Alla luce della recente sentenza della Corte di Giustizia UE sull’illegittimità democratica della data retention indiscriminata, bisogna ricordare che l’Italia ha una legislazione sulla data retention considerata molto a rischio di violazione dei diritti civili.
Primo perché l’Italia ha prorogato fino al 2017 la conservazione dei dati attraverso una norma transitoria denominata mille proroghe. Inoltre i motivi della raccolta sono connessi a reati in senso generale e ciò rende la previsione troppo generica, nelle norme europee e nei provvedimenti della corte di iustizia si richiamano gli Stati a prevedere la data retention in caso di “reati gravi”.
Terzo: anche se rispetto alla legislazione britannica però la conservazione dei nostri dati non consente una vera e propria profilazione e conservazione dei dati di tutti gli utenti (che è stata di fatto abrogata con le modifiche della legge Pisanu, è singolare un altro aspetto. La giurisprudenza italiana consenta l’immissione nei dispositivi dei cittadini accusati di reati anche associativi dei captatori informatici che determinano una possibile lesione dei diritti fondamentali dei cittadini molto più ampia della conservazione indiscriminata dei dati di traffico e di navigazione.