La politica sta cambiando al ritmo dei social. Lo si può vedere con l’aumento esponenziale, soprattutto in questo periodo, degli investimenti dei principali politici sui social. Ma sarebbe solo un livello superficiale di analisi. Di fondo, le nuove tecnologie dell’informazioni sono arrivate a contribuire nella messa in discussione la leadership della politica democratica; nelle dinamiche di acquisizione, conservazione e distribuzione del potere negli stati democratici occidentali come il nostro.
In particolare, contribuiscono ad alterare le relazioni tra il fenomeno politico inteso nel senso comune (d’ora in poi “Politica”) e quello, più ampio, proposto dal noto sociologo e filosofo Max Weber[1]. Secondo cui è politico ogni fenomeno (ad esempio, una scelta) il cui fine attiene all’acquisizione, al mantenimento, alla distribuzione o al trasferimento di potere.
Spieghiamo meglio le due accezioni, prima di arrivare a comprendere l’impatto della rivoluzione digitale sulla democrazia.
Le accezioni del termine politica
Il termine politica, nel linguaggio comune, è riferito, come abbiamo detto, al complesso di relazioni e dinamiche tra i soggetti tipici dell’amministrazione del potere. Quando, ad esempio, diciamo di non essere interessati alla politica, intendiamo comunicare di non gradire discussioni in merito all’operato del governo, a contese elettorali o a vicende che coinvolgono candidati, eletti o partiti e movimenti.
Per lo stesso termine, però, può essere utilizzata la definizione di Max Weber. che ricomprende fenomeni ulteriori a quelli relativi a partiti, liste elettorali, candidati e movimenti. Per fare alcuni esempi, una multinazionale agisce politicamente, nella misura in cui attraverso il denaro cerca di conquistare potere utile ad accrescere la propria capacità di generare profitto; un condottiero agisce politicamente, laddove sia in grado di determinare i fini dell’operazione militare al cui comando è posto[2], nella misura in cui utilizza il mezzo bellico per accrescere la porzione di spazio fisico da lui controllata.
Tutti noi, in sostanza, agiamo politicamente ogni volta in cui le nostre scelte sono determinate da un interesse ad acquisire o conservare potere in un determinato contesto (che può essere anche la famiglia, il posto di lavoro o un’associazione di volontariato).
La politica nel contesto democratico
Ovviamente, i due fenomeni sono fortemente interconnessi e, più precisamente, il primo si configura come caso particolare del secondo. La contesa elettorale e le dinamiche amministrative tipiche di uno stato democratico sono due dei mezzi possibili per acquisire, conservare o distribuire potere.
Caratteristica degli ordinamenti democratici è, infatti, quella di codificare e limitare gli strumenti legittimi per l’acquisizione di potere in una carta fondamentale, la quale contiene anche un elenco di diritti a loro volta fondamentali spettanti a tutti i consociati. I due aspetti, forme del potere e diritti sostanziali, costituiscono una cornice ineludibile entro la quale si devono sviluppare tutte le vicende sociali, economiche, culturali e politiche dello Stato. Tale cornice, garantisce tutti che, a prescindere da chi potrà conquistare la leadership in una data congiuntura storica, vi saranno sempre alcuni limiti che non potranno essere infranti e alcune garanzie a tutela di coloro che non sono parte o sostenitori della compagine al comando.
La relazione tra politica e nuove tecnologie
Che la Politica sia stata radicalmente trasformata dall’uso delle nuove tecnologie emerge chiaramente dalla cronaca quotidiana degli ultimi dieci anni. Dalla prima elezione di Obama fino a quella di Trump in USA, così come dalla parabola italiana del Movimento 5 Stelle e della Lega di Salvini, l’utilizzo dei nuovi canali mediatici è diventato centrale nel determinare vincitori e sconfitti in ogni passaggio elettorale. Ultimo caso, in ordine cronologico, è quanto avvenuto in Ucraina con l’elezione di Volodymyr Zelensky, un ex attore la cui volata è stata tirata da una serie su Netflix a sfondo politico, intitolata “Servitore del Popolo”, nome scelto poi per lo stesso movimento politico del neo-presidente.[3]
Per quanto riguarda le caratteristiche della relazione tra politica e nuove tecnologie, è sicuramente utile – oltre che piacevole – la lettura dell’ultima pubblicazione di Giovanni Ziccardi[4], “Tecnologie per il potere”[5]. L’analisi offre, infatti, una panoramica critica ed aggiornata sul tema, declinando il fenomeno in casistiche e fattispecie ordinate in modo organico e critico, per poi descriverne caratteri distintivi e conseguenze.
