DIGITALE E AMBIENTE

Tecnologia sostenibile, ecco i data center convertiti al green

Dal super-stabilimento Eni ai server raffreddati ad acqua di Google: sono in aumento nel mondo le best practice che puntano a ridurre l’impronta ecologica dei “caveau dei dati”. Ma non basta: servono riforme normative che promuovano l’adozione di eco-standard. E subito, in Italia, la razionalizzazione degli impianti PA

Pubblicato il 24 Set 2019

Matteo Manigrasso

legal specialist

data center

L’impatto ambientale dei data center non è certo esiguo. Sia in termini di surriscaldamento globale che di fabbisogno energetico: e questo, a causa della domanda costante di spazio di archiviazione da parte del sempre maggior numero di utenti. Analizziamo l’evoluzione dello scenario proponendo una carrellata sugli eco-impianti che stanno nascendo e i vantaggi che ne derivano: ambientali, ma anche economici.

Secondo l’ultimo rapporto CISCO (Cisco Visual Index) la mole dei dati prodotti da applicazioni (per il solo traffico mobile) cresce di circa 30 ExaByte (30 Trilioni di Byte) l’anno con una forte spinta derivante dai paesi Asiatici; per il solo traffico video, al 2020, sarebbero necessari 5 milioni di anni di un uomo per visualizzare tutti i contenuti presenti nella rete. Inoltre, si stima che per il 2021 il mercato del raffrescamento degli edifici dove sono custoditi i data center aumenterà di oltre 14 miliardi di dollari ad un tasso di crescita composto (CAGR) del 15%.

Quanta energia consumano i data center

I data center utilizzano circa 200 terawattora (TWh) all’anno, superiore al consumo energetico nazionale di alcuni Paesi, metà dell’elettricità utilizzata per i trasporti in tutto il mondo, e solo l’1% della domanda globale di elettricità. Contribuiscono per circa lo 0,3% alle emissioni complessive di carbonio, mentre l’ecosistema delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nel suo insieme – una definizione ampia che comprende i dispositivi digitali personali, le reti di telefonia mobile e i televisori – rappresenta oltre il 2% del totale delle emissioni.

Appare chiaro che il problema ambientale che comporta l’alto fabbisogno energetico di questi sistemi non è più ignorabile. L’uso di elettricità nei data center aumenterà di circa 15 volte entro il 2030, fino all’8% della domanda globale prevista[1]. Nel 2018 la ricercatrice Joana Moll ha calcolato che una singola ricerca su Google produce 10 grammi di anidride carbonica: circa 4.700 al secondo, mentre ogni minuto la somma delle nostre ricerche produce circa 500kg di CO2[2].

Raffreddare un data center è nevralgico per il mantenimento del sistema poiché essendoci tanti server e macchine producono un elevato calore: per evitare il surriscaldamento come causa di danni è necessario raffreddarli continuamente tenendo una temperatura costante.

Data center, ecco i “campioni” green

Switch. Leader mondiale nella produzione di data center e gestore di 3 dei dieci maggiori data center del mondo, ha spostato le infrastrutture nel Nevada centrale: The Citadel Campus. Il campus di 2.000 acri, situato nel Tahoe Reno Industrial Center accanto alla Tesla Gigafactory, è alimentato da energia rinnovabile al 100%.

Aruba. Il data center di Ponte San Pietro, Data Center (DC-A), ha una superficie complessiva di 17.500 m² ed una superficie netta di sale dati pari a 10.000 m² con 10 sale date indipendenti. La struttura totale occupa oltre 200.000 m²[3]. L’impianto di raffreddamento geotermico ad alta efficienza e l’alimentazione da energia proviene da fonti di origine certificata GO (Garanzia d’Origine) – a cui si aggiungono la centrale elettrica e gli impianti fotovoltaici di proprietà.

Google usa l’intelligenza artificiale per ridurre i consumi del 40%, migliorandone l’efficienza energetica. Nel suo data center finlandese si avvale dell’acqua di mare del Golfo di Finlandia per raffreddare i server.

La più grande banca norvegese, la DNB, gestisce il suo data center principale in un bunker sotterraneo vicino a Stavanger, raffreddato dal congelamento dell’acqua proveniente da un vicino fiordo.

Microsoft. Ha in atto molti progetti di compensazione del carbonio, ad esempio nelle foreste, per assorbire la CO2 dalle emissioni continue. Inoltre ha un programma, Project Natick, per installare e gestire data center sott’acqua, attraverso un sottomarino nelle Orcadi, a nord della Scozia.

ENI. Ha costruito un proprio Green Data Center a Ferrara Erbognone, inaugurato nel 2013, con consumi ridottissimi in una concentrazione di potenza elettrica fino a 50 chilowatt al metro quadro. Da qualche tempo, accanto al green data center si trova anche un impianto fotovoltaico da 1 MegaWatt che può fornire fino al 15-20% dell’energia consumata dal supercomputer Hpc4.

Facebook. Alimenta il suo data center Papillion con energia rinnovabile al 100% prodotta dallo stabilimento di Enel Green power del Nebraska. L’impianto genera energia che viene immessa poi nella rete e consumata in gran parte da Facebook: la parte di eccedenza del consumo di reddito rimane nella rete a vantaggio di altri utenti attraverso la gestione del surplus.

Questo breve elenco di esempi mira a presentare i vari approcci intrapresi nella gestione dei data center attraverso energie rinnovabili dalle imprese nel mondo per far emergere che tali strutture non solo contengono e dovrebbero proteggere dati personali, ma hanno un impatto considerevole sulla vita di ciascuno di noi a causa del fabbisogno crescente di energia elettrica dovuto all’enorme quantità di dati immagazzinata e dall’energia per raffreddarli.

Eco-tecnologie, servono politiche mirate

Ci si chiede dunque se sia auspicabile che i singoli Stati od organismi sovranazionali studino delle normative fortemente incentivanti al fine di imporre uno standard ecologico ambientale ed evitare il consumo indiscriminato di suolo senza alcun corrispettivo. Tale obiettivo potrebbe essere conseguito inserendo in standard di qualità accettati anche una componente green in modo da spingere le imprese ad ottenere tali dichiarazioni di qualità, promuovendo minori consumi e ricerca di tecnologie più efficienti.

Su Suolo Italiano stiamo assistendo anche alla razionalizzazione dei data center della PA, con il nuovo progetto del Polo Strategico Nazionale, che dovrebbe centralizzare la gestione dei data center della PA, portandoli sotto la propria responsabilità. L’azione mira a ridurre il numero dei data center presenti, 11mila, a circa 3-7 di entità maggiore, da posizionare in località soggette a presidio militare, in particolare le infrastrutture critiche di interesse nazionale (direttiva NIS2016/1148 su energia, trasporti, settore bancario, infrastrutture dei mercati finanziari, fornitura e distribuzione di acqua potabile e infrastrutture digitali).

Tale riorganizzazione dei data center permette una maggiore efficienza ed una considerevole riduzione dei costi. Un’impresa che si affacciasse alla modernizzazione dei propri impianti potrebbe beneficiare delle misure fiscali previste dalla Industry 4.0 (iperammortamento, superammortamento, Nuova Sabatini, voucher innovazione).

  1. Huawei Technologies Sweden
  2. Gambetta D., https://videodromenews.com/article/data-center-inquinamento, 08.07.2019
  3. Aruba S.p.A., https://www.aruba.it/getdoc/7afc5e56-1168-4113-88f05ea3b71ecd47/global%20cloud%20data%20center%20-%20un%20anno%20di%20successi%20e%20u.aspx

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