l'esperienza

Dare vita al museo, la chiave è aprirsi ai saperi: ecco come

Ci sono tante certezze in giro. Troppe. Metodi che ci insegnano a pensare e a progettare. Ci insegnano come fare cose che non conoscono. Come si progetta, però, non lo si può insegnare ma lo si può solo apprendere facendo, in mezzo agli altri. Vale anche e soprattutto per i musei, vediamo perché

Pubblicato il 29 Ott 2019

Fabio Fornasari

architetto, museologo e Membro ICOM

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Questa è una scrittura quasi intima che si occupa di un pensiero che coinvolge molte persone: dare vita al museo.

Come sappiamo la lingua madre si acquisisce ascoltando. Non si studia ma di giorno in giorno si sviluppa la capacità di comporre frasi e scambiare parole. La capacità di leggere e di scrivere invece si apprende. Cosi come le competenze per fare un buon progetto.

I musei sono oggetto di tante riflessioni che spesso propongono soluzioni che si presentano valide a prescindere dai differenti contesti. Formule calate dall’alto che nascondo un giudizio, senza averne sempre intenzione.

Il museo come luogo che mette in azione il pensiero

È una passione: il museo come luogo che mette in azione il pensiero, il museo come prima porta di accesso ai saperi, alla conoscenza. Ma anche il museo che usa i codici dell’intrattenimento per creare un primo approdo alle diverse forme di cultura. In altre parole, il museo che apre la mente verso qualcosa che non sempre ci consola.

Non c’è un progetto che coinvolga contenuti culturali, non c’è un allestimento, una installazione che non sia differente dall’altra. Per le persone coinvolte e per i saperi da trattare.

Chi crede che si possa imparare dai manuali, che ci siano libri che ti insegnano come si pensano le cose e come si progetta qualcosa, dal mio punto di vista e per esperienza personale sbaglia. 

Non comprende che solo nella crescita lenta e costante all’interno degli argomenti è possibile acuire le proprie facoltà percettive, morali e intellettuali per le sfide che lo attendono.

Impariamo da e con le persone: andiamo a studiare con la gente e ci attendiamo di apprendere da essa. Non andiamo semplicemente a portare competenze. Queste crescono in ogni occasione, in mezzo e con agli altri.

Il museo come luogo di approdi e di ripartenze, di incontri e scambio di emozioni, mi ha conquistato già dai primi anni di università. Già l’ho detto che è una passione e consiste nel conoscere sempre cose nuove: saperi e persone, storie e pensieri.

Nella nostra lingua si dice che chi soggiace a una passione, chi ne è concupito, abbandona la ragione. Un giudizio appassionato è sempre un giudizio non sereno, non obiettivo. Per questo i migliori consigli sono quelli spassionati.

Da quegli anni dell’università ho cominciato a sentire che il museo non è solo uno spazio, la prima sostanza con la quale si apprende un linguaggio per fare architettura. Compresi che è una narrazione spazializzata che organizza contenuti, una narrazione che mette in ruolo opere d’arte e tutto ciò che gli sta intorno.

Creare racconti di valore

Gli studi di storia della città e del territorio, associati allo studio delle storie dell’arte inscritte al loro interno e infine lo studio della museologia suggerivano questo: fare emergere e organizzare i racconti, costruirne narrazioni per renderle accessibili.

Il primo pensiero non era rispondere a una disciplina ma alla possibilità di creare racconti di valore.

Come fare? Forse guardando, ascoltando e sentendo che impariamo, prestando attenzione a ciò che il mondo ha da dirci. In altre parole, osservando dall’interno e approfondendo scientificamente.

Imparare gradualmente a vedere le cose e anche a sentirle e percepirle. Solo allora riusciamo a pensare di poter procedere nella scrittura di qualcosa di valore.

Per scrivere bene bisogna prima leggere tanto di tante cose, aprirsi ai saperi degli altri. Non per apprendere dai testi semplici informazioni ma per accrescere la capacità di riconoscere le storie di valore che contengono.