Peraltro, tra le fonti esplicitamente poste a fondamento dell’opera, Ziccardi cita in diverse occasioni due riflessioni di raffinatissima lucidità e lungimiranza. Ci si riferisce al saggio “Persone in rete”[6] di Antonello Soro e a “Psicopolitica”[7].
Analisi dei dati, social network e politica, i rischi
Il primo, dal punto di vista della Presidenza dell’Autorità Garante per la Privacy, percorre puntualmente, rendendo efficacemente la portata, le enormi vulnerabilità che scaturiscono per le libertà e i diritti dei cittadini dall’uso massivo delle nuove tecnologie di analisi dei dati.
Il secondo, anticipa con sorprendente visione e spirito critico gli scenari relativi alle conseguenze dell’utilizzo generalizzato di big data e social network su società e politica da un punto di vista sociologico e filosofico, mettendone in luce gli enormi rischi.
In effetti – senza negare le meravigliose opportunità che le nuove tecnologie offrono all’umanità anche nel campo delle relazioni sociali e dell’equa amministrazione del potere – dall’analisi dell’uso che concretamente viene fatto delle tecnologie dell’informazione digitale emergono chiaramente alcune linee di rischio anche elevato per la libertà di autodeterminazione degli individui.
Per comprendere l’attualità delle preoccupazioni esposte dagli autori citati è necessario ricorrere ad un’altra interessantissima analisi, questa volta in materia di psicologia sociale, maggiormente datata. Ci si riferisce allo straordinario lavoro di Robert B. Cialdini, pubblicato nel 1984 con il titolo “Le armi della persuasione”[8]. La ricerca di Cialdini illustra, infatti, che al ricorrere di determinate circostanze, a determinare le nostre scelte intervengono degli automatismi ricorrenti, che sono prevedibili e riconducibili ad alcune categorie generali.
In sintesi, laddove un individuo sia sovrastimolato da un numero elevato di input di scelta rapidi e costanti tenderà a non operare in modo razionale (mediante logica), ma a scegliere in base ai seguenti criteri automatici:
- Reciprocità: si è indotti a concedere il proprio consenso nei confronti di chi ci ha precedentemente offerto un bene o un favore;
- Impegno e coerenza: si è indotti a riconfermare una posizione assunta in precedenza in modo esplicito e pubblico o per la quale si sono spese energie;
- Riprova sociale: si è indotti ad agire in modo tale da produrre un’immagine sociale di sé il più possibile conforme a ciò che si ritiene essere accettabile dalla comunità;
- Simpatia: si è indotti a concedere il proprio consenso a chi ci risulta “simpatico”, magari perché somigliante a noi in alcuni caratteri percepiti inconsciamente;
- Autorità: si è indotti a dar credito (e dunque lasciarsi persuadere) da figure ritenute autorevoli, anche solo per caratteristiche esteriori;
- Scarsità: si è persuasi ad accettare (ad esempio acquistare un prodotto) laddove si abbia la percezione che questo scarseggi (ultimi pezzi)
Questi automatismi, ricordava già allora Cialdini, sono noti (più o meno consciamente) ai professionisti del marketing e delle vendite che li sfruttano abbondantemente per superare le nostre difese razionali e indurci ad acquistare beni e servizi o a concedere donazioni.
Quello che Cialdini non poteva prevedere era che la tecnologia informatica avrebbe fornito degli strumenti di elevatissima efficacia e pervasività il cui funzionamento è spesso perfettamente compatibile con i principi della persuasione da lui individuati, quando addirittura non è idoneo ad enfatizzarne gli effetti.
