Il dibattito energetico europeo si basa sugli obiettivi della Roadmap 2050, che include diversi scenari energetici di “decarbonizzazione” che hanno come obiettivo un taglio sostanziale delle emissioni di CO2.
Greenpeace già dal 2007 ha iniziato a elaborare scenari energetici “Energy [R]evolution – elaborati dal DLR, l’Istituto di Termodinamica dell’Agenzia spaziale tedesca – sia a livello globale che europeo e nazionale. L’ultima versione dello scenario europeo è del 2012, promossa insieme a EREC l’associazione europea delle rinnovabili, e mostra costi e fattibilità tecnica di una rivoluzione energetica basata su efficienza e rinnovabili, che preveda l’eliminazione dallo scenario sia della produzione da nucleare che da carbone. Non si tratta, ovviamente, di scenari di “previsione” ma un’analisi di fattibilità tecnico economica di un assetto energetico basato sulle fonti rinnovabili.
Una rivoluzione silenziosa è già in corso
Ma la realtà ha superato, almeno in questi anni, gli scenari “rivoluzionari” di Greenpeace: per l’eolico la potenza totale installata nel 2010 ha superato le “speranze” dello scenario del 2007 di ben 41GW. Se invece confrontiamo la realtà del 2010 con le previsioni fatte solo nel 2007 dall’IEA – Agenzia Internazionale per l’energia dell’OCSE – l’errore di valutazione è di oltre il 40%. Dunque l’eolico nel mondo si è sviluppato ben oltre gli scenari fatti solo tre anni prima. E ha continuato a crescere anche dopo, nonostante la crisi.
Ancora più ampia la differenza tra scenari e potenza effettivamente installata per il solare fotovoltaico: nel 2007 l’EA prevedeva 9,6 GW installati a livello globale nel 2010: in realtà la potenza globale aveva raggiunto i 40 GW, anche più delle speranze di Greenpeace. E nel 2012, con tutta la crisi, ha superato i 100 GW e le prospettive per il prossimo futuro sono ancora dio crescita.
In Cina, solo nel 2013, si prevede di installare 49 GW di fonti rinnovabili, di cui 10 di solare e 18 di eolico. La svolta tedesca che ha dato luogo al programma di “trasformazione energetica” – abbandonare il nucleare e ridurre il carbone, aumentando le rinnovabili – darà ulteriore impulso a uno sviluppo basato in modo crescente sulle rinnovabili. Ma questo non sarà esente da conflitti e tentativi di frenare le nuove tecnologie per difendere le fossili e il nucleare.
Nucleare in crisi dopo Fukushima
L’incidente di Fukushima ha amplificato la crisi della fonte nucleare nei Paesi a economia di mercato. Oltre al blocco quasi completo dei reattori giapponesi –ne funzionano solo 2 su 50 e non si sono verificati blackout – e al ripensamento sui piani nucleari in diversi Paesi, i costi dei reattori di generazione III si sono rivelati elevatissimi: i francesi dell’EDF si sono dovuti arrendere all’evidenza dichiarando un costo di 8,5 miliardi di euro per l’European Pressurized Reactor (EPR) – di cui si dovevano costruire 4 esemplari in Italia – da confrontare ai 3-3,5 miliardi propagandati dall’AD di Enel Conti nel 2008.
Questa situazione di crisi è particolarmente evidente nel Regno Unito, dove la francese EDF aveva rilevato i siti nucleari: per costruire nuove centrali chiede vendita garantita e prezzi fissi, se i profitti non sono garantiti dallo stato non è possibile costruire reattori. Dunque una crisi abbastanza profonda, che va al di là delle questioni di accettabilità e che ha a che fare con i crescenti costi della tecnologia, mentre nel campo delle rinnovabili si è assistito a un costante discesa dei prezzi.
Un nuovo paradigma: smart grids e supergrids
Come emerge da numerosi studi e scenari, le fonti rinnovabili possono diventare la base energetica del futuro – dunque non sono “fonti integrative” o “alternative” – ma perché ciò possa avvenire è necessario cambiare la logica con cui hanno finora funzionato le reti elettriche. Da relativamente pochi impianti di grande taglia che producono e distribuiscono l’elettricità fino a luoghi remoti si deve passare a un sistema di numerosissimi impianti (la cosiddetta “generazione distribuita”) che interagiscono con la rete e la richiesta e una infrastruttura che consenta di gestire la sovrapproduzione in certe ore dirottandola sia in aree remote che in parte minore conservandola in loco per renderla disponibile quando serve.
Un tale sistema di distribuzione richiede due elementi fondamentali: 1. a livello locale le “smart grid”, reti intelligenti che sono in grado di gestire i flussi della produzione distribuita e della richiesta di energia locale, reti organizzate in modo da evitare black out generalizzati; 2. A livello macro, le “super grid” e cioè linee di trasmissione in corrente continua e ad alta tensione per trasportare l’eccesso di produzione elettrica a grandi distanze.