C’è chi scrive romanzi, chi dipinge. Personalmente preferisco sviluppare scritture con codici comunicativi multisensoriali, analogici e digitali. 

Lavorare da venticinque anni con la cecità e l’ipovisione mi ha aiutato a comprendere quanto sia importante la comprensione che si sviluppa dall’interno: calarsi all’interno delle comunità per conoscere le domande per le quali non si trovano risposte e cercare insieme di trovare le risposte con formule che non si limitano alla descrizione verbale. La tiflopedagogia e le neuroscienze forniscono i materiali per ordinare questa esperienza.

Coinvolgere le persone: i progetti

Le scritture di cui parlo coinvolgono le persone all’interno dello spazio museale reale o metaforico, chiamandole a confrontare il proprio punto di vista, le proprie abitudini.

È un pensiero che si esercita attraverso rapporti quotidiani con chi popola quel paesaggio. Per fare un buon progetto non basta studiare astrattamente, sulla carta. Lo studio è un momento necessario, fondamentale; ma è solo calandosi nella situazione che si può comprendere dall’interno.

È questo il caso di Museo Tolomeo di Bologna progettato all’interno dell’istituto dei Ciechi Cavazza insieme a Lucilla Boschi che con me condivide queste idee, affiancati dai diversi protagonisti di una storia di valore unica.

Oppure il progetto MEMORI per Matera 2019 proposto da La Luna al Guinzaglio con sede al MOON di Potenza; un progetto innovativo che coinvolge più paesi del mediterraneo che ho seguito e ho sperimentato quanto scrivo in questo articolo. Due casi nei quali le regole e i principi sono stati condivisi tra tutti e arrivano anche al pubblico attraverso installazioni multisensoriali interattive.

Ma questo approccio vale anche per il Museo delle Terme di Caracalla: non poteva riuscire non ci fosse stato un continuo rimando tra il fare, lo studiare, il dialogare e il provare insieme alla direzione di Marina Piranomonte e tutte le altre persone coinvolte, compreso Michelangelo Pistoletto.

Fare domande, cercare risposte

Per conoscere le cose dobbiamo crescere in esse, e lasciare che esse crescano in noi fino a diventare parte di quello che siamo.

Ci sono tante certezze in giro. Troppe. Metodi che ci insegnano a pensare e a progettare. Ci insegnano come fare cose che non conoscono. Come si progetta non lo si può insegnare ma lo si può solo apprendere facendo, in mezzo agli altri.

Ci sono anche esempi interessanti da seguire, da studiare per confrontarsi sulla capacità di raggiungere gli obiettivi: progetti di impresa o di ricerca. Tutti i racconti di successo vanno studiati per comprendere dove e perché hanno funzionato.

Ci sono diversi progetti interessanti che hanno l’obiettivo di portare persone nei musei, richiamare attenzione e coinvolgere senza sconvolgere il museo. Molte le persone coinvolte che da un paio di anni si incontrano a Roma al Video Game Lab: un’occasione molto utile per scambiare visioni e pensiero. Tutti fanno domande: insieme si cercano le risposte. Non si può non citare il lavoro di Fabio Viola che tra i progetti di impresa rivolti ai beni culturali ha ricevuto i migliori riconoscimenti.

Da leggere di utile c’è veramente tanto. Sul piano della comunicazione digitale penso ai saggi di Nicolette Mandarano. Su musei e la costruzione dei racconti penso a Cinzia Dal Maso, o i progetti educativi di Anna Chiara Cimoli e Maria Chiara Ciaccheri. Alcune persone tra tante. Sono un chiaro esempio di come si cresce dall’interno, osservando e partecipando usando tutti gli strumenti a disposizione, costruendo la propria strada di giorno in giorno alternando studio e confronto.

Questa scrittura sta seguendo una traccia aperta da un libro: “Making” di Tim Ingold.

È il libro che avrei voluto scrivere fossi stato antropologo. Forse l’ho scritto e ha la forma di un museo.

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