In che modo la politica sfrutta le potenzialità dei nuovi media
Per queste ragioni la Politica ha investito ingentissime risorse negli ultimi anni per delineare campagne imponenti di influenza di massa per mezzo dei social network o per sviluppare piattaforme ed app dedicate all’interazione con i sostenitori. Per le stesse ragioni, gli esponenti politici, oggi, trascorrono una quota consistente del loro tempo a veicolare contenuti tramite Instagram, Facebook o Twitter.
Tuttavia, per rispondere alla domanda centrale del presente articolo, occorre comprendere con precisione quale sia l’obiettivo specifico dell’uso che in politica viene fatto di questi nuovi media. Più in particolare, ci si deve chiedere se la Politica stia congegnando delle strategie utili a sottomettere questi strumenti tecnologici al fine di consolidare il proprio primato nella governance delle dinamiche di potere globali e locali o se questa si stia a sua volta sottomettendo, mediante un uso acritico di questi mezzi, a logiche il cui esito è ridurre la sua quota di potere, in favore di altri agenti.
In altre parole, serve comprendere se le potenzialità delle tecnologie in esame sono sfruttate per coltivare la partecipazione critica e massiva dei cittadini ai processi democratici, aumentando la rappresentatività ed il peso delle forze politiche al “tavolo” della contesa generale, oppure se vengano usati in modo distorto, al solo fine di vincere competizioni elettorali, coltivando un’autoreferenzialità e uno iato tra Politica e società il cui unico esito non può che essere la perdita di potere e di capacità di influenza.
Tutte le distorsioni dell’uso politico dei social media
Per quanto emerge dall’analisi proposta in “Tecnologie per il potere” lo scenario che appare maggiormente verosimile è, purtroppo, il secondo. Tale conclusione sembra inevitabile se si considera, ad esempio, quanto emerge dall’elenco di “utilizzi non corretti” dei social network da parte dei profili politici italiani che Ziccardi individua nel capitolo dell’opera citata riferito alla situazione italiana[9]:
- Broadcasting puro. I profili vengono utilizzati per veicolare comunicazioni istituzionali ed impersonali, prive di qualsivoglia dinamicità e vocazione al dialogo con gli altri utenti, che sarebbe il plus concesso da questi nuovi media;
- Autocelebrazione. Spesso vengono veicolati messaggi che sono pura autocelebrazione dei candidati o del partito/movimento titolare del profilo social analizzato;
- Monologo. Come già accennato, spesso è evidente la mancanza di dialogo con i followers/elettori;
- Ghostwriters. Spesso è altrettanto palese il fatto che a pubblicare contenuti non sia il politico titolare del profilo ma soggetti da lui incaricati.
A ciò si aggiunga il fatto che i social network si prestano particolarmente all’applicazione di tecniche propagandistiche “sterili” e dotate di efficacia distorsiva marcata. Si pensi alla diffusione di fake news, facilitata dalla cosiddetta rimozione del pregresso, dalla rapida obsolescenza delle notizie e dall’effetto eco chamber.
L’uso politico dei media e le campagne di disinformazione e influenza non sono certo novità degli ultimi anni ma ciò che è cambiato, anche in questo caso, è l’opportunità di profilare l’utenza, segmentarla anche in modo millimetrico e generare contenuti targettizzati sui singoli, studiati scientificamente per avere massimo effetto nello sfruttare l’emotività irrazionale e gli automatismi del numero più elevato possibile di cittadini al fine di indurli a sostenere la posizione prescelta.
Lo stesso vale per l’utilizzo di piattaforme di voto online, nelle quali alcuni elementi patologici (ad esempio modalità di voto confuse, scelta inadeguata delle tempistiche o formulazione suggestiva dei quesiti) o fisiologici (mancata consapevolezza da parte dei votanti, imponente ascendente dell’autorità richiedente il voto) possono condurre a distorsioni importanti.
Il rischio è che questo tipo di operazioni, una volta raggiunto il risultato immediato di far confluire voti verso una parte politica, lascino dietro di sé uno scenario fortemente compromesso, le cui conseguenze sul medio e lungo termine potrebbero rivelarsi nefaste per le stesse parti politiche che ne hanno fatto uso.
