nell’interpretazione

Si rischia di comprendere solo in parte la natura della c.d. interpretazione adeguatrice o conforme al diritto Ue – e le conseguenti implicazioni sul piano della teoria generale dell’introduzione della clausola interpretativa a valenza generale – senza la consapevolezza che tale canone ermeneutico si inserisce in un fenomeno più ampio e complesso, che si è andato affermando nel nostro Paese a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso. In altri termini, l’istituto rischia di rimanere oscuro al giurista[10] senza la consapevolezza delle interrelazioni con:

  1. la riconciliazione fra diritto ed equità operata dalla Corte costituzionale italiana con la sentenza n. 206/2004. La concezione rozza dell’equità accreditata dal positivismo codicistico – come giustizia del caso singolo, svincolata da regole e intuitiva – è da ritenersi oramai superata, a seguito della sentenza n. 206/2004 della Corte costituzionale[11]. Una concezione della equità intesa come fonte autonoma e alternativa alla legge è in contrasto con i princìpi del nostro ordinamento e, segnatamente, con il principio di legalità. La sola funzione che alla giurisdizione di equità deve riconoscersi è quella di “individuare la eventuale regola di giudizio non scritta che, con riferimento al caso concreto, consenta una soluzione della controversia più adeguata alle caratteristiche specifiche della fattispecie concreta, alla stregua tuttavia dei medesimi princìpi cui si ispira la disciplina positiva: princìpi che non potrebbero essere posti in discussione dal giudicante, pena lo sconfinamento nell’arbitrio, attraverso una contrapposizione con le proprie categorie soggettive di equità e ragionevolezza”. L’art. 339, 3o co., c.p.c. prevede che le sentenze rese dal giudice di pace secondo equità, ex art. 113, 2o co., c.p.c. sono appellabili per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o Ue ovvero dei princìpi regolatori o informatori della materia;
  2. il ruolo dell’equità nell’interpretazione e nell’applicazione della legge come fattore di adeguamento del diritto: le tecniche delle interpretazioni adeguatrici o conformi hanno familiarizzato il giudice ordinario con l’utilizzazione di princìpi metagiuridici;
  3. la subordinazione dell’equità alla totalità dell’ordinamento giuridico: la “nuova” concezione di equità presenta punti di contatto e differenze rispetto all’omologo concetto risalente alla nostra tradizione del diritto comune europeo[12].

A proposito di scusabilità dell’errore di diritto del giudice, questo articolo chiude ricordando le parole di Mortara, il quale, nel 1894, affermava: “Essere ignoranti ma onesti può costituire la divisa, non pienamente lodevole, di liberi cittadini, ma non quella dei magistrati. Un magistrato ignorante non è onesto; prima di tutto, perché riconoscendosi ignorante commette disonestà continuando ad esercitare la magistratura; in secondo luogo perché la ignoranza è la negazione precisa della scientia iusti atque iniusti, e gli toglie la percezione esatta della giustizia, sia pure di quella giustizia relativa, di cui gli uomini son costretti ad accontentarsi”[13].