Semplificando, per l’Europa, si tratta di far dialogare la grande produzione eolica prevalentemente localizzata nel centro-nord, con la grande produzione solare che ha maggiore potenziale nell’Europa del sud. Presupposto fondamentale è dunque l’integrazione delle reti europee e l’abbattimento dunque delle barriere a protezione dei mercati nazionali. Va ricordato che una direttiva europea in discussione riguarda l’integrazione del mercato interno dell’energia che ha anche l’obiettivo di rafforzare gli scambi di elettricità tra i Paesi europei.
La “battaglia delle reti”
Per valutare l’esistenza di sufficienti risorse energetiche per garantire una Europa al 100% rinnovabile, Greenpeace ha commissionato un primo rapporto “Renewables 24/7”che dimostra come una rete di questo tipo garantirebbe gli stessi standard di sicurezza attuali.
Ma questa prospettiva – che riguarda comunque un futuro non immediato – è anche piena di conflitti, tra il vecchio paradigma energetico sopra descritto e il nuovo. Per semplificare, oggi alcune fonti – carbone, nucleare, idroelettrico – sono dedicate al cosiddetto “carico di base” e cioè quella quantità di elettricità richiesta dalla rete anche nelle “ore vuote”, mentre altre fonti – gas naturale, pompaggi idroelettrici, rinnovabili non programmabili – occupano le ore piene e i picchi di richiesta.
Ma uno scenario 100% rinnovabile tenderà – nel corso del tempo – ad annullare questo assetto. Le fonti “non programmabili” come il solare fotovoltaico e l’eolico in realtà sono assai più prevedibili di quello che si pensa e possono essere integrate compensando la sovraproduzione in certe aree e in certe ore del giorno e periodi dell’anno con la richiesta in altre.
Il conflitto riguarda proprio la “rigidità” della produzione di alcune tecnologie – il nucleare in primis, il carbone – che rendono poco gestibile una convivenza nello stesso sistema energetico con grandi quote di rinnovabili fluttuanti (eolico, solare), contrariamente al gas naturale i cui impianti sono più flessibili e possono coesistere con grandi quote di rinnovabili.
La partita è già cominciata
Questi conflitti sono già in atto. Lo sviluppo delle fonti rinnovabili è stato molto rapido in un Paese come la Spagna, nel quale i prezzi dell’elettricità all’ingrosso sono già influenzati dalla ventosità della giornata – l’eolico lo scorso gennaio è stato la prima fonte di elettricità in quel Paese – e i primi conflitti tra le fonti rinnovabili e quelle convenzionali sono già emersi. Dal punto di vista elettrico la Spagna è quasi un’isola e dunque la possibilità di gestire i momenti di sovrapproduzione rinnovabile è limitata. Il forte freno alle rinnovabili in Spagna è anche legato a questa crescente produzione che entra in conflitto con le altre fonti che hanno maggiore rigidità.
La Germania, che ha interconnessioni elettriche assai più robuste, continua nella sua strada verso l’espansione delle rinnovabili. Se nel 2012 eolico e solare raggiungevano i 62 GW, nel 2017 è previsto raggiungano i 100 GW. Dunque la sovrapproduzione delle rinnovabili rispetto alla richiesta interna è prevista per il 2020, anno dal quale il conflitto con le altre fonti potrà essere evidente.
La Francia invece rimane un Paese con una sovraproduzione nucleare che dunque mal si concilia con la struttura energetica che la Germania sempre più avrà, come del resto i Paesi dell’Europa centrale e orientale dove la quota di nucleare è significativa.
L’Italia ha visto crescere le rinnovabili in modo molto rapido, anche per un sistema di incentivi più generoso rispetto ad altri Paesi. Ma questo ha consentito al Paese di recuperare il ritardo nel settore delle rinnovabili – fino a pochi anni fa basato solo su idroelettrico e geotermia, tecnologie sviluppate ai primi del ‘900 – ma ha evidenziato, in un quadro di stagnazione dei consumi, un conflitto con le altre fonti, gas incluso. La frenata imposta al settore dal Governo Monti è motivata anche da questo conflitto.
Del resto la proposta di Strategia Energetica del ministro Passera, pur citando obiettivi quantitativi sulle rinnovabili di tutto rispetto, non presenta gli strumenti necessari per raggiungere quegli obiettivi, mentre propone un rilancio delle fonti fossili da un lasseiz faire per l’estrazione petrolifera all’idea dell’Italia come “hub del gas”. Un documento che vuole sostanzialmente bloccare o almeno rallentare le rinnovabili e su cui non c’è sostanziale differenza tra il Presidente Monti e i principali leader Bersani e Berlusconi. Leader diversi ma accomunati da un conservatorismo “fossile” in campo energetico.
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