Infatti, la banalizzazione e polarizzazione del dibattito, la comunicazione memetica e immediata, l’obsolescenza rapidissima, l’impossibilità di sviluppo dialettico del dibattito su temi di merito, la percezione di un uso sempre suggestivo se non fazioso dell’informazione, non fanno altro che accrescere lo iato tra società e politica sopra richiamato, già favorito da fattori storici, economici, demografici e sociali.
Tutti i rischi da scongiurare
Così il dubbio è che la Politica, tutta intenta ad occuparsi di dinamiche elettorali e di consenso, non trovi il tempo per curarsi di questioni di più ampio respiro, quale ad esempio la reale corrispondenza tra seguito virtuale e quello reale, ossia della propria reale capacità di spostare massa critica e vincolare gli altri attori (ad esempio entità economiche e finanziarie come multinazionali e fondi d’investimento, organizzazioni mediatiche e dell’informazione, gli stessi colossi dell’ICT) alle proprie scelte democraticamente legittimate che riflettano realmente i valori, le sensibilità e gli orientamenti più diffusi tra la collettività. Per dirla con una metafora, il rischio è che la Politica, tutta assorbita nel tentativo di usare le nuove tecnologie per accaparrarsi fette più grandi della torta, stia involontariamente causando il rimpicciolimento della torta stessa[10].
Un simile scenario deve essere scongiurato.
Infatti, se la democrazia è un fenomeno storico che può certamente essere soggetto ad evoluzioni anche sensibili, non sono rinunciabili alcune conquiste che, per mezzo di essa, si sono oggi consolidate negli ordinamenti occidentali.
Non sono rinunciabili le libertà ed i diritti fondamentali, che presidiano l’autonomia dell’individuo impedendo che si realizzino dittature della maggioranza in cui componenti minoritarie della comunità vengano private dei loro diritti fondamentali, in violazione dei principi etici generalmente condivisi nella nostra società. Non è rinunciabile l’idea per cui la leadership di una comunità politica debba essere selezionata in base all’effettiva capacità di gestire il potere al fine di realizzare in concreto gli orientamenti condivisi e trovi, nei diritti di cui sopra, dei limiti alla propria azione.
Tutto ciò è in pericolo laddove, nella contesa per la distribuzione del potere, il vuoto lasciato dalla Politica venga occupato da attori mossi da finalità diverse da quelle poc’anzi illustrate, come ad esempio il mero profitto. Se così fosse, poste le potenzialità enormi degli strumenti tecnologici oggi a disposizione, sarebbe molto più probabile la realizzazione degli scenari distopici ipotizzati in alcune delle opere citate, quali la dittatura degli algoritmi o la schiavitù volontaria diffusa, teorizzata da B.C. Han.
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- M. Weber, La politica come professione, Einaudi, Torino, 2004, p. 49 ↑
- Circostanza teoricamente impossibile nei moderni ordinamenti democratici, nei quali il potere militare è per definizione separato da quello politico (e preposto solo ad individuare la miglior via strategica per realizzare militarmente determinati fini politici), ma ampiamente riscontrabile storicamente o in diverse aree del globo terrestre. ↑
- Cfr. tra i tanti articoli di cronaca a commento della vicenda, https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/04/21/elezioni-ucraina-zelensky-presidente-con-oltre-il-70-dei-voti-il-comico-ha-battuto-poroshenko-non-vi-deludero-mai/5127384/ (Visitato il 23.04.2019) ↑
- Professore di Informatica giuridica presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Milano. ↑
- G. Ziccardi, Tecnologie per il potere – Come usare i social network in politica, Cortina, Milano, 2019. ↑
- A. Soro, Persone in Rete – I dati tra poteri e diritti, Fazi, Roma, 2018 ↑
- B.C.Han, Psicopolitica, Nottetempo, Roma, 2016 ↑
- R. B. Cialdini, Le armi della persuasione, Giunti, Milano, 2015 ↑
- Cfr. G. Ziccardi, op. cit., pp. 44, 45 per una spiegazione estesa dell’elenco riportato qui a titolo meramente esemplificativo. ↑
- La metafora della torta è volutamente mutuata da quella utilizzata più volte dall’economista Premio Nobel Joseph Stiglitz nel descrivere le proprie teorie relative all’insostenibilità economica della disuguaglianza. ↑