NOTE

  1. Cfr. F. Pizzetti, I consigli per leggere e applicare bene il decreto 101/2018 dal 19 settembre in agendadigitale.eu. Secondo il Prof. Pizzetti, dal 19 settembre 2018, l’intera normativa italiana in materia di protezione dati basata sulla competenza del Legislatore italiano derivante dal GDPR deve essere interpretata e applicata alla luce del nuovo Regolamento europeo.Nel presente articolo, i termini “giudice” e “legge” vengono utilizzati in senso lato.
  2. Sui precedenti storici immediati e meno immediati dell’art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale, cfr. l’ancora attuale saggio di G. Gorla, I precedenti storici dell’art. 12 disposizioni preliminari del codice civile del 1942 (un problema di diritto costituzionale?), in Foro it., 1969, V, 112-132. Sull’interpretazione (e sull’applicazione) della legge e sulla responsabilità civile del giudice come due aspetti del medesimo problema, cfr. l’ancora attuale A. Giuliani-N. Picardi, La responsabilità del giudice, rist. agg. Milano,1995, passim. La letteratura sul tema è vastissima, pertanto si citano soltanto le fonti di interesse ai fini del presente articolo (senza alcuna pretesa di completezza).
  3. Sul significato costituzionale o paracostituzionale e sulla genesi dei titoli preliminari dei codici civili, cfr. A. Giuliani, Le disposizioni sulla legge in generale gli articoli da 1 a 15, in P. Rescigno (dir.), Trattato di diritto privato, vol. I: Premesse e disposizioni preliminari, 2ª ed., Torino, 1999, pp. 379-502; A. Giuliani, Le preleggi, Torino, 1999, passim. Sull’influenza esercitata dal trattato De legibus di Francisco Suarez sulla dottrina moderna dei princìpi sull’applicazione della legge, cfr. A. Giuliani, Dialogo e interpretazione nell’esperienza giuridica, in A. Giuliani, A. Palazzo, I. Ferranti, L’interpretazione della norma civile, Torino, 1996, p. 3 ss.
  4. Sull’antichissimo e complicatissimo tema del rapporto fra giurisdizione e legislazione, cfr. R. Rordorf, Editoriale, in Questione Giustizia (numero monografico Il giudice e la legge), 2016; N. Lipari, Ancora sull’abuso del diritto. Riflessioni sulla creatività della giurisprudenza, ivi; A. Lamorgese, L’interpretazione creativa del giudice non è un ossimoro, ivi.
  5. Sull’interpretazione c.d. adeguatrice alla Costituzione e al diritto comunitario, cfr. I. Ferranti, L’interpretazione costituzionale della norma civile, in A. Giuliani, A. Palazzo, I. Ferranti, L’interpretazione della norma civile, Torino, 1996, p. 169 ss.; v. altresì I. Ferranti, Interessi permanenti nel diritto privato ed etica contemporanea, in A. Palazzo-I. Ferranti, Etica del diritto privato, vol. I, Padova, 2002, p. 173 ss.
  6. Sull’evoluzione della giurisprudenza della Corte di giustizia Ue in materia di risarcimento per violazione del diritto dell’Unione europea da parte degli Stati membri, cfr. I. Ferranti, La valutazione della legge 13 aprile 1988 n. 117 alla luce del diritto dell’Unione europea (nota di commento a CGUE sentenza 24.11.2011, causa C-379/10, Commissione c. Italia) in Giust. civ., 2012, pp. 2221-2245.
  7. Sulla giurisprudenza Köbler (nonché sulla decisione della Cassazione belga 19.12.1991, De Keiser c. Anca) e sul passaggio dal potere giudiziario al servizio pubblico della giustizia, cfr. N. Picardi, Responsabilità civile del giudice e dello Stato giudice, in La giurisdizione nell’esperienza giurisprudenziale contemporanea, a cura di R. Martino, Milano 2008, pp. 341-395.
  8. La Corte costituzionale (con sentenza n. 164/2017) ha ritenuto non fondata la questione di incostituzionalità relativa all’abrogazione del procedimento di ammissibilità – c.d. filtro – delle domande risarcitorie in tema di responsabilità civile dello Stato-giudice. Cfr. F. Sorrentino, Sull’attenuazione della clausola di salvaguardia in materia di responsabilità civile del magistrato: questioni ancora aperte?, in Questione Giustizia http://questionegiustizia.it/articolo/sull-attenuazione-della-clausola-di-salvaguardia-i_27-06-2018.php; R.G. Rodio, La Corte ridisegna (in parte) i confini costituzionali della (ir)responabilità dei magistrati, in AIC, n. 4/2017 del 18.12.2017 https://www.rivistaaic.it/images/rivista/pdf/4_2017_Rodio.pdf. Sulla legge n. 18/2015 cfr. I. Ferranti, La riforma della responsabilità civile del giudice, in Scritti in onore di N. Picardi, a cura di A. Briguglio, R. Martino, A. Panzarola, B. Sassani, Pisa, 2016, pp. 1127-1146; I. Ferranti, Prime riflessioni sulla riforma della legge 13 aprile 1988, n. 117, in Giustiziacivile.com, 9.4.2015.
  9. Cfr. Luiso, L’attività interpretativa del magistrato e la c.d. clausola di salvaguardia, in Corr. giur., 2008, pp. 730-735.
  10. Nel senso che l’interpretazione conforme (istituto che rimane ancora misterioso nel suo fondamento, nel suo contenuto, nel suo àmbito di applicazione e nella sua natura giuridica) costituisce un succedaneo della dottrina degli effetti diretti, cfr. E. Cannizzaro, Interpretazione conforme fra tecniche ermeneutiche ed effetti normativi, in L’interpretazione conforme al diritto dell’Unione europea. Profili e limiti di un vincolo problematico, a cura di A. Bernardi, Napoli, 2015, pp. 3-16.
  11. Per un commento alla sentenza n. 206/2004 della Corte cost., cfr. I. Ferranti, Prime impressioni sulle implicazioni sul piano della teoria generale del diritto e le conseguenze sul piano processuale della riconciliazione fra diritto ed equità operata dalla Corte costituzionale, in Giust. Civ., 2005, pp. 2922-2939.
  12. Cfr. A. Padoa-Schioppa, Italia ed Europa nella storia del diritto, Bologna, 2003, p. 167 ss.
  13. Cfr. L. Mortara, Un pericolo sociale: la decadenza della magistratura italiana, La riforma sociale, 1894, pp. 617-629